C’era una volta Panoramio, il sito di foto collegato a Google Earth che in era pre-social usavo come passatempo, ma anche nel pianificare viaggi e scovare perle in posti poco conosciuti, visto che fino a qualche anno fa viaggiare in Cina non era facile come ora, dove tutto è più o meno a portata di click.
Esplorando virtualmente le regioni occidentali, tra i tanti luoghi meravigliosi (tuttora nella mia lista di posti da visitare, ahimè chissà quando) mi avevano colpito i paesaggi e le montagne nel nord dello Yunnan, una regione fino a non molti anni fa molto povera e isolata dal resto del paese, e il cui nome significa “a sud delle nuvole”.
Panoramio è stato poi chiuso, ma la voglia di fare un viaggio da quelle parti è rimasta.
Quest’anno mi sono finalmente deciso ad andarci, anche perché non potendo di fatto tornare in Italia (o meglio, il problema è il rientro in Cina) come faccio di solito, mi sono ritrovato con giorni di ferie extra.
Negli ultimi anni la provincia dello Yunnan ha avuto uno sviluppo impressionante a livello economico e turistico, ed è diventato una meta molto gettonata dai cinesi benestanti che in questo periodo non vanno all’estero e quindi ripiegano su destinazioni nazionali. Questa domanda ha ulteriormente fatto lievitare i prezzi dei voli diretti che superano tranquillamente le cifre che ero abituato a sborsare prima della pandemia per tornare in Italia.
La soluzione è fare scalo con voli dagli orari non proprio comodi per i weekend (cit.), combinando le destinazioni per riuscire a visitare i luoghi di interesse… di conseguenza questo viaggio includerà 4 voli e toccherà in totale 6 aeroporti, anzi 7!
Partenza da casa in un tardo e rovente pomeriggio di sabato di luglio, esco con larghissimo anticipo viste le esperienze passate coi mezzi. Infatti arrivato in stazione vedo il pullman per PVG che sta andando via, il prossimo parte 45 minuti dopo: partono le prime di una lunga serie di imprecazioni in questo viaggio.
All’andata si vola con China Eastern, o meglio la sua sussidiaria dello Yunnan i cui aerei hanno una livrea dedicata con le piume di pavone stilizzate (sotto, foto di repertorio). Ho poi scoperto con sorpresa che MU a Kunming è padrona di casa visto che ha un vero e proprio hub da cui collega gli aeroporti minori della regione col resto del paese.
La situazione dei voli nazionali a PVG è ormai da tempo tornata alla normalità, e di conseguenza la solita strage di voli cancellati e in ritardo, soprattutto alla sera.
China Eastern è basata al T1 e i voli domestici partono dal satellite S1. Il check-in è piuttosto rapido a parte la sorpresa del controllo aggiuntivo al bagaglio imbarcato. A quanto pare l’ombrello che avevo in valigia fa scattare qualche allarme, e questo succederà puntualmente tutte le 4 volte che dovrò imbarcarlo, anche nei voli successivi.
Perché 4 volte? Perché per i connecting flight in questa parte di mondo non è previsto un transito ma in sequenza: ritiro bagaglio, uscita dagli arrivi, re-ingresso alle partenze, nuovo check-in e stampa del boarding pass, e ri-controllo di sicurezza per andare al proprio gate, magari per trovarsi proprio di fianco a quello da cui si è sbarcati. Boh.
Passato rapidamente e indenne i controlli di sicurezza prendo il people mover per raggiungere il satellite. S1 e S2 sono fisicamente lo stesso edificio ma sono divisi nel mezzo da una barriera, ciascuna metà è collegata al rispettivo T1 e T2 da due people mover. Il satellite è molto bello e moderno, con ampi spazi e tantissimi posti a sedere, tutti con prese elettriche e USB per caricare i device. Ci sono anche delle aeree con tavoli alti ottimi per chi nell’attesa voglia lavorare più comodamente. Lo svantaggio è che l’aeroporto è semplicemente enorme e solitamente bisogna camminare parecchio per raggiungere i gate più lontani. Nel mio caso, con passo svelto e nonostante le file non esagerate, dall’arrivo al T1 al gate del mio volo ci ho messo in totale un’ora e venti minuti (pro hint: se volete risparmiare tempo, lasciate a casa il maledetto ombrello!)
