- 7 Settembre 2010
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Nove uomini e cinque donne, decisi a tutto pur di guarire. Un corso con tanto di esame finale.
Storia di chi ce l'ha fatta (grazie anche a Jovanotti)
«Non preoccupatevi, sono convinta che morirò di giovedì, quindi domani andrà tutto bene». Liliana è un'insegnante appena andata in pensione. Non è mai salita su un aereo in vita sua ed ora è qui, in sala Lindberg, nei sotterranei di un hotel poco distante da Linate, per convincersi che sì, si può fare, «che non ha più senso trascorrere 28 ore in treno per raggiungere Praga». Non è sola, siamo in quattordici. Nove uomini e cinque donne. Decisi a guarire dalla paura di stare lassù. Il corso si chiama Voglia di volare. Due giorni intensi da trascorrere gomito a gomito insieme con il comandante Alberto Colautti (capo di tutti i piloti dell'Airbus 330); lo psicologo Walter De Gusti (anche lui pilota) e Stefania Viggiano il cui compito, quando non ha a che fare con noi fifoni, è quello di preparare gli assistenti di volo ad affrontare qualsiasi emergenza. Un giorno di teoria e la domenica il decollo verso Roma, la prova al simulatore di volo di Fiumicino e rientro la sera.
Seduti intorno a un tavolo disposto a ferro di cavallo, coperto di panno verde, accolti dalle note di Mi fido di te di Jovanotti (...«la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare...») mandata a ripetizione come un mantra, siamo pronti a confessarci. Funziona un po' come le riunioni degli alcolisti anonimi che si vedono nei film americani.
C'è Elena, splendida quarantenne russa «felicemente divorziata». Ha cominciato ad aver paura di volare da quando è nato suo figlio «che oggi ha 15 anni e invece adora gli aerei». C'è Filippo, che vola per lavoro 200 giorni all'anno ma dopo una terribile turbolenza provata ai Caraibi («ero aggrappato a una lampada, minuti terribili») non è più tranquillo. C'è Marco, che alla soglia dei quarant'anni non ha ancora superato il trauma per l'esonero a militare di vent'anni prima e da allora soffre di crisi d'ansia depressive. C'è Tiziana, a cui i genitori hanno sempre detto fin da piccola che volare è pericoloso e allora evita di salire in aereo per non dare un dispiacere ai suoi nel caso succedesse qualcosa di brutto. C'è il presidente di un'importantissima azienda di intimo insieme con tutta la famiglia: volavano tranquilli finché l'anno scorso in decollo da Olbia sono stati costretti a un atterraggio d'emergenza per l'avaria e lo spegnimento di un motore. C'è l'irresistibile Danilo, che dopo aver allacciato le cinture di sicurezza prende la Valeriana «come i pop corn», fidanzato con un'agente di viaggio costretta per le fobie del compagno (nate apparentemente senza motivo, come spesso succede) ad accettare le vacanze in Puglia rinunciando alla Thailandia...
Le storie sono simili a tante altre di tutti coloro che sono passati attraverso questo corso. Una piccola percentuale rispetto a quel 52 per cento di italiani che non ama volare o la fa con estrema difficoltà. «In realtà non si tratta di paura - spiega Colautti al gruppo -. La paura si prova di fronte a un pericolo reale: un leone entra in una stanza e tutti hanno paura. È un'emozione primaria che non si può gestire. Quella da combattere è piuttosto l'ansia (emozione secondaria) che genera pensieri negativi. E l'ansia può essere scatenata dai motivi più disparati: problemi affettivi, sentimentali, maternità. Non è raro trovare assistenti di volo che dopo essere diventate mamme rinunciano al lavoro per ragioni di ansia».
Bisogna quindi fare fronte alle proprie risorse personali per generare pensieri positivi in vista di un viaggio «così si trova equilibrio con il grado di minaccia», aggiunge Colautti. Questo insegna il corso. E impararlo non è così difficile: si calcola che il 93 per cento dei partecipanti a queste giornate (200 dall'inizio del 2011) «guarisce» dalla fobia.
