[TR] Di maiali satanici, ghiacci e aurore


venexiano

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12 Novembre 2005
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Agosto. Caldo torrido a malapena sopito dalle raffiche di meltemi. Mentre sorseggio il mio frappè, mi viene posta la domanda: “Ma perché siamo di nuovo venuti a Samos? Cioè, non mi fraintendere, ma con tutta questa gente diventa stancante. Io volevo andare a Reykjavík!”.

Beh, sai che c’è? Ci andiamo.

Detto, fatto. Ancora steso al sole dell’Egeo, prenoto con SAS, opzione migliore per una breve vacanza pasquale, sfruttando il ponte del 25 aprile e cogliendo l’occasione per volare di nuovo con Icelandair in codeshare.

Per me sarà la prima volta con SAS. I voli saranno operati con dei banali A320neo, mentre Icelandair (scongiurando cambi di aeromobile dell’ultimo minuto, come talvolta accade) promette un po’ d’aria retrò con uno dei suoi 767-300.

Avevo accarezzato l’idea di un MXP-KEF diretto con 757, ma i costi esorbitanti e le frequenze non adatte ai nostri scopi mi hanno, purtroppo, fatto desistere.

Nei mesi successivi inizio a costruire l’itinerario e prenoto una macchina a noleggio con Blue Car Rental, a un prezzo che non voglio nemmeno immaginare.

In generale, il tasso di cambio fra euro e corone islandesi resterà, se non un mistero vero e proprio, qualcosa di indefinito. Non tanto perché non ci sia modo di capirlo, beninteso: Google funziona a meraviglia anche in Islanda. Vedetela come una banale misura di autotutela secondo l’antico detto islandese “Úr augsýn, úr huga – fáfræði er sæla”. Insomma, preferisco proprio non saperlo.

Si va, dunque. Sono talmente poco abituato a viaggi non in contesti urbani o balneari che devo prima dotarmi di qualche indumento adatto al meteo imprevedibile. Consorte e prole sono già equipaggiate – già, perché si parte con il centro di costo al seguito e l’itinerario è tarato di conseguenza, con quello che spero sarà un buon equilibrio fra l’avventura e delle tappe dal sapore più borghese.

Anche per questo motivo, oltre che sulla base dei miei ricordi della mia prima visita nel 2003, ci limiteremo alla metà meridionale del Paese. Vale a dire che si arriverà fino a Höfn prima di rientrare verso ovest, in prossimità di Padova. Per chi non lo sapesse, è appunto vicina all’Islanda:


MXP-OSL-KEF

Arrivo al mercoledì prima di Pasqua totalmente impreparato e faccio i bagagli alla bell’è meglio. Il check-in online di SAS funziona senza problemi e salvo le carte d’imbarco. Noto che la mia ha un colore diverso rispetto a quelle di consorte ed erede: idea semplice ed efficace per permettere al titolare dell’account di identificare subito la propria carta d’imbarco.

Si parte dalla brughiera, e dato l’orario umano, andiamo di S13 e Malpensa Express. Che cos’abbia di “Express”, poi, non lo so: pagherei più volentieri 13 euro o anche di più se fosse un vero treno dedicato senza fermate intermedie, ma tant’è.

Superata la triste stazione del T1 e la lenta fila al check-in, depositiamo i bagagli e anche un trolley su suggerimento dell’addetta al banco, la quale per la verità sembra un po’ persa nell’iperuranio.

Con la coda dell’occhio scorgo un aereo Lufthansa in atterraggio: un A350 da MUC. Che ci fa qui?

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Ai controlli si va di fast track per evitare code o, in alternativa, la family lane ancora equipaggiata con i vecchi scanner: se c’è la possibilità di usare quelli nuovi, ormai non si torna più indietro.

Tempo infame e A350-1000 Etihad al satellite B.

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Il satellite A si presenta sempre fatiscente. Non si pretende di essere ai livelli di eccellenza di Fiumicino, ma almeno una rinfrescata come in altre parti del terminal, o come a Linate... Chissà se e quando cambierà.