Mappa dell’S1, il lato lungo misura esattamente 1km. L’S2 (non mostrato) è sulla destra e speculare:
Arrivato al gate manca l’aereo e c’è questo foglio che annuncia il ritardo. Impossibile avere un’idea del nuovo orario di partenza… Alla fine il ritardo è di circa due ore. Poco male, il piano originale prevede di passare la notte a KMG dato che il prossimo volo parte al mattino presto.
Finalmente arriva il nostro 737-700 e dopo un po’ imbarchiamo. Abituato a volare sul -800 la cabina di economy del -700 mi è sembrata particolarmente corta.
Ed eccoci in volo. Il servizio a bordo prevede solo le bibite (acqua, the, caffè).
Arrivati a Kunming, ormai a notte fonda, fuori pioviggina ma l’aria è fresca e piacevole. Veniamo scaricati sul Cobus e facciamo il giro dell’aeroporto passando in rassegna una fila di 737 MAX di China Eastern accuratamente impacchettati e degli A300F della defunta compagnia cargo Unitop che hanno l’aria di esser lì a prendere la polvere da molto tempo.
Piccola nota storica: durante la seconda guerra mondiale, Kunming era il punto di arrivo del ponte aereo alleato messo in piedi in fretta e in furia per portare armi e rifornimenti alla Cina che combatteva l’invasione giapponese. Dopo la caduta di Burma in mano nipponica saltarono i già precari collegamenti stradali e l’unico modo per far arrivare i rifornimenti vitali era per via aerea dall’India, sorvolando l’Himalaya. Sul finire della guerra c’erano oltre 600 aerei cargo in servizio su questa pericolosa rotta, soprannominata The Hump, su cui molti velivoli andarono persi insieme ai loro equipaggi a causa delle condizioni meteo difficili e imprevedibili sopra le montagne.
Nonostante l’orario, l’area ritiro bagagli è parecchio affollata. Ogni nastro ha uno schermo che mostra gli addetti che trattano le valigie (letteralmente) con i guanti… Sarebbe un’idea da replicare in Italia, in Cina (ma direi in Asia) fino ad ora non ho mai avuto problemi di danni alla valigia a differenza di altri aeroporti (MXP e BGY sto guardando voi!)
Recuperata la valigia, mi accingo ad uscire dagli arrivi ma come temevo non passo perché non ho il codice QR verde per Kunming. Come avevo spiegato in un precedente TR, in Cina praticamente ogni città o provincia ha sviluppato un sistema diverso e relativa app per tracciare i contatti. Il problema è che molte di queste non supportano i passaporti e quindi gli stranieri, a cui è precluso il privilegio di avere una semplice carta d’identità (qui carta d’identità = cittadinanza).
Per espiare la colpa di essere straniero e evitare di rimanere intrappolato come Tom Hanks in The Terminal, a Kunming l’usanza locale prevede un tributo di sangue da versare (metaforicamente) sui moduli cartacei, su un anonimo banco dalla parte opposta della sala riconsegna bagagli. Una volta compilata la dichiarazione bisogna infatti inchiostrare l’indice di rosso e pigiarlo ripetutamente su nome, nazionalità e ogni risposta del questionario (sul retro ce n’erano altre).
Dopo una trascrizione dei dati, domande sui miei ultimi spostamenti e timbrature da parte dell’addetto, il rito è compiuto e dopo un’altra lunga camminata posso finalmente uscire dalla sala arrivi. Prendo l’ascensore e salgo subito al livello partenze.