Poi ci sono le statistiche e le motivazioni tecniche che dovrebbero convincerci quanto è bello stare in cielo. Attualmente si fanno 25 milioni di voli all'anno e si registra un evento negativo (non necessariamente catastrofico) ogni 1 milione e 600 mila voli. Sulla base di questi numeri bisognerebbe volare 2.500 anni per rischiare la morte in aereo. «Ovvero sul mezzo più sicuro del mondo. Se non altro perché in aviazione vige il principio della ridondanza. Ogni sistema (elettrico, idraulico, meccanico) è doppio o triplo. Non funziona un motore? Si utilizza l'altro. L'impianto elettrico va in tilt? Ci sono altri due generatori...», conclude il comandante, bombardato da centinaia di domande liberatorie. Sono passate quasi tre ore e i volti di tutti sembrano molto più sereni. È ora di pranzo. L'unico momento in cui lo staff si separa: «Ci mettiamo a un altro tavolo perché voi dovete fare gruppo». Il pomeriggio è dedicato alle tecniche di rilassamento. Il metodo adottato è quello di Jacobson: contrarre e rilasciare progressivamente i muscoli del corpo, dal collo fino ai piedi. Siamo seduti in cerchio e la lezione termina proprio quando stavamo per prenderci gusto.
La mattina dopo la «classe», per l'occasione super coccolata da Alitalia (che poi segue i partecipanti al corso per un anno intero) è a Linate. Si sale per ultimi, dopo gli altri passeggeri. Tutti vicini, istruttori compresi. Il clima è da gita scolastica. Un'ultima domanda prima di chiudere i portelloni: c'è qualcuno che non se la sente? Si va? Si va. L'aereo stacca, il cielo è blu, nessuna turbolenza.
L'atterraggio a Roma è accolto da un applauso liberatorio. Stiamo bene. Un altro pranzo insieme in trattoria a Fiumicino e poi tutti sul simulatore. Ovvero la cabina di pilotaggio dove si addestrano i piloti. Qui Colautti ci fa provare turbolenze, fulmini, avarie di motori. Un realismo incredibile. Ma così dimostra concretamente che l'aereo può sopportare di tutto e ha una soluzione per ogni emergenza. Addirittura ci affida i comandi per decolli, atterraggi e virate. Davanti a noi l'ologramma riproduce nei minimi dettagli il paesaggio (neve, sole, montagne, mare...) o l'aeroporto che desideriamo.
Non scenderesti più. Ma è ora di tornare a Milano. Questa volta ancora più sereni. Lo dimostrano gli occhi di Liliana, l'insegnante. Sembra una bambina a Gardaland. Guarda fuori e continua a ripetere «Che bello! Che bello!». Stringe tra le mani un piccolo peluche. «È il mio portafortuna, una renna di Babbo Natale. Mi sono detta, se volano loro...» (Corriere.it)
http://www.alitalia.com/IT_IT/your_travel/organize/flying_at_ease.htm
Storia di chi ce l'ha fatta (grazie anche a Jovanotti)
«Non preoccupatevi, sono convinta che morirò di giovedì, quindi domani andrà tutto bene». Liliana è un'insegnante appena andata in pensione. Non è mai salita su un aereo in vita sua ed ora è qui, in sala Lindberg, nei sotterranei di un hotel poco distante da Linate, per convincersi che sì, si può fare, «che non ha più senso trascorrere 28 ore in treno per raggiungere Praga». Non è sola, siamo in quattordici. Nove uomini e cinque donne. Decisi a guarire dalla paura di stare lassù. Il corso si chiama Voglia di volare. Due giorni intensi da trascorrere gomito a gomito insieme con il comandante Alberto Colautti (capo di tutti i piloti dell'Airbus 330); lo psicologo Walter De Gusti (anche lui pilota) e Stefania Viggiano il cui compito, quando non ha a che fare con noi fifoni, è quello di preparare gli assistenti di volo ad affrontare qualsiasi emergenza. Un giorno di teoria e la domenica il decollo verso Roma, la prova al simulatore di volo di Fiumicino e rientro la sera.
Seduti intorno a un tavolo disposto a ferro di cavallo, coperto di panno verde, accolti dalle note di Mi fido di te di Jovanotti (...«la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare...») mandata a ripetizione come un mantra, siamo pronti a confessarci. Funziona un po' come le riunioni degli alcolisti anonimi che si vedono nei film americani.
C'è Elena, splendida quarantenne russa «felicemente divorziata». Ha cominciato ad aver paura di volare da quando è nato suo figlio «che oggi ha 15 anni e invece adora gli aerei». C'è Filippo, che vola per lavoro 200 giorni all'anno ma dopo una terribile turbolenza provata ai Caraibi («ero aggrappato a una lampada, minuti terribili») non è più tranquillo. C'è Marco, che alla soglia dei quarant'anni non ha ancora superato il trauma per l'esonero a militare di vent'anni prima e da allora soffre di crisi d'ansia depressive. C'è Tiziana, a cui i genitori hanno sempre detto fin da piccola che volare è pericoloso e allora evita di salire in aereo per non dare un dispiacere ai suoi nel caso succedesse qualcosa di brutto. C'è il presidente di un'importantissima azienda di intimo insieme con tutta la famiglia: volavano tranquilli finché l'anno scorso in decollo da Olbia sono stati costretti a un atterraggio d'emergenza per l'avaria e lo spegnimento di un motore. C'è l'irresistibile Danilo, che dopo aver allacciato le cinture di sicurezza prende la Valeriana «come i pop corn», fidanzato con un'agente di viaggio costretta per le fobie del compagno (nate apparentemente senza motivo, come spesso succede) ad accettare le vacanze in Puglia rinunciando alla Thailandia...