MXP-OSL
SK4718
11:20-13:55 (ATD 11:57 – ATA 14:03)
Airbus A320-251N | msn 9312 | first flight: 11/10/2019
SE-ROJ “Skule Viking”
Seat 21E


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Imbarchiamo in orario di fianco a un 777 Privilege Style e veniamo accolti dalla classica affabilità scandinava. Cabina gradevole, seppure molto scura, con pitch nella media. Il volo è privo di segni particolari, e il servizio è buy on board, a esclusione di tè, caffè e acqua.

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Apprezzabile la consapevolezza nel mettere il sacchetto direttamente all’interno del menù.

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A OSL il tempo è bigio.

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L’aeroporto in sé è abbastanza gradevole, ma non lascia il segno. Anzi, basta mezz’ora e già non vedo l’ora di andarmene: nell’area dedicata ai voli Schengen pare non esista più l’area bimbi, e già temo il peggio… per poi constatare che l’erede, tutto sommato, affronta la cosa con filosofia. Sia come sia, mangio un fish & chips decente.

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OSL-KEF
SK4785
16:35-17:25 (ATD 16:55 – ATA 17:18)
Airbus A320-251N | msn 12028 | first flight: 13/03/2024
SE-RUO
Seat 23B


Finalmente inizia l’imbarco per Pad—ehm, per Keflavík. Di nuovo un A320neo, e con un bel contingente di passeggeri italiani. Ancora mi fa uno strano effetto vedere SAS in Skyteam.

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De-icing prima di decollare, in leggero ritardo.

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Il volo è sostanzialmente una fotocopia del primo, con la differenza che ho prenotato un pasto per l’erede perché non si sa mai: pollo e verdure ok, pasta di cartone, ma va bene così.

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Inizia l’avvicinamento a KEF. Fuori il paesaggio si fa decisamente interessante: si vede molto bene il ghiacciaio Mýrdalsjökull.

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L'area geotermica di Gunnuhver.

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Velkomin til Íslands!

Un po’ di fauna locale.

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Sono le 17equalcosa e si vede pure il sole, ovviamente ancora alto. La mente ritorna al 2003 e le sensazioni di felicità sono simili. Allo stesso tempo, intuisco subito gli effetti del boom del turismo. Avremo modo di parlarne più avanti.

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Per ora, recuperiamo gli averi e usciamo verso l’Islanda, dove troviamo rapidamente il pullman per Reykjavik passando accanto ai cantieri di ampliamento del terminal. Procedura di imbarco e controllo biglietti molto rilassata, quasi alla greca, così come il transfer ai minibus che portano direttamente agli hotel.

Quello con la Grecia è un paragone che ci capiterà di fare spesso: qui in Islanda è tutto molto easy, a volte è più sgarrupata di quanto non ti aspetteresti, ma alla fine funziona sempre tutto, proprio come nel mio amato Egeo. Con i dovuti distinguo, certo. Ma l’impressione è quella e non fa che confermare la mia affinità per questa terra remota.

Per restare in tema, la già citata autodifesa dalla conoscenza del tasso di cambio ci porterà a parlare non di corone islandesi, bensì di dracme.

Ma iniziamo a esplorarla insieme, questa terra, in comodi capitoli tascabili, consapevole del rischio di sfociare nella didascalia in ordine cronologico.

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venexiano

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Giorno 1: Reykjavík

Per questa tappa urbana ho prenotato al Centerhotel Klöpp, in una posizione comoda che compensa la mediocrità della struttura.

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È ormai ora di cena e optiamo per qualcosa nelle immediate vicinanze. Il ristorante Sjávargrillið sembra fare al caso nostro: salmone e merluzzo buoni, mentre la zuppa di pesce, a detta della consorte, sa di crema catalana con l’aggiunta di cozze. Non riesco a darle torto. Buono il tortino al cioccolato con vari topping da cui scegliere, mentre è oltremodo amaro il conto di millemila dracme.

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Non avendo grandi pretese di esplorare ogni angolo della città, cerchiamo di coglierne qualche aspetto passeggiando in tranquillità.

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Ricordavo quasi solo la celebre Hallgrímskirkja, e stavolta diamo un’occhiata anche a qualche museo, come la galleria nazionale Listasfan Íslands e il National Museum of Iceland. Quest’ultimo dà una buona panoramica della storia del Paese dai tempi dei primi insediamenti umani.

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Quando aspetti che esca la error fare giusta.