Il terminal di KMG è molto bello, ben illuminato anche a quest’ora e ha un’architettura particolare, col tetto supportato da travi a forma di onda.
Tutto il paese si è riempito di cartelli, manifesti e decorazioni per festeggiare i 100 anni del PCC. A parte questo anniversario, spiace constatare come negli ultimi anni la propaganda nazionalista sia diventata sempre più frequente e populista
Sono ormai le 3 di notte, i check-in sono ovviamente chiusi e vorrei riposarmi un po’ ma lato landside i pochissimi posti a sedere sono tutti occupati, quindi negli angoli c’è gente che dorme appoggiata ai muri o stesa per terra. Le “isole” dei check-in hanno delle panchine ma sono transennate.
Avevo pensato di cercare un hotel nelle vicinanze ma non avrebbe avuto senso visti i tempi.
Esploro il terminal alla ricerca di un posto dove bivaccare e nel frattempo faccio qualche foto.
Ad un certo punto tolgono le transenne dai check-in. Sono ormai le 4 di mattina e sono distrutto, mi stendo finalmente su una panchina di legno usando la giacca come cuscino e collasso nonostante la posizione scomoda e le luci sparate in faccia… questa si che è barbon class!
Dopo credo una mezz’oretta di sonno sento qualcosa che mi punzecchia: è il manganello di un poliziotto che sta passando a svegliare i barbun come me e a dire che è vietato dormire sulle panchine.
Mi guardo intorno intontito, e vedo che nel frattempo hanno aperto i check-in di China Eastern e c’è già una discreta fila. Arriva il mio turno e di nuovo la mia valigia viene segnalata come sospetta e parte il controllo aggiuntivo.
Ai controlli di sicurezza ci sono una fila extra riservata alle donne con poliziotti donne e anche una per gli uomini con poliziotti uomini (prima volta che trovo una cosa del genere), stranamente entrambe senza fila e quindi passo rapidamente.
L’imbarco avviene in orario, su un altro 737-700.
Mappa delle destinazioni servite da China Eastern:
Partiamo in orario, fuori è grigio e inizia ad albeggiare. In rullaggio passiamo intorno a questa chicca: un A320 Myanmar Airways International (MAI!) su cui stanno caricando materiale sanitario e probabilmente i vaccini in contenitori termici. Di recente c’è stato un focolaio a Ruili, una città dello Yunnan vicina al confine col Myanmar che è andata in lockdown. Pare che il confine sia piuttosto permeabile (d’altra parte sono oltre 2000km in mezzo a montagne e giungla) con un discreto numero di lavoratori e commercianti che passano irregolarmente. Le news di quei giorni riportavano la notizia degli invii di massiccie quantità di vaccini per aiutare le autorità birmane a controllare l’epidemia.
Sorvolando la periferia di Kunming:
Il volo per Lijiang dura solo 50 minuti. In Cina da regola la cabina deve essere “secured” ben 40 minuti (o 45, o più, non ricordo) prima dell’atterraggio per motivi di sicurezza. Questa regola assurda vale anche sui voli brevi, quindi dopo il decollo annunciano che i WC rimangono chiusi e non ci si può alzare per tutto il volo, e vengo pure (gentilmente) cazziato da una aa/vv per aver reclinato il sedile e abbassato lo scurino quando abbiamo più o meno raggiunto la quota di crociera… Così anche qui sfuma il piano di poter recuperare un po’ di sonno dato che ho il sole appena sorto in faccia.