Le storie sono simili a tante altre di tutti coloro che sono passati attraverso questo corso. Una piccola percentuale rispetto a quel 52 per cento di italiani che non ama volare o la fa con estrema difficoltà. «In realtà non si tratta di paura - spiega Colautti al gruppo -. La paura si prova di fronte a un pericolo reale: un leone entra in una stanza e tutti hanno paura. È un'emozione primaria che non si può gestire. Quella da combattere è piuttosto l'ansia (emozione secondaria) che genera pensieri negativi. E l'ansia può essere scatenata dai motivi più disparati: problemi affettivi, sentimentali, maternità. Non è raro trovare assistenti di volo che dopo essere diventate mamme rinunciano al lavoro per ragioni di ansia».
Bisogna quindi fare fronte alle proprie risorse personali per generare pensieri positivi in vista di un viaggio «così si trova equilibrio con il grado di minaccia», aggiunge Colautti. Questo insegna il corso. E impararlo non è così difficile: si calcola che il 93 per cento dei partecipanti a queste giornate (200 dall'inizio del 2011) «guarisce» dalla fobia.
Poi ci sono le statistiche e le motivazioni tecniche che dovrebbero convincerci quanto è bello stare in cielo. Attualmente si fanno 25 milioni di voli all'anno e si registra un evento negativo (non necessariamente catastrofico) ogni 1 milione e 600 mila voli. Sulla base di questi numeri bisognerebbe volare 2.500 anni per rischiare la morte in aereo. «Ovvero sul mezzo più sicuro del mondo. Se non altro perché in aviazione vige il principio della ridondanza. Ogni sistema (elettrico, idraulico, meccanico) è doppio o triplo. Non funziona un motore? Si utilizza l'altro. L'impianto elettrico va in tilt? Ci sono altri due generatori...», conclude il comandante, bombardato da centinaia di domande liberatorie. Sono passate quasi tre ore e i volti di tutti sembrano molto più sereni. È ora di pranzo. L'unico momento in cui lo staff si separa: «Ci mettiamo a un altro tavolo perché voi dovete fare gruppo». Il pomeriggio è dedicato alle tecniche di rilassamento. Il metodo adottato è quello di Jacobson: contrarre e rilasciare progressivamente i muscoli del corpo, dal collo fino ai piedi. Siamo seduti in cerchio e la lezione termina proprio quando stavamo per prenderci gusto.
La mattina dopo la «classe», per l'occasione super coccolata da Alitalia (che poi segue i partecipanti al corso per un anno intero) è a Linate. Si sale per ultimi, dopo gli altri passeggeri. Tutti vicini, istruttori compresi. Il clima è da gita scolastica. Un'ultima domanda prima di chiudere i portelloni: c'è qualcuno che non se la sente? Si va? Si va. L'aereo stacca, il cielo è blu, nessuna turbolenza.
L'atterraggio a Roma è accolto da un applauso liberatorio. Stiamo bene. Un altro pranzo insieme in trattoria a Fiumicino e poi tutti sul simulatore. Ovvero la cabina di pilotaggio dove si addestrano i piloti. Qui Colautti ci fa provare turbolenze, fulmini, avarie di motori. Un realismo incredibile. Ma così dimostra concretamente che l'aereo può sopportare di tutto e ha una soluzione per ogni emergenza. Addirittura ci affida i comandi per decolli, atterraggi e virate. Davanti a noi l'ologramma riproduce nei minimi dettagli il paesaggio (neve, sole, montagne, mare...) o l'aeroporto che desideriamo.
Non scenderesti più. Ma è ora di tornare a Milano. Questa volta ancora più sereni. Lo dimostrano gli occhi di Liliana, l'insegnante. Sembra una bambina a Gardaland. Guarda fuori e continua a ripetere «Che bello! Che bello!». Stringe tra le mani un piccolo peluche. «È il mio portafortuna, una renna di Babbo Natale. Mi sono detta, se volano loro...» (Corriere.it)

http://www.alitalia.com/IT_IT/your_travel/organize/flying_at_ease.htm