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Quando sei stanco ma soddisfatto per aver trovato il volo con gli orari comodi per il weekend.

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Faces of Iceland through the decades.

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Libri di un certo livello.

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Bella anche la sala concerti e centro congressi Harpa. Se vi interessa, al piano interrato si può acquistare l’ingresso a un video “immersivo” che porta quasi dentro a un vulcano: divertente ed avvincente non solo per i più piccoli.

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Ne approfittiamo per una passeggiata nel parco Hljómskálagarður. Sono numerosissimi i cigni e le anatre, oltre ad altri tipi di volatili in partenza dal vicino aeroporto di Reykjavík.

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In tutto ciò, una curiosità che voglio finalmente togliermi dopo tanti anni è il famigerato hákarl, ovvero lo squalo fermentato ed essiccato. Nel Café Loki, di fronte alla Hallgrímskirkja, la gentile cameriera consiglia di masticarlo per 10-15 secondi: appena si inizia a sentire il sapore di ammoniaca, bisogna deglutire e buttare giù un sorso di liquore brennivín. Non so cosa sia peggio in tutto ciò, ma mi faccio coraggio e mando giù 3 cubetti su 4 (il quarto lo ha provato la consorte). Decisamente meglio il pesce essiccato harðfisk, da gustare con un po’ di burro.

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Butto giù tutto con un po’ di birra Viking, e poche ore dopo vado di fish & chips prima di crollare a letto.

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Giorno 2: Golden Circle

Dopo colazione faccio una passeggiata fino al porto per recuperare l’auto a noleggio, una Toyota RAV4 ibrida. Con un “bip” do una bella botta alla disponibilità della carta di credito, ritiro il router portatile con SIM 4G (c’è il roaming UE, ma meglio avere un backup), il rialzo per l’erede, e via a recuperare signore e bagagli. Per parcheggiare in centro si possono usare diverse app, fra cui anche EasyPark, da me utilizzata abitualmente in Italia.

L'ottimismo in uno scatto.

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La primissima tappa sarà in un supermercato per fare scorta di cibo per il viaggio.

Più di qualche report, su queste pagine, ha ormai reso nota la catena di discount Bónus, sulla cui insegna campeggia un delizioso maialino dall’espressione vagamente satanica (grazie @13900 per avermelo fatto notare). L’erede e il sottoscritto si lasciano stregare dal demonio sotto forma di suino, cedendo alla tentazione di comprare il merchandising a tema.

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Those eyes… those damn eyes.

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Partiamo con le classiche tappe del Golden Circle. In circa 40 minuti si raggiunge la celebre Þingvellir, luogo di grande rilevanza sotto molti aspetti: proprio qui, nell’anno 930, venne fondato l’Alþingi, il più antico parlamento al mondo ancora esistente. Sempre qui, nell’anno 1000 il Cristianesimo venne decretato come unica religione del Paese, e nel 1944 venne proclamata l’indipendenza islandese.

Dal punto di vista geografico è un luogo altrettanto importante, trovandosi su una frattura dovuta alla deriva dei continenti: da un lato la placca nordamericana, dall’altro quella eurasiatica.

Come in molti parchi e riserve naturali in Islanda, l’accesso di per sé è gratuito e bisogna pagare il parcheggio. Sono 1.000 corone, che mi dicono siano poco meno di 7 euro, ma continuo a non volerlo sapere con esattezza.

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Pranzo al sacco con panini al prosciutto di agnello affumicato, un classico, e si prosegue verso Geysir, a circa 60 km.

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I geyser sono sempre un bello spettacolo e l’erede si diverte ad aspettare l’eruzione di uno dei più noti, lo Strokkur, ogni 5-10 minuti. Il sottoscritto, invece, fa lo splendido e calcola male l’effetto del vento, rimediando una doccia di acqua sulfurea.

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Una volta asciugatomi come meglio posso, mi rimetto al volante e ci dirigiamo verso l’ultima visita di oggi. Dopo appena 10 minuti ci accoglie con un arcobaleno Gullfoss, letteralmente la cascata d’oro, in tutta la sua magnificenza.