Fortuna che il volo è breve, e durante l’avvicinamento la vista sulle montagne è spettacolare. Si vedono diverse miniere e cave, lo Yunnan è ricco di metalli come alluminio e rame e pietre tipo marmo e granito. Una stretta virata ci porta dentro l’ampia valle dove si trova Lijiang, a 2400m di quota, e sulla destra appare il massiccio della Jade Dragon Snow Mountain con la cima (5596m) innevata
Questa volta sbarchiamo con la jetway. A Lijiang c’è un discreto numero di biz come questo magnifico G650ER
Fuori c’è fresco e una bella arietta frizzante. Terminal:
Il viaggio è tutt’altro che finito, per raggiungere la prossima tappa ho prenotato un’auto dato che il giro che avevo in mente è infattibile con i mezzi. Chiamo il noleggio e in 5 minuti appare un tizio che mi porta in un anonimo piazzale appena fuori dall’aeroporto. Il servizio è super-efficiente e in pochi minuti sono al volante di una Golf 1.2T bianca appena lavata (diventerà marrone). Avevo cercato apposta una macchina piccola (per gli standard locali) visto che qui i noleggi rifilano sempre berline enormi con motori sottopotenziati. La scelta si rivelerà azzeccata soprattutto per il motore turbo che spinge bene anche sulle strade di montagna a oltre 3500m.
Destinazione: Lugu Lake, circa 4.5 ore di auto da LJG (diventeranno 6 con le varie soste), su una strada dai panorami mozzafiato.
Il lago era completamente isolato ed essenzialmente sconosciuto fino agli anni ’80 quando è stata costruita una prima strada sterrata, dalle condizioni precarie e con frequenti crolli. Negli anni ’90 ne è stata costruita una nuova che segue il percorso attuale e nel 2010-2012 è stata allargata e completamente rinnovata allo scopo di sviluppare l’economia locale. Avevo un po’ di dubbi ma le condizioni della strada si sono rivelate ottime ed è piacevolissima da guidare, tranne per qualche mancato frontale con gente che si lancia in sorpassi folli in discesa dimenticandosi che ha un SUV da 2 tonnellate con spazi di arresto da incrociatore.
Ogni tanto c’è qualche sasso caduto in mezzo alla strada ma che viene regolarmente rimosso e lanciato a bordo strada da degli addetti che girano su dei trabbicoli a tre ruote.
Lungo la strada ci sono piazzole panoramiche con chioschi che vendono frutta e snack. Mi fermo a uno di questi per far svolazzare il drone e mangiare un mango squisito. Il venditore è un signore settantenne molto socievole che parla in maniera comprensibile (cosa non scontata viste le forti inflessioni dialettali del posto) e mi racconta di come la costruzione della strada ha cambiato radicalmente la vita della gente nelle valli. Per gran parte della sua vita ha vissuto in un vicino villaggio perso tra le montagne, a svariati giorni di cammino da Lijiang, e campando del mais che piantava nei campi (qui tradizionalmente non si mangia riso). Quando il raccolto andava male, il villaggio faceva la fame. Con la costruzione della strada e i migliori collegamenti i contadini hanno iniziato a coltivare frutta, molto più redditizia del mais, quindi lui ora coltiva noci e banane, mentre amici e parenti altri tipi di frutta, tra cui il mango di cui sopra. A quanto pare la terra e il clima sono perfetti per coltivare frutta. I figli si sono sistemati in città, e lui gestisce il chiosco che ha decorato con fiori e luci per attirare clienti. Mi dice che si sente felicissimo e non stento a credergli… posso solo immaginare come si vivesse qui fino a 20-30 anni fa.
Il fiume Jinsha è il tratto superiore dello Yangtze che attraversa la Cina fino a Shanghai. Il colore poco invitante è dovuto ai sedimenti e non all’inquinamento (quello arriva dopo, nelle migliaia di km più a valle). In tempi antichi erano stati trovati frammenti d’oro sulle rive del fiume, questo ha dato origine al nome, Jinsha significa “sabbia d’oro” (no Lignano)
Arrivati a questo passo la strada prosegue in discesa fino alla cittadina di Ninglang. Non manca molto
Pochi anni fa è stato costruito un aeroporto più vicino al lago, ricavato spianando una montagna e terrazzando due versanti, a quota 3300m. Dalle foto la pista di atterraggio fa una certa impressione, quindi anche se non ci volo (i voli sono pochi e carissimi, con frequenti ritardi e cancellazioni per meteo) pianifico una visita, ma arrivato nelle vicinanze della montagna devo annullare perché si scatena un temporale talmente forte che non si vede più nulla (tipo nebbione padano), quindi arrivo da un benzinaio in condizioni CATIII e aspetto che finisca l’acquazzone.
Il tempo rimane comunque pessimo fino a destinazione, ma ormai ci siamo, per accedere all’area del lago serve pagare l’equivalente di 10€ e mostrare il solito QR code verde di tracciamento, quello che mi funziona è sufficiente. La strada scende verso le sponde del lago e dopo quasi 24 ore dalla partenza sono finalmente alla locanda che avevo prenotato.
Sul sito risultava tra le strutture che accettano stranieri, ma la proprietaria del posto va un po’ nel panico perché sono il primo straniero che ospita e dopo aver inserito i miei dati e foto nel sistema di registrazione della polizia continua a ricevere errori. Dopo approfondite ricerche e chiarita la causa (qualche misspelling nel nome) posso finalmente riposarmi in camera.
Praticamente tutti gli alloggi in zona sono locande a conduzione familiare, anche se i proprietari non sono gente del posto ma in larga parte imprenditori venuti dal vicino Sichuan.
Stanno anche costruendo un paio di mega hotel lussuosi, anzi l’impressione è che il posto sia purtroppo in preda alla speculazione edilizia… persino qui.
C’è una densa foschia e il lago si vede a malapena, le previsioni per il giorno dopo danno nuvoloso e pioggia. Mangio qualcosa, ma sono talmente stanco che vado a dormire alle 19 e crollo subito.
Il bello dell’andare (e riuscire) a dormire così presto è il potersi svegliare prima dell’alba, cosa che senza sveglia non mi succede mai.
L’indomani sono in piedi alle 5, e fuori ci sono 14 gradi, che goduria!!!
Erano anni che non vedevo così tante stelle nel cielo… In alto a destra si vede il gruppo delle Pleiadi
Parto prestissimo con la speranza di fare qualche foto con la luce dell’alba, anche se si sta annuvolando e il tempo a questo punto non fa ben sperare…
La strada passa attraverso campi di mais e piccoli villaggi di case di legno, è tutto deserto e il posto ha un’aria spettrale. Un cartello e un posto di blocco vuoto segnalano l’ingresso nella provincia del Sichuan, a cui appartiene la metà est del lago.
Prima tappa del giorno, un lungo ponte di legno che collega due villaggi su due sponde opposte di una palude in fondo al lago, a quest’ora ancora deserto.
Improvvisamente il cielo si apre e spunta il sole, c’è una luce bellissima, i fili d’erba sembra quasi che brillino di luce propria.
I villaggi intorno al lago sono abitati dalla minoranza etnica Mosuo che, quasi completamente isolata dal resto del mondo per secoli, ha sviluppato lingua, costumi e tradizioni uniche.
Nonostante sia (anzi fosse, le cose cambiano in fretta) gente dedita essenzialmente a un’agricoltura e allevamento di sussistenza, è una società regolata da complicate relazioni sociali.
La più nota è che a differenza della società cinese, tradizionalmente molto patriarcale e maschilista, la società Mosuo è matrilineare, in cui casa e famiglia sono amministrate dalla matriarca che gestisce tutti gli interessi e cresce i bambini insieme ai parenti, ma solo le femmine possono ereditarne le proprietà. Gli uomini ricoprono un ruolo quasi secondario ed essenzialmente si limitano a lavorare nei campi e allevare bestiame, continuando a sostenere e vivere nella casa della famiglia di origine anziché in quella della partner.
Altra peculiarità sono i cosiddetti “walking marriages” in cui le donne possono cambiare partner quando vogliono. In queste relazioni, l’uomo può visitare la donna ma non ha responsabilità sui propri figli che vengono cresciuti solo dalla famiglia allargata della madre (sia dai parenti femmine che maschi). Tradizionalmente, la casa Mosuo comprende 3-4 edifici (inclusa la stalla) disposti a quadrato in cui vivono 3 generazioni della famiglia della matriarca che ha potere assoluto in casa e solitamente e’ la più anziana, ma puo’ trasmettere il ruolo consegnando simbolicamente la chiave del portone ad una delle figlie.
In ogni caso, queste tradizioni stanno rapidamente sparendo, visto che gran parte dei giovani Mosuo ora vive in città e segue lo stile di vita dei cinesi Han. Essendo una minoranza etnica godono di diversi benefit da parte del governo, come meno tasse, migliore accesso nell’iper-competitivo sistema scolastico cinese, e non hanno limitazioni al numero di figli (cosa che ormai stanno progressivamente rimuovendo per tutti).
Chiusa questa parentesi alla Piero Angela proseguiamo il giro sul lago, l’obiettivo è di completare la circumnavigazione entro sera.
Dopo una veloce colazione a base di una specie di focaccia di mais (molto buona) trovo per caso un tempio buddista tibetano. Dalla collinetta si ha una magnifica visuale sul lago, il tempo fortunatamente è splendido a dispetto delle previsioni e inizia anche a fare un gran caldo
Piccola spiaggia sul lago. L’acqua è limpidissima, ma vige ovunque il divieto di balneazione (per fortuna)
Vicino alla riva, a poca profondità, cresce una pianta che sembra un filo con un fiore bianco all’estremità che galleggia sull’acqua. Mi dicono che è una pianta rara che cresce solo in acqua pulitissima, per chi li strappa ci sono multe salate.
Faccio un breve giro su una barca a remi (le barche a motore sono vietate) per ammirare i fiori da vicino e raggiungere un punto panoramico raggiungibile solo dal lago.
Il barcaiolo, un anziano e gentile signore del posto con nipotino in vacanza da scuola al seguito, spiega che l’acqua del lago è più pura e pulita di qualunque acqua in bottiglia. I miei vicini, una famiglia di turisti, iniziano a berne a piene mani.
Io senza mettere in dubbio che l’acqua è pulitissima preferisco evitare il rischio di finire il viaggio in un reparto di gastrologia (oltretutto l’ospedale più vicino è a 5 ore di auto), quindi mi limito a riempire una bottiglietta da far bollire e gustarmi con calma alla sera… Effettivamente poi non aveva sapori o retrogusto tipo quella da rubinetto ma sembrava acqua minerale. L’acqua è molto povera di nutrienti, non ho visto pesci o altro, a parte alghe e fiori.
Proseguendo sulla strada si arriva a uno sperone di roccia a strapiombo sul lago, un luogo considerato sacro dai Mosuo. La vista è semplicemente spettacolare e vale tutte le ore di viaggio spese per arrivare fin qui
Un posto di blocco, stavolta presidiato dalla polizia stradale del Sichuan, annuncia che stiamo tornando nello Yunnan. Ovviamente uno straniero spicca come cactus nel deserto, quindi parte il controllo documenti, controllo QR, autocertificazione e una veloce ispezione dell’auto.
Non poteva mancare la foto dal cesso. Ne ho visti anche peggiori, tra cui uno simile ma senza i divisori e altri del famigerato tipo “a canaletto”, l’incubo di ogni viaggiatore
Ok, forse non è il momento migliore per passare all’argomento cibo, ma la zona è famosa per i funghi, ce ne sono di tantissime varietà, tra cui alcuni familiari come i porcini (che qui chiamano con un nome che richiama i bovini) e altri che sinceramente non oserei mangiare
Ho la sensazione che ci sia una leggera rivalità tra Sichuan e Yunnan, nel senso che a livello amministrativo il lago è diviso tra le due province che si sono premurate di cancellare l’altra dalle rispettive mappe del luogo.
Un po’ come se a Luino sulla mappa del Lago Maggiore mancasse tutta la parte piemontese e viceversa a Verbania…
Il mattino dopo purtroppo è già ora di tornare a Ljiang. Peccato non aver pianificato più tempo per esplorare i dintorni del lago.
Vista da un punto panoramico da cui si può ammirare il lago e la montagna sacra che nella tradizione locale è la divinità (femmina, ovviamente) che ha creato il lago
Oggi il meteo è buono, quindi ritento con l’aeroporto di Ninglang-Lugu Lake.
Sulla via del ritorno, si gira a un bivio e la strada inizia subito a salire sul fianco della montagna. In certi tratti la strada sembra un gradino che sporge dalla parete rocciosa, purtroppo non me la sono sentita di fermarmi a fare foto dove la vista era migliore.
Dopo un po’, sopra a dei tornanti, si inizia a vedere il terrazzamento della pista di atterraggio, a quota 3300m. Su Wikipedia risulta il 22esimo aeroporto più alto del mondo (il mio sogno proibito è di andare a Daocheng-Yading, il primo in assoluto con i suoi 4400m, tra l’altro non lontanissimo da qui in linea d’aria).
Arrivati in cima, cartello di benvenuto con Mosuo in abiti tradizionali
Il terminal, con decorazioni ispirate alle case tradizionali della zona, inclusi i teschi di yak. L’intera area è ancora in costruzione… Ho seguito le indicazioni per un “aircraft observation point” finendo su una strada fangosa che portava a un cantiere
La collinetta a fianco della pista ha un VOR
Il silenzio e il rumore del vento sono interrotti regolarmente da dei rumori atroci trasmessi a tutto volume da altoparlanti, credo versi di rapaci per spaventare gli uccelli.
Avrei voluto vedere almeno un aereo ma non mi andava di aspettare 2-3 ore in mezzo al nulla per il prossimo schedulato, così mi rimetto in viaggio verso Lijiang.
Arrivato in centro finisco in un groviglio di stradine strette, trovare l’hotel e poi un parcheggio si rivela più impegnativo del previsto. Nonostante il lungo viaggio non mi sento stanco e dopo una breve sosta in albergo esco per visitare la città vecchia, a pochi minuti di distanza a piedi.
La città vecchia di Lijiang è patrimonio dell’UNESCO quindi forse partivo già con un’aspettativa alta… alla fine si rivela l’unica grande delusione di questo viaggio. La prima sorpresa è che per entrare ci sono i tornelli (a porta, tipo nelle metro) e senza carta d’identità cinese non si passa. La guardia mi dice di aspettare, dopo un po’ si dimentica di me e va via, io mi guardo intorno e opto per la soluzione criminosa: faccio il portoghese infilandomi dietro un turista ignaro.
La città di storico non ha praticamente nulla, gran parte degli edifici sono chiaramente stati ricostruiti di recente e sono tutti, ma proprio tutti, negozi e ristoranti… di fatto è un grosso centro commerciale a cielo aperto che vende ogni sorta di paccottiglia inimmaginabile. Gli abitanti originali del quartiere sono stati espropriati e mandati fuori nella città nuova, e le case convertite in esercizi commerciali, tutti in mano a gente di fuori, soprattutto dal Sichuan e dal nord-est della Cina. Mettiamoci anche che le viette sono una bolgia infernale piena di gente, con altoparlanti che sparano pubblicità a tutto volume per completare il quadretto. Ho poi saputo da conoscenti che 10-15 anni fa il posto era completamente diverso e non ancora preda della commercializzazione selvaggia… evidentemente sono arrivato troppo tardi. Col senno di poi avrei dovuto stare in uno dei villaggi vicini, meno famosi ma più belli.
Qualcosa di familiare… Nello Yunnan fanno i prosciutti!
Altre fonti di proteine. Non fate gli schizzinosi, è il cibo del futuro!
Mi hanno raccontato che a Lijiang e Dali in questi posti turistici vendevano ben di peggio, con una varietà di rettili e insetti da far impallidire Bear Grylls. Dopo lo scoppio dell’epidemia li hanno eliminati (deo gratias) e a quanto pare sono rimasti solo questi, che comunque fanno schifo anche alla maggior parte dei cinesi.
Ripiego su dei più tradizionali spaghetti e me ne torno a dormire.
La mattina dopo levataccia, fuori è buio e piove (le previsioni davano bel tempo). Ho prenotato una gita alla Blue Moon Valley e alla Jade Dragon Snow mountain, quella che si vedeva dall’aereo in avvicinamento.
Il tempo è inclemente, le montagne sono nascoste nel grigiume e faccio giusto un paio di foto ricordo. Aspettativa e realtà:
Finito il breve giro nella valle, il pullmino ci porta alla funivia per salire sulla montagna. Il primo step è un briefing di sicurezza: in una saletta la guida spiega come muoversi e i rischi dell’altitude sickness, mostrando un simpatico video di persone che collassano a terra o che vengono portate via di peso o (per i più fortunati) in barella.
Poi parte quella che sembra una televendita di Wanna Marchi: bottiglioni extra di ossigeno, rimedi e intrugli di medicina tradizionale cinese e persino una benedizione con preghiera di buon auspicio in tibetano. Una bottiglietta di ossigeno è già inclusa nel prezzo del biglietto ma il bottiglione extra è caldamente consigliato solo per le seguenti categorie: bambini, anziani, adulti che fanno sport, persone sedentarie e molte altre, in pratica il 100% della popolazione mondiale incluso Reinhold Messner a inizio carriera. Abito qui da anni ma ogni volta mi stupisco delle vette che può raggiungere il capitalismo.
Superati dei negozi che vendono altra roba, vengono distribuite la bomboletta di ossigeno e una giacca visto che lassù ci sono 20-25 gradi in meno, e finalmente ci si mette in fila (più o meno, vista la gente che cerca di passare avanti con nonchalance) per salire.
La funivia è costruita dalla sudtirolese Leitner
Arrivati in alto si può salire ulteriormente a piedi fino a 4680m. Di recente è stata costruita una piattaforma perché sul vecchio sentiero il numero di turisti era ingestibile.
Pioviggina continuamente, ci sono 5-6 gradi ma con la giacca e muovendosi non sento per niente freddo. Peccato che non si veda assolutamente niente del panorama sulle valli intorno, in ogni caso la vista sulla cima nascosta tra le nuvole e il ghiacciaio (che come potete immaginare è molto più piccolo rispetto al passato) vale comunque la pena.
Pure a quest’altitudine sono riusciti a piazzare chioschi che vendono snack e paccottiglia.
Anche col mio fisico assolutamente non allenato non ho avuto problemi con l’altitudine nelle circa due ore che ero su. Però ho subito notato che le gambe si stancavano molto più in fretta sui gradini, dove ho dovuto fare frequenti ma brevi pause
Finito il giro, altra fila per scendere con la funivia. Non ho ancora capito perché qui le vecchiette sono così aggressive quando si tratta di mettersi in fila, ce n’erano alcune che zitte zitte facevano violentemente a gomitate per passare avanti nella la completa indifferenza dei presenti. Credo abbiano preso questa cosa confuciana della pietà filiale un po’ troppo sul serio.
Alla sera scopro un quartiere appena fuori dalla città vecchia di Lijiang molto più tranquillo e un filino meno turistico, ma partendo con basse aspettative non ho portato la macchina fotografica, mi riprometto di tornarci il giorno successivo ed esplorarlo con calma.