[TR] MXP-ZRH-DEL / DEL-JAI / JAI-BOM-DEL / DEL-MUC-MXP: India India, un anno fa


I-DAVE

Moderatore
6 Novembre 2005
10,832
945
a Taiwan, nel cuore e nella mente
Il bello di lavorare con colleghi da mezzo mondo - rectius: da tutto il mondo - è che ogni tanto scappa l'occasione per finalizzare qualche progetto di persona, e quindi di trovarsi in qualche paese a caso. Per questo gruppo di lavoro, metà delle persone è EU/UK based, metà in Australia, un paio in India: fatta la somma e diviso per due, e consideranto che la volta scorsa ci siamo trovati a Cambridge, la media dice che l'India è effettivamente il posto geograficamente migliore per trovarsi. Agosto non è proprio il mese migliore per l'India, ma di certo non ci facciamo problemi. Magari qualcuno, direttamente in loco, ma vediamo più avanti.

L'altra cosa bellissima è che, per policy aziendale, possiamo attaccare ferie ai viaggi di lavoro, pagandoci ovviamente tutte le spese connesse, se il costo del volo non varia rispetto al rientro previsto. Verificato e documentato quanto sopra, anzi facendo risparmiare un altro centinaio di euri buoni rispetto al prezzo per il rientro corretto, decido di provare Magic India e fare una settimana in loco.

I prezzi dei voli sono folli, tecnicamente sui voli sopra le otto ore è prevista la Y+ ma in andata è assolutamente improponibile; alcuni colleghi non se ne preoccuperebbero e spenderebbero comunque tremila neuri, io mi faccio qualche problema e quindi l'andata sarà in Y con gli orari più comodi che trovo. Al ritorno la Y+ in effetti costava circa duecento euro in meno dell'economy, i misteri del revenue management che non capirò mai. Lufthansa Konzern era la più economica, ma siamo comunque su prezzi abbastanza fuori controllo (prenotato più di tre mesi prima, per inciso).

Parto come sempre sulla fida S50, che paradossalmente arriva dalla Svizzera (da Biasca), direzione Malpensa. È una luminosa e calda, ma non asfissiante, mattina di quasi metà agosto. Mi rendo conto sotto il sole che ho dimenticato il cappellino e, visto che sto per perdere i pantaloni, anche la cintura. Inizia bene quello che è il mio primo (medio)-lungo raggio dalla fine della pandemia. Qualcuno mi lancia pure l'anatema: "il non avere la cintura addosso si rivelerà un fattore chiave quando - inevitabilmente - lo squaraus ti coglierà in terra indiana...". Sento il grassettocorsivo di quel "inevitabilmente" proiettare tutta la sfiga del mondo su di me.

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Il grande esodo è passato, le scuole sono chiuse, per cui sul treno c'è ampio spazio, tanto che non mi preoccupo neppure di andare verso la prima classe, come prevederebbe qualsiasi biglietto da/per MXP.

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A Ferno-Lonate Pozzolo (che il diavolo se le porti, 'ste stazioni del menga) si svampa il treno: è come i flipper, ha ricevuto una botta e si è resettato da solo. Stiamo dieci minuti senza luce, senza aria condizionata, senza avvisi. Poi un trillo degno di un 386 con 4Mb di RAM e gli schermi a soffitto si riavviano, col BIOS di Windows 3.11 che parte.

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Arrivati infine a Malpensa, evito una delle scale mobili rotte (ma va! Chi l'avrebbe mai detto che la manutenzione SEA fa pena), e vado gioioso al check-in combinato Swiss/Lufthansa/Austrian/Brussels/Eurowings. Arriva il mio turno, invero velocemente, deposito la documentazione sul banco, la valigia sul nastro, e la signorina mi chiede il visto/eVisa.

"Mmhh è lì, la stampata del visto, quello che appare al termine della procedura"
"No no, c'è un'altra schermata. È sicuro di non averlo stampato?"
"Ma no, c'era scritto che l'unico documento sarebbe stata quella schermata. Guardi, è qui, ho ancora accesso" (prendo il telefonino e le faccio vedere la schermata. Il panico mi assale)
"Qui qui, deve cliccare qui e quindi scaricare l'eVisa"
"Perdincibacco e acciderbolina! Dove posso farlo stampare, ora?"
"Vada lì alla biglietteria, le fanno pagare cinque euro ma almeno parte"

Recupero documentazione varia, la valigia, esco dalla fila, vado nella fila dei disperati in biglietteria, e dopo un quarto d'ora di tribolazioni riesco a far stampare il benedetto eVisa. Mannaggia alla demenziale burocrazia indiana.

Torno al check-in, ricapito con la stessa signorina, e rifacciamo tutto da capo. Mi sento un po' il pirlacchione che non ha mai messo piede fuori dal villaggio. Soddisfatta dalla quantità di documentazione (corretta) prodotta e soprattutto dall'eVisa stampato, mi accetta la valigia e mi dà le carte d'imbarco per entrambi i voli.

Ho ancora tempo, per fortuna arrivo sempre in aeroporto con largo anticipo; nonostante l'aeroporto sembri uno zoo, i controlli sicurezza sono veloci e finalmente scopro l'utilità di un duty free: comprare una cintura. Sono pezzente quindi vado da Carpisa, che per 20 euro risolve il problema, buco aggiuntivo incluso.

Oggi Malpensa sembra un aeroporto vero, tanti aerei e tante persone, incluso questo Embraer special livery polacco.

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Passato indenne il resto dello sbrilluccicante duty-free, è ora di entrare nel girone tristissimo del Satellite A, con il suo antico granigliato nero e pareti verdi & crema. Sottsass...

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Tra una cosa e l'altra, non devo attendere molto per imbarcare su questo volo Swiss ma operato da AirBaltic in wet-lease. C'è penuria di aerei: Airbus vari, sia 220 che 320, sono al prato grazie ai problemi con i geared turbofan di Pratt&Whitney, problema che richiederà ancora un paio di anni per essere, si spera, risolto; e quindi si prendono aerei da chiunque ne abbia disponibili.

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Schiacciati a sinistra da un volo Ryanair per Lamezia, e a destra da uno Air France per Parigi, ci si inventa due specie di file. L'imbarco parte in orario ma alle 10:45, orario previsto di partenza, stiamo ancora imbarcando passeggeri.

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Tratta: Milan-Malpensa (MXP) >>> Zurich (ZRH)
Volo: LX 1613 op by AirBaltic
Aereo: Airbus A220-300 (Bombardier CS-300)
Marche: YL-ABB
Età: 2.1 anni
Posto: 27A
Sched/Actual: 1133-1214 // 1045-1140
Durata volo: 47′
Gate: K08

L'equipaggio, come l'aereo - essendo un wet-lease - sono di AirBaltic e l'unica personalizzazione di Swiss è la federina sopra il poggiatesta (che, tecnicamente, si chiama antimacassar) e la rivista di bordo/buy-on-board. Lo spazio per le gambe è sufficiente anche con lo zainetto in mezzo ai piedi.

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FlighRadar mi dice che il volo è previsto in partenza alle 11 e qualche minuto; poco male, di solito il tempo di volo da Malpensa a Zurigo è raramente sopra i 30/35 minuti anche atterrando da nord, per cui un'ora di connessione dovrebbe essere più che sufficiente.

Senonché il capocabina, dopo essere passato e ripassato almeno tre volte con l'affarino per contare i passeggeri, annuncia: Dear passengers please check your boarding pass, seat number and final destination - this is flight LX 1613 to Zurich. We have one extra passenger onboard. If this is not your flight, please immediately contact a member of the crew.

Tra uno sfrusciare di carte d'imbarco, qualche madonna che si alza tra i ueeefeega con le connessioni a rischio, e farfugliare semi-divertito di qualche passeggero che la prende sul ridere, fanno un ultimo controllo persona-a-persona sulla carta d'imbarco. Ne risulta che non c'è nessun portoghese e che possiamo finalmente chiedere la messa in moto. Qualche milanese ueefeega intanto fa il cinema con le assistenti di volo perché il volo è in ritardo e perderanno la connessione. Tecnicamente pure la mia è a rischio, ora molto concreto, di saltare.

Il comandante ci comunica che il nostro slot è alle 11.30 ed effettivamente partiremo solo alle 11.33.

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Facciamo la parata dei cargo alla cargocity, è sempre un piacere vedere livree così colorate, tra cui si nasconde la coda di un 787 Azerbaijan Airlines - Aliyev in gita-shopping al Serravalle Outlet?

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Decolliamo con brio, e notevolissimo ritardo, dalla 35L, con superba vista sui satelliti.

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Los Norteamericanos occupano militarmente il Sat C - Delta, Delta, American che ha appena staccato (fuori foto) e Air Canada in livrea Star Alliance, con LATAM che estende il dominio dalla sezione meridionale del continente. Sullo sfondo, Volandia, alle ex officine Caproni.

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Visto che il progetto di Malpensa è nato vecchio, non ci sono abbastanza jetbridge per tutti; quindi, a rotazione, si va ai remoti. Oggi tocca a Singapore Airlines ed Ethiopian, per una doppietta tutta made in Tolosa (Airbus 350).

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Il volo da Malpensa a Zurigo di solito è quasi sempre una riga dritta. Passiamo sopra Varese, con il Sacro Monte prima e il centro città poi. Si vede anche casa!

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Luino. Dall'altra parte, sulla riviera dei bogianen, Cannero Riviera; che se a Luino ci si taglia le vene, a Cannero Riviera occorre andare a Luino pure per tagliarsi le vene.

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Passiamo sopra le Alpi e viene offerto il solito rinfresco: acqua e cioccolatino. Negli anni, la bottiglietta d'acqua si è rimpicciolita. Shrinkflation.

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In compenso si può comprare un tagliere, mangiarne il contenuto, e portarsi a casa il tagliere in legno.

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Siamo in avvicinamento e, se non andiamo in holding o altro, potrei ancora riuscirci con una corsetta tra i terminal. Su Zurigo, però, regna l'apocalisse.

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Facciamo il giro lungo fino quasi a Basilea prima di atterrare per pista 14. La centrale idroelettrica di Eglisau-Glattfelden, sul Reno, risale al 1920. Parte delle attrezzature e opere d'arte che sono tecnicamente in acque e territorio tedesco, dato che il confine scorre lungo la linea mediana del Reno. La centrale è visitabile.

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Atterriamo sballottati dal vento. Un macinacaffè United lascia una scia che non si vedeva dai tempi dei Dc-8.

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Pascoliamo per il terminal, sicuro andremo allo stand più remoto di tutto l'aeroporto.

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Salutiamo gli spotter sulla terrazza. Significa che sì, andremo allo stand più remoto di tutto l'aeroporto.

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Appena blocchiamo, si alzano tutti in piedi, sopratutto chi ha una connessione ormai praticamente persa, come il sottoscritto - non che mi possa alzare, visto che sono lato finestrino. Appena esco, vedo un'addetta in uniforme Swiss con un cartello DELHI in mano che urla Passegiere nach Delhi, Passengers to Delhi?

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Mi avvicino e le dico che sono prenotato sul Delhi. Mi fa salire su un pullmino insieme ad altri 5 pax - tutti per Delhi, tranne un infiltrato per Dubai.

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Col pullmino facciamo un piccolo giro turistico, e ci fermiamo a quello che sembra l'ingresso del terminal - non proprio: è una specie di punto di transito EU/ExtraEU completamente dedicato ai transfer sottobordo. Scendiamo, la signora apre la porta con il badge; dietro - separato dal resto del terminal da una vetrata continua - c'è un controllo passaporto manuale gestito da due finanzieri che controllano velocemente i documenti, fanno passare dall'altra parte, che sbuca su una porta a fianco a quella da dove siamo entrati - ma separata da un secondo vetro, fisso - che la stessa autista ci riapre per farci tornare sullo stesso pulmino, per guidarci al terminal E da dove partono entrambi i voli di noi fortunati. Tanta ammirazione per l'efficienza, e un vivo ringraziamento a chiunque abbia pensato di mettere insieme un sistema simile per le connessioni strette (door-to-door in 15 minuti).

Portati al satellite E, la stessa signora ci accompagna di persona di fronte al gate, dove siamo gli ultimissimi a imbarcare, nonostante l'aereo sia in ritardo di mezz'ora (probabilmente per aspettare noi o qualche altro sfortunato nella roulette dei transiti). Al gate l'addetta ricontrolla tutti i documenti - eVisa please? Certo che ce l'ho questa volta. Carta d'imbarco validata e via verso il jetbridge.

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Tratta: Zurich (ZRH) >>> Delhi Indira Gandhi International (DEL)
Volo: LX 146
Aereo: Airbus A330-300
Marche: HB-JHC
Età: 14.1 anni
Posto: 40A
Sched/Actual: 1305-0015+1 // 1235-2350
Durata volo: 7h 40'
Gate: E56

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Saluto l'equipaggio in evidente trafelazione, mentre tutti (ma proprio tutti) mi guardano mentre imbarco per ultimo, probabilmente pensando che abbia tardato a salire a bordo per mangiare cioccolato e comprare un Rolex. Magari...

Faccio cortesemente alzare i due colleghi di fila indiani che mi accompagneranno sui posti 40B e 40C, praticamente quando l'aereo atterra a Delhi io sarò ancora sull'Afghanistan o giù di lì. Le cappelliere sono piene, escluso che possa metterci lo zainetto - non mi sconfinfera l'idea di fare della fotocamera una sbrisolona. Il problema è che i 330 di Swiss dovrebbero essere riconfigurati o mandati al macero, perché non si può proprio vedere un aereo, nel 2024, con ancora la scatoletta dell'IFE in mezzo ai piedi - letteralmente.

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Praticamente rulliamo che devo ancora allacciarmi la cintura, sotto uno di quei cieli che fanno venire voglia di un camino, cioccolata calda e una coperta.

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Rulliamo per decollare da pista 16 (come tutti i widebody a Zurigo), mentre un 320 decolla da pista 10.

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Satellite E e globalizzazione aeronautica.

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Il volo è pieno e, a parte la mia valigia che quasi sicuramente è da qualche parte dentro le budella dell'aeroporto, saremo sicuramente pieni di cargo e bagagli. Stacchiamo circa a metà tra Terminal A e Terminal B, con il B alla sinistra della foto.

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Un bel fronte temporalesco si sta avvicinando rapidamente all'aeroporto da nord-est, noi andiamo per fortuna in direzione opposta.

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Questo tempo è sempre garanzia di foto drammatiche :D

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Passiamo a sud di Winterthur, la sesta città svizzera per popolazione. Un tempo la Mecca dell'industria ferroviaria svizzera e sede della SLM (poi Sulzer), che aveva la propria fabbrica lungo i fasci dei binari. Della fabbrica-quartiere (visitabile) rimane pochissimo del passato prettamente industriale, visto che il quadrante è stato riconvertito e oggi ospita, tra le tante cose, la ex sede della Winterthur Assicurazioni, fagocitata dai francesi di AXA qualche anno fa per 8 miliardi di euro. Il centro di Winterthur è carino e merita la visita in giornata se siete a Zurigo.

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Dell'IFE antediluviano abbiamo già detto? Dico, oltre alla scatoletta in mezzo ai piedi. Lo schermo è mignon, con risoluzione degna di un Nokia 3310, ed è mezzo scardinato; almeno è touch e il telecomando a filo, che fa molto 2003, può rimanere nel bracciolo. Le cuffiette sono terribili ma senza adattatore non posso usare le mie...

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La selezione dei film è decente, decido di guardare House of Gucci. Carino. Sopra la Carinzia servono un piccolo aperitivo. Ginger ale per me.

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Lago Balaton, tutte le foto sono col telefonino perché non ho lo spazio fisico per tirare fuori anche la fotocamera :D si iniziano a vedere le assistenti di volo andare avanti e indietro a consegnare i pasti speciali (immagino quasi tutti hindu/jain meals).

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A quanto pare, non c'è scelta dell'opzione calda: indian meal o indian meal. Non viene neppure detto che c'è solo un'opzione - le assitenti di volo ti rifilano il vassoio così com'è. Riso basmati, dahl di lenticchie, curry di pollo e ceci, con un'antipasto che sembra un'insalata capricciosa e un tortino soffice al cacao come dolce, che servirebbero sei litri d'acqua per deglutirlo. Ad accompagnare, un rettangolo di Appenzeller e pane caldo che diventa di marmo dopo 15 minuti! Non sono un grande fan del pasto, che per me è già oltre la soglia del piccante (tanti auguri a me per le prossime due settimane!).

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La temperatura a bordo è simile all'inverno svizzero e la maggior parte dei pax è imbacuccata nella coperta; il mio vicino porta il concetto all'estremo.

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Intanto le luci di cabina vengono messe in modalità tramonto.

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Anche fuori è in modalità tramonto, ma dopo essere passato per acidi.

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Non potendo usare i miei auricolari in-ear, mi godo le gioie di un volo con marmocchi piangenti e la rumorosità intrinseca di un aereo progettato a fine anni '80. I tagli post-covid, pur con i profitti record che le compagnie stanno facendo di questi periodi, colpisce tutto; niente menu, niente rivista di bordo. Mi consolo guardando Death on the Nile, piacevole.

Poco prima che venga consegnato uno snack pre-atterraggio, faccio un salto alla toilette, aprofittando di un momento di veglia dei miei due vicini. Ammirevole lo stato dei bagni, invero puliti considerando le storie dell'orrore che si leggono su a.net e si sentono su radio galley riguardo i voli per il subcontinente, e nonostante il curry+dahl.

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Piccolo snack pre-atterraggio. Il lattice pastry (che non è un condom ripieno, ma è chiamato così per la decorazione superficiale) è abbastanza tremendo, cumino e menta insieme non sono per nulla di mio gusto. Si salva il gelato al mango.

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Siamo ormai in dirittura d'arrivo; non credo di avere più le gambe, e anche il fondoschiena dovrebbe essersi perso tra Tehran e l'Afghanistan, grazie al sedile sfondato e alla vetusta cabina svizzera.

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L'inquinamento luminoso di Delhi e dintorni credo abbia un concorrente solo nell'inquinamento atmosferico che insiste sulla stessa area.

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Atterriamo all'Indira Ghandi International con solo una ventina di minuti di ritardo. Attracchiamo ad un jetbridge, e lo sbarco richiede davvero tantissimo - sarà che sono stanco, sarà che l'aereo è pieno. La camminata per il terminal è piuttosto lunga; l'attesa per il controllo documenti altrettanto. Il finanziere indiano, che avrà avuto 12 anni, non riesce a riconciliare la foto del passaporto (senza barba) con la faccia reale (con barba) e mi continua a dire che la barba mi rende davvero un'altra persona. Delle dodicimila carte (invito, biglietto da visita, copia prenotazione hotel, la fottutissima stampata dell'eVisa, ecc ecc) non gliene frega una mazza.

Dopo 15 minuti buoni di attesa, mi lascia andare e, con la stessa certezza di ritrovare la valigia che avevo nella vittoria alla finale dei Mondiali di USA 94, trotto verso il nastro del ritiro bagagli. Sono passati circa 40 minuti dall'atterraggio e ancora non ci sono tutti; litigo col WiFi dell'aeroporto e, nei pochi attimi in cui riesco a farlo funzionare, Swiss mi comunica che il mio bagaglio ha vinto una soggiorno premio a Zurigo. Surprise surprise! Cerco di capire qual è l'ufficio dell'handler competente per fare la dichiarazione di delayed baggage, lo trovo dopo aver chiesto a tre persone che mi danno tre informazioni diverse, e compilo la dichiarazione col supporto (morale) di tre impiegati che, nel giro di solo altri 40 minuti, mi danno un modulo con un QR code e un reference number. Mi viene dato in gentile omaggio una washbag Star Alliance che dovrebbe alleviare le mie pene - non so cosa ci sia dentro, lo scoprirò solo in hotel.

Alleggerito dei miei beni materiali, con solo il mio zainetto e la washbag, tra uno sprazzo di connettività e l'altro riesco a messaggiare con l'autista dell'hotel che mi sta aspettando da un'ora e mezza. Esco, non lo trovo, anche perché non c'è - è tornato in hotel e ora sta tornando in aeroporto. Stanco e rincoglionito, mi dimentico di prelevare qualche rupia. Evito, sempre causa rincoglionimento, anche il banchetto della Airtel o come si chiama, ma in questo caso credo mi sia andata bene: stando a Google è in pratica una truffa - occorre un numero indiano di appoggio (un amico o un conoscente) per l'attivazione, senza che al banchetto te lo dicano!

Finalmente trovo l'autista, che mi guida per i parcheggi dell'aeroporto; fuori ci sono duemilioni di gradi e l'umidità di una serra tropicale. Dobbiamo salire al secondo piano - entriamo in un vecchio, buio, sporco e assai soffocante ascensore. Ho paura di avere un attacco di ansia e/o claustrofobico, ma non so come resisto e mi faccio i complimenti da solo, dicendo tra me e me che alla fine non era così tremendo. Saliamo in auto e la temperatura scende, in pochi minuti da 35 a 15 gradi. L'autista è ciarliero, parliamo un po' del più e del meno, interrotti dall'occasionale grande successo pop in hindi o punjabi che il nostro canticchia con trasporto.

Sono stato in paesi dove il traffico è tremendo e i rudimenti della guida un optional; ma laddove ciò era accompagnato da un senso di gioiosa scoperta e avventura, qui c'è solo terrore: auto contromano (non una, ma decine, di seguito, a formare un nuova corsia), svolte a caso, persone e animali sulle strade a grande scorrimento, corsie inesistenti, luci di posizione spente anche di notte oppure abbaglianti ad altezza pupille, invisibili tuk-tuk che fanno la gimkana tra tir e autobus. Brividi.

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Il percorso è quasi tutto su express way, in mezzo a grattacieli e shopping mall ultramoderni della cosiddetta Cyber City, tutta costruita (o quasi) da un unico sviluppatore, DLF, il cui logo spunta quasi ovunque; sembra la sede del dottor Male. A Gurgaon/Gurugram, mia destinazione, hanno sede la maggior parte delle aziende straniere (per lo più europee, coreane e giapponesi) ed è quindi sede di una folta comunità expat. L'hotel è al margine nord-orientale della città, a circa 20 minuti dall'aeroporto.

All'ingresso dell'hotel, tutte le auto vengono fatte fermare e controllate per esplosivi (con i cani) e con specchi per verificare che non ci siano bombe sotto il pianale - incluse le auto di proprietà dell'hotel stesso, come in questo caso.

Entro in hotel e vado alla reception, finalmente; faccio check-in, commentiamo con la giovane addetta che oggi viaggio leggero (Ha! Haha! Ha ha hahaha. Ha.) e prendo finalmente possesso della mia stanza. L'hotel, un Le Meridien, è stato prenotato dai nostri partners in crime australiani, primo perché è vicino al loro ufficio, dove avremo i nostri meeting; secondo, perché hanno un contratto con un ottimo prezzo.

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Non avendo valigia di disfare, non faccio altro che aprire la washbag, constatare che li contenuto è pressoché inutile a parte una maglietta in misto cotone-poliestere-pvc quattro taglie più grossa di me e che fa le scintille solo a guardarla, ma che mi consente di avere qualcosa di pulito da indossare domani, e un deodorante stick.

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Stanco e assonnato, riesco a non affogare sotto la doccia e ad addormentarmi quasi subito.

- Continua -

DaV
 

I-DAVE

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a Taiwan, nel cuore e nella mente
La vista dalla camera mi ricorda che a Gurgaon non c'è molto da fare o vedere, anche dopo l'orario di lavoro. Il palazzo coi vetri blu a destra è dove spenderemo la maggior parte del tempo in meeting.

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Per le pause pranzo, andiamo alla cantina dell'ufficio, dove abbiamo un paio di tavoli riservati e catering pronto (stranamente non pare abbia fatto altre foto!). Molto buono di sapore, apprezzo in particolare il paneer, ma la mia limitata capacità di assorbire cibo piccante hanno un po' limitato la mia voracità. Devo dire che sono migliorato un po' verso la fine della settimana :D

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Il mio bagaglio tecnicamente arriva domenica notte, chiamo e mi dicono che la consegna avverrà lunedì - di notte non consegnano. Con calma, eh! Almeno sono allietato al rientro in camera da questa composizione a cura dello staff dell'housekeeping:

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Lunedì sera andiamo coi colleghi a fare un giro a Dilli Haat, una specie di mercato all'aperto gestito dal governo indiano con produttori di artigianato locale. Sono circa 15km dall'hotel, che nel traffico tardo pomeridiano di Delhi diventano circa un'ora e un quarto in mezzo al traffico. Domani è il 15 agosto, giornata dell'indipendenza indiana, e nel traffico si trovano venditori ambulanti di bandiere.

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Il mercato è molto colorato e potete trovare ottimi souvenir. Mi ero ripromesso di tornarci durante i giorni a Delhi, ma tra una cosa e l'altra non sono più passato.

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Ho però quasi comprato un tappeto (non questo :D)

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Non poteva mancare lo spettacolo con danze.

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Andiamo a cena in un ristorante poco distance, Moti Mahal Delux. Cucina dell'India del Nord, piccante ma buona. I colleghi ordinavano, i camerieri portavano, io mangiavo, e nel mentre imparavo che murgh significa pollo.

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Martedì è il giorno dell'Indipendenza, quindi l'ufficio è chiuso; tecnicamente è festa pure in Italia, ma si lavora lo stesso - avevamo prenotato una saletta meeting e per oggi continuiamo dall'hotel, che è bardato a festa. La cosa migliore è il lunch buffet a tema "bandiera indiana".

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Una delle sere seguenti facciamo un'altra uscita di gruppo... in uno dei megamall di Cyber City. L'aspetto positivo è che finalmente potrò prelevare del contante! Andiamo sempre con un paio di macchine dell'hotel. Quello che si vede sotto non è un parcheggio ma il traffico senza forma e direzione che scorre lungo la metropolitana sopraelevata.

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Andiamo in due mall separati, uno per cenare (Indian grill) e uno per... boh? Fare shopping? Grandi catene con prezzi uguali all'Italia, per inciso.

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Venerdì pomeriggio, finiti gli impegni lavorativi, e sfruttando il wifi dell'albergo, prenoto un Uber per andare a Nuova Delhi, dove passerò qualche giorno a fare il turista. L'hotel è nella zona di Sunder Nagar, una enclave racchiusa dal parco zoologico a est e del Delhi Golf Club a ovest - quello che noi definiremmo un quartiere pettinato, come peraltro è la maggior parte di Nuova Delhi, essendo la "nuova" capitale inaugurata nel 1931 (dai britannici, che ne costruirono la maggior parte dell'impianto moderno).

Per arrivarci, servono quasi due ore di taxi in mezzo allo stesso traffico di qualche sera prima.

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Il traffico è talmente pessimo che dobbiamo fermarci a fare rifornimento (di gas compresso, come la maggior parte dei taxi e delle auto private di produzione locale, che hanno una grossa bombola nel bagagliaio).

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L'hotel è della catena Ahuja Residences, hanno anche serviced apartments per soggiorni lunghi.

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Dato che l'hotel è all'interno di un'enclave (gated community, chiamatela come volete), c'è la guardia che controlla l'ingresso carrabile. Non avevo realizzato, né prenotando, né guardando su google maps, che praticamente tutta Nuova Delhi è così. L'hotel non è nulla di lussuoso (l'Oberoi è comunque a distanza camminabile), ma pulito e l'aria condizionata funzionava, al netto dei frequenti, ma molto corti, blackout che colpiscono tutta la città; per circa 45€ a notte inclusa colazione è ottimo. La signora al front desk, con il coda di cavallo e i capelli grigi, mi ha ricordato tantissimo un'assistente di volo che trovai qualche anno fa su British Airways. Durante il check-in, devono riempire a mano un librone enorme con tutti i miei dati, dove devo firmare. Mi sembra una roba dell'ottocento, ma non credo che la burocrazia indiana abbia dei limiti noti all'uomo.

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Le sere successive faccio qualche giro all'interno della comunità, che è prettamente residenziale e mortalmente tranquilla. Quasi tutte le case riportano, sulla busta delle lettere, qualche titolo accademico. La maggior parte dei residenti sembra essere avvocati o giudici.

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All'interno dell'enclave ci sono alcuni posti dove mangiare, tra cui una brasserie americana in cui mi rifugio quando non ne posso più di cibo indiano (purtroppo, sempre con una quantità di spezie e pepe da far impallidire una drogheria), e una fila di cinque banche differenti col loro bancomat, che saranno molto utili per prelevare. L'hotel ha anche un esteso menu in camera, il cui cibo è preparato dai negozi dei dintorni.

Le vie posteriori (di servizio ai negozi) non sono così glamour, ma rimane tutto molto sicuro.

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Lungo il perimetro, invece, il muro e il filo spinato che delimitano il quartiere.

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- continua -

DaV
 

I-DAVE

Moderatore
6 Novembre 2005
10,832
945
a Taiwan, nel cuore e nella mente
Tra Delhi e New Delhi c'è abbastanza da vedere per un mese, probabilmente; viste le temperature proibitive e le distanze in gioco, ne faccio una piccola (piccolissima) selezione e le organizzo su pochi spostamenti giornalieri, via Uber e/o metro, cercando di giocare con i giorni di chiusura.

La prima cosa che voglio vedere, appena ne scopro l'esistenza, è il museo dell'aviazione indiana, che è ricavato appena all'esterno del sedime nord-orientale dell'aeroporto di Delhi. Ci arrivo in Uber, considerando che minaccia pioggia - o, meglio, ha già scaricato un barile d'acqua e sembra si appresti a fare il bis; la fermata della metro a me più vicina è a circa un km e mezzo, e non ho considerato di portare un ombrello con me.

Il taxi non sa bene dove fermarsi, in base a google maps gli indico un punto (fortunatamente corretto) comodo. Una cappa di umido, dopo l'aria condizionata a dodici gradi, è piacevole giusto quei tre nanosecondi a farmi tornare da una sensazione di quasi rigor mortis a quella di quasi asfissia.

Entro attraverso una viuzza che segnala il museo, non vedo dove si faccia il biglietto - chiedo al primo militare che passa e mi indica, scuotando la testa alla maniera indiana (che non ho ancora capito se vuol dire approvazione o tremendo disgusto), una specie di banchetto, tipo quelli che qui usano per la raccolta delle firme per la protezione della passera scopaiola, dove un'allegra famigliola sta discutendo con il vicemaresciallobrigadierecapo che vigila sulla vendita dei biglietti. Mi avvicino e aspetto il mio turno - no, il vicemarescialloeccecc mi fa avvicinare e mi chiede il passaporto. Glielo porgo chiedendo se è qui che si fanno i biglietti - si, sembra sia così. Il vicemarescialloeccecc compila un enorme librone (come quello dell'hotel) con i miei dati, mi fa scrivere il numero di telefono e l'indirizzo e mi fa firmare. Pago e ricevo uno scontrino che dice "foreign adult", 100 INR (un euro e qualcosa). Prezzi simbolici.

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Vengo fatto passare da una casupola dove controllano cosa c'è nello zaino (molto sommariamente - mi stupisce che nessuno si accorga mai che il mio zaino ha uno scompartimento sul fondo...); mi confermano che posso fare foto.

Il museo è diviso in tre piccole sezioni; la prima offre un paio di cimeli risalenti ad una delle guerre col Pakistan (nello specifico quella del '71, con i pezzi di un Sabre pakistano abbattuto, in mezzo a carri armati, sempre pakistani, e quindi americani, chiamati "trofei di guerra").

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Un paio di elicotteri Sikorsky S55 e un venerabile Canberra allietano l'atmosfera, con un B-24 Liberator che fa capolino dietro qualcosa nascosto da un telo giallo.

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Entro nell'hangar, letteralmente un girone dell'inferno: caldissimo, con l'aria completamente immobile e greve della puzza degli oli minerali e dei lubrificanti che stazionano qui da tempo immemore. Ma lì c'è lui, una chicca di livello assoluto:

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Un rarissimo HAL HF-24 Marut, quello che doveva essere il trampolino di lancio dell'industria aerospaziale indiana e che risultò essere un costoso e sottodimensionato (a livello motoristico) aereo. Il progetto, va detto, non era affatto male - glielo fece un ingegnere tedesco -, ma l'impossibilità di procurare, o produrre, un motore in grado di spingere l'aereo oltre Mach 1, relegò ben presto il Marut ad un ruolo secondario. La ricerca di un motore più potente non fu aiutata di certo dall'annunciare l'esplosione della prima atomica indiana da parte del governo di New Delhi. Ironia della sorte, il Marut giace fianco a fianco a britannico Hawker Hunter che doveva rimpiazzare, e che rimase in servizio fino al 1997, ben oltre il Marut:

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L'India si è sempre dimostrata piuttosto eclettica nella scelta dei suoi fornitori - dall'Unione Sovietica, da dove proveniva questo Su-7 (in mezzo ad un mare di Mig-21, prodotti su licenza e tutt'ora in attività):

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...ai franzozzi finto-terzomondisti. Mentre il governo indiano premeva per completare la progettazione e acquisizione del Marut, i generali avevano bene in mente cosa volevano: il Dassault Ouragan, di produzione francese; fu però ritirato alla fine degli anni '60 per fare spazio al disgraziato progetto nazionale.

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Prima di entrambi, c'era il Mystere, sempre di produzione Dassault. Marcel è diventato ricco con le commesse indiane!

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Esco verso la sezione esterna alla ricerca di un filo d'aria. Tornano i russi - MiG-25. Del Foxbat, gli indiano operarono unicamente la versione da ricognizione fino al 2006, prima di ritirare la piattaforma dal servizio.

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Un Tu-124 da trasporto VIP.

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Aerei alla rinfusa; sotto l'ala del Tu-124, un Fairchil C-119 e un Su-27 con la mascherina per dormire si danno un bacio.

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Dietro la lamiera che divide il museo dal sedime aeroportuale, si sentono gli aerei che decollano dall'Indira Gandhi; ma non si vedono, per cui esco, prendo una paio di bottigliette di Limonata della Bisleri (nettare divinissimo!) al bar/tavola calda che serve il museo, e faccio un veloce giro allo shop, che non ha nulla di particolarmente ispirante.

Jantar Mantar - uno dei complessi di edifici, con funzione di osservatori astronomici, costruiti intorno al 1700 dal maharaja di Jaipur in vari posti, tra cui Delhi. Lo strumento più grosso è il samrat yantra, essenzialmente un enorme orologio solare (una meridiana) con una precisione di due secondi. Il pittore e incisore britannico orientalista Thomas Daniell ha lasciato delle belle cartoline del complesso, durante le sue visite a fine '700.

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Antichità, natura, economostro.

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Spazi quasi metafisici, de Chirico approved.

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Non ci sono molte persone, forse anche per l'orario col solleone a picco. Esco e continuo verso sud lungo la Janpath rd, la via degli hotel: l'Imperial, il Le Meridien, lo Shagri-La... affiancati dai modesti negozietti del Tibetan Market e dal dirimpettaio State Trading Corporation Building, una specie di emanazione del ministero delle finanze, che alla base ospita il Central Cottage Industries Emporium, uno dei tanti handicraft shopping mall dove il governo dà spazio a produttori locali di piccoli manufatti (ceramiche, tappeti, artigianato, ecc). Buon posto per fare qualche acquisto di souvenir.

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Architetture fuori scala in un contesto di urban jungle e isolati enormi separati da cancellate, muri e inferriate; il contrasto è davvero strano, e la scarsità di persone lo rende un non-luogo. Avrei forse potuto osare un po' di più e fare qualche foto con la digitale, ma quel che ho (col telefonino) è tutto qui.

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Arrivo agli uffici del Central Secretariat, in fase di ricostruzione. Altra polvere e diesel di macchinari e camion si aggiunge all'usuale inquinamento. Almeno sono vicino al lungo decumano (3 km) che congiunge il palazzo presidenziale alla Gate of India, e quindi alla mia prossima meta: il fresco refrigerio dell'aria condizionata del National Museum. Un paio di persone provano a propormi gite in tuk-tuk ma appena dico National Museum desistono, visto che è a 200 metri scarsi. Un paio di scimmie salutano i turisti in mezzo a cartacce e rifiuti buttati a terra. La noncuranza è una cosa che non capirò mai.

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La biglietteria sono due finestrelle aperte su un muro scrostato e ridipinto del rosso sbiadito tipico dell'architettura locale. Faccio appena appena in tempo a scampare una tripla scolaresca con triplo autobus che apre le porte non appena chiedo un biglietto, altrimenti sarei stato ancora lì ad aspettare. L'ingresso si snoda attraverso un muro perimetrale con enorme cancellata e uno spiazzo con delle baracche stile militare, dentro alle quali avviene il controllo di sicurezza (come in aeroporto, ma con più noncuranza), diviso per uomini e donne. Zaini e zainetti vanno lasciati agli antidiluviani armadietti; non che non mi fidi, eh, ma la fotocamera viene con me.

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L'esposizione ha un sapore vagamente anni '80, tonnellate di reperti che ricoprono buona parte della storia dell'arte indiana con spiegazioni minimali e nessuna narrazione di complemento (che, per quel che mi riguarda, è spesso la parte più istruttiva). Senza capire un granché, non avendo alcuna conoscenza di arte indiana e davvero poca della sua storia - sono sempre stato più interessato a quello che succedeva più a oriente - la visita non dico sia uno strazio, ma mi ricorda le visite al civico museo di arte antica di Vergate sul Membro, con soporifera e banale spiegazione delle ignare maestre di seconda elementare.

Vado quindi a gusto personale: la trinità indù: Brahma (che se n'è andato), Vishnu e Shiva. Circa anno 1000, quando in Europa si stava cercando di capire se la fine del mondo era vicina o no.

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Non so cosa sto guardando, ma sembra fatto bene.

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Questa era una delle sale migliori, con dovizia di informazioni su ciascun pezzo. Questo in particolare rappresenta le incarnazioni di Vishnu, in attesa dell'undicesima, e finale. Sono più le religioni che attendono i messia di quelle fatte e finite. Quanto era più semplice il paganesimo!

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Sinuosità e flessuosità. Questo tipo di statuaria è gioiosa e giocosa. Noi avremmo avuto un San Sebastiano morente con frecce nei punti più dolorosi. Il cristianesimo vi vuole tristi e contriti!

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Questo è come un amico mio tutto magro e allampanato ma con la panza da alcolista anonimo... come si chiama, come si chiama... ah, sì! Dancrane!

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Si passa poi completamente a caso ad una sezione dedicata alla marina indiana, che non c'entra nulla col resto. Non mancano i pannelli a ricordarci le eroica gesta di tizio e caio. Mah!

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Pochi visitatori, pochi turisti - sono un po' perplesso. Recupero i miei averi e mi incammino, affiancato dall'ennesimo noioso tentativo di truffa, fino all'India Gate, un cenotafio militare in memoria dei soldati indiani uccisi durante la prima guerra mondiale e la guerra anglo-afghana.

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La parata del 15 agosto è stata appena qualche giorno prima, e i rimasugli del nazionalismo indiano, ravvivato dal premierato Modi, sono ancora in giro. I pacifisti terzomondisti ormai dovrebbero avere un attacco di cuore ogni volta che sentono pronunciare il nome India.

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Il traffico intanto è esploso...

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Il menu prevede anche il Red Fort, o Lal Qila, uno dei massimi monumenti dell'India Moghul. Con la metro è facile arrivarci, salvo perdersi sulla direzione corretta una volta sbucati in superficie.

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Ci sono ancora rimasugli della festa del 15 agosto, ma in generale è evidente che non c'è grande cura per l'ordine. Il marasma di gente tra gli stretti passaggi tra bancarelle, traffico, tuk-tuk parcheggiati a pene di segugio, barriere mobili, mi ha fatto capire che sono davvero in un paese da un miliardo e mezzo di persone. Appena passati oltre il marciapiede, si "respira".

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Fare il biglietto di ingresso è una roba abbastanza folle. Ci sono delle code, nominalmente, ma regolarmente c'è gente che si infila, per cui la coda procede lentissimamente.

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Finalmente bigliettato, entro attraverso il barbacane che protegge l'ingresso principale.

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L'ingresso vero e proprio, la Porta di Lahore, la cui strada portava originariamente all'odierna Lahore, in Pakistan, allora parte dello sconfinato Impero Moghul.

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Un camminamento coperto, il Chhatta Chowk Bazar, conduce all'interno del forte, ora un enorme spazio aperto (circa 1 km di larghezza per quasi 500m di lunghezza) racchiuso da mura, che a sua volta contiene quello che rimane dei diversi edifici ministeriali da cui il Gran Mogol dirigeva lo sconfinato impero. Oggi al bazar si trovano per lo più souvenir.

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Tutto quello che rimane della cinta di mura della corte interna è questo edificio, detto Drum House. Il resto saltò in aria durante e dopo i moti del 1857.

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Della corte interna invece rimane in piedi l'aula delle udienze pubbliche, con le arcate in stile persiano/indiano.

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Parte dell'harem era il Rang Mahal, dentro il quale, purtroppo, non si può entrare, come in buona parte degli edifici.

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Alcuni edifici costruiti dagli inglesi ospitano un paio di musei minori, di cui abbastanza interessante quello dedicato a Chandra Bose, figura quantomeno controversa del nazionalismo indiano, visti i legami con la Germania nazista e la passione per il Mussolini autoritario. Il museo è però fatto bene, nonostante la propaganda nazionalista - il museo è stato aperto sotto Modi, ovviamente.

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Prima di tornare in hotel, faccio una camminata fino alla metro a Chandni Chowk; il tempio jain (nome troppo lungo) e quello hindu (Shri Gauri Shankar Mandir) si fronteggiano pacificamente.

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Poco più in là, un tempio sikh.

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Un po' per fortuna, la posizione dell'hotel è ottima per raggiungere a piedi due dei più importanti monumenti dell'India Moghul - il forte di Purana Qila e la tomba di Humayun.

Purana Qila è il più vicino dei due, a nemmeno 400 metri - la strada d'ingresso si biforca e porta anche all'ingresso per il giardino zoologico, che invece evito come la peste.

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Sono le 8 del mattino, non dico sia fresco ma è sicuramente il momento migliore per visitare, anche per evitare la folla. Alcuni spazzini stanno ramazzando fuori dal viale di accesso, e la quantità di lattine, bottigliette e cartacce è impressionante. La biglietteria è vuota; il forte è verosimilmente ancora vuoto.

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Purana Qila fu probabilmente costruito da Humayun, il secondo imperatore Moghul, su quelle che erano le rovine dell'antica città di Indraprastha, così creando la "settima Delhi".

Come sperato, non c'è nessuno, solo i lavoratori della manutenzione che stanno sistemando le siepi e tagliando l'erba. Il rumore ritmico delle forbici e delle cesoie è molto new-age.

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Si gira che è un piacere e fare foto senza persone è senza prezzo.

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Anche la luce del mattino, non ancora intensa, è una benedizione. Mi sembra di essere in un'altra città o un altro paese.

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La possente cinta muraria occidentale, in parte diroccata. Alcune aree erano ricoperte con teli, per scavi e lavori di manutenzione.

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Ci sarebbero due musei, ma sono stranamente chiusi.

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La tomba di Humayun è a sud dell'hotel, meno di un km e mezzo - posso usare direttamente l'uscita sud della gated community, da cui sono 500m scarsi. La manutenzione, come detto, non è il forte dell'India.

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La strada costeggia da un lato una scuola pubblica (credo elementare) che sembra più una prigione-fortezza, e dall'altro la strada sopraelevata che costeggia l'Oberoi. Prima dell'ingresso, in una rotatoria, c'è questa tomba del 1600, recentemente restaurata dall'Aga Khan Foundation. Non è visitabile ma si legge che la cupola, internamente, fosse rivestita di oro e il restauro abbia permesso di riportare alla luce un ciclo di affreschi a soffitto.

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Pago l'obolo d'ingresso ed entro nel magico mondo delle tombe islamiche moghul - di cui è parte anche il più famoso Taj Mahal. La tomba di Himayun è la prima tomba-giardino del subcontinente e prende ispirazione dalle strutture omologhe della Persia, terra d'origine dell'architetto che progettò il complesso. Questa tipologia architettonica influenzò tutta l'arte e architettura Moghul, raggiungendo il culmine nel Taj Mahal.

L'area contiene anche alcune altre architetture, precedenti la tomba di Himayun. La prima che si incontra è un'altra tomba con adiacente moschea, quella del nobile Isa Khan, cortigiano della dinastia Suri che proprio contro i Moghul si scontrò e perse il regno.

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C'è una scuola (o duecento scuole, non saprei: ci sono ragazzini ovunque).

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Una delle guardie decide di soccorrermi e portarmi in giro per il complesso di Isa Kahn - ovviamente subodoro che l'aiuto mi costerà qualche rupia... la tomba:

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Devo dire che, come guardia, è abbastanza preparata e dà informazioni piuttosto interessanti - non so quanto corrette, ma almeno condisce bene la storia.

Si offre anche di fare un paio di foto... col telefonino.

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Gli mollo qualche centinaio di rupie e torno verso il sentiero principale, dove, sulla destra, ci strova il caravanserraglio.

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Altri studenti. Un gruppetto, meno timido degli altri, si avvicina e chiede se sono un blogger!

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Oltre l'arco/porta, il mausoleo di Humayun. C'è tanta di quella terra rossa da fare invidia al Rolland Garros. In teoria i giardini (charbagh), costruiti alla maniera persiana, e restaurati con fondi dell'Aga Khan Foundation, dovrebbero vedere l'acqua scorrere nei canali ricostruiti appositamente.

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Il caldo inizia a picchiare e l'idea di fare i gradini per salire sul monumento principale non mi attrae affatto; ma al pensiero che l'interno sia in ombra mi fa fare un miracolo podistico.

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Ombra!

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La sala principale contiene il cenotafio di Humayun. Ci saranno almeno 10 gradi in meno rispetto a fuori; la costruizione inoltre favorisce la circolazione di aria attraverso il complesso. In pratica, non mi dispiacerebbe stare qui un altro po'.

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Il retro dell'edificio, nell'unica vasca contenente acqua.

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Nell'angolo sud-orientale dei giardini c'è la piccola e dimenticata Barber's tomb che, con il suo aspetto un po' diroccato, è piuttosto affascinante.

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Evado le torme di studenti e guadagno l'uscita; prima di tornare in albergo e preparare la valigia, volevo fare un salto al Kahn Market, un vicolo assai hipster e gentrizzato con negozi. Sono solo un paio di chilometri, sotto il sole :D

Ci sono un po' di negozi con prodotti ayurvedici (ottimi souvenir per il lato femminile della famiglia).

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Continua, magari domani.

DaV
 

Alitalia Fan

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Superate le prime volte shockanti, le bestemmie per le temperature laviche e le bestemmie in sanscrito perché ho provato qualcosa di troppo piccante devo dire che la cucina indiana mi piace tantissimo. Paneer makhni, daal makhni, una badilata di parahta/naan e sono ciccione e contento!

Bel TR, trasmette sia tutto il caos che la disorganizzazione indiana che il fascino di questo paese dai mille volti e dalle mille contraddizioni.
 
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Personalmente preferirei duecento viaggi in Y per l’India, in un middle seat, che un altro volo da Linate al 28A con una scolaresca di tredicenni nostrani seduti appunto davanti a me. Cosa appena fatta.

Dagli col prosieguo!
 
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BGW

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Molto bello!
Non so come LX riesca a tenere quei 330 messi cosí. Peraltro li usa anche su rotte nordamericane o in Medio Oriente dove non è che non ci sia competizione...
 
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falkux

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L'ho letto in anteprima sul tuo blog: avendolo però vissuto in diretta al tempo, in collegamento con te su whatsapp, ti invito ad approfondire la questione dello squaraus su cui leggiadramente sorvoli.

In ogni caso interessante tr, condito dalle solite bellissime foto!
 
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londonfog

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Personalmente preferirei duecento viaggi in Y per l’India, in un middle seat, che un altro volo da Linate al 28A con una scolaresca di tredicenni nostrani seduti appunto davanti a me. Cosa appena fatta.

Dagli col prosieguo!
Concordo, le mie piu' sentite condoglianze :) :) :)
 
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Seaking

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Gran bel racconto!
Certo, l’India l’è quel che l’è, nel bene e soprattutto nel male.

I miei colleghi dello Sri Lanka in effetti mi avevano avvisato: we are a cleaner version of India!

Un plauso per aver fotografato il pani puri, uno dei tanti piatti indiani che apprezzo.