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Consorte ed erede sembrano soddisfatte e apprezzano la bellezza del luogo. Non resta che chiudere la giornata con l’ultima mezz’ora di guida fino al The Hill Hotel nella cittadina di Fluðir. Che dire: sarà di gran lunga l’alloggio migliore di tutto il viaggio. Mangiamo nel ristorante dell’albergo, di ottimo livello: il mio stinco di agnello si scioglie in bocca e le verdure di contorno sono cotte alla perfezione.

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La stanza è molto accogliente e si affaccia sull’ampio giardino interno, con accesso diretto a quest’ultimo da una porta dedicata nella doccia… in modo da potersi lavare e accedere in pochi passi alle due hot tub a disposizione dei clienti. Una ha una temperatura di 37-38°C, l’altra è sui 39-40°C.

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Mentre le mie signore preferiscono dormire, io ne approfitto e mi siedo in un angolo della vasca più calda. Due coppie islandesi fanno lo stesso e lasceranno qualche lattina di birra a far bella mostra di sé l’indomani.

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vipero

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Immagino tipo la pena di morte per chi lascia le lattine in giro da quelle parti, giusto?
 

Seaking

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L’Islanda non ha fatto bene al Prez 2.0.

Partito con il suo solito aspetto curato, da bravo professionista poliglotta, nello spazio di qualche giorno è stato immortalato in veste “local”, completamente trasformato.




Si dice che ora si faccia chiamare Floki e che vaghi di notte nelle selvagge terre islandesi, urlando alla luna…
 
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venexiano

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Giorno 3: Cascate a più non posso

Nel buffet del mattino non manca la classica bottiglia di olio di fegato di merluzzo, per la colazione dei campioni.

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Una volta rifocillati, siamo pronti per proseguire. Oggi il programma prevede un’altra scorpacciata di cascate illustri: Seljalandsfoss e Skógafoss.

Per Seljalandsfoss sono circa 85 km, e più o meno a metà strada ci imbattiamo nell’American Schoolbus Café, buono più per una foto insolita che per il caffè.

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Ed ecco, finalmente, una delle più famose cascate islandesi, con il suo sentiero che porta dietro al getto d’acqua. È indispensabile vestirsi con abiti impermeabili, in quanto la doccia è garantita.

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Temperature non proibitive ma abbastanza basse da far ghiacciare l’acqua a terra.

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Ma non è tutto. A pochi minuti a piedi da Seljalandsfoss, nascosta dietro una parete rocciosa, c’è Gljúfrabúi: se prima avevo fatto la doccia, qui è come farsi tirare addosso secchiate d’acqua.

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Mi asciugo al tiepido sole mentre l’erede si diverte a fare la ruota ed esplora le piccole caverne nei dintorni.

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Il meteo, in tutto ciò, ci sta decisamente graziando. Proseguiamo dunque per l’ennesima cascata, ovvero Skógafoss. È originata dal fiume Skógaá, proveniente dal ghiacciaio Eyjafjallajökull, che molti di noi ricorderanno per l’eruzione del 2010.

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È senz’altro molto fotogenica, sia dal basso che dall’alto.

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Stasera prevediamo di alloggiare a Vík, ma non prima di dare un’occhiata a qualcosa di molto particolare a soli 10 minuti da Skógafoss. Ci fermiamo in un parcheggio in mezzo al nulla sulla Ring Road, in località Sólheimasandur, dal quale si arriva qui:

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Forse non tutti sanno che, il 21 novembre 1973, un Douglas C-117D della US Navy si schiantò proprio qui, in condizioni di forte formazione di ghiaccio. I sette membri dell’equipaggio sopravvissero all’incidente, mentre l’aereo era un write-off. Il relitto della fusoliera è rimasto qui ed è ormai diventato un’attrazione turistica.

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Probabilmente la cosa più insolita e più sorprendente dell’intero viaggio.

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L’atmosfera è abbastanza surreale, immersi in questo paesaggio lunare sferzato senza pietà dal vento gelido. Meno male che c’è una navetta ogni mezz’ora: con questo freddo, i 3 km a piedi per tornare sarebbero stati decisamente troppi.

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Bastano 20 minuti di macchina per arrivare a Vík, dove pernotteremo. Per cena ripieghiamo su una tavola calda asiatica gestita da personale greco. L’albergo, Hotel Katla, non è male: è dotato di un grande hot tub con un comodo spogliatoio e doccia, e pure una piccolissima sauna.

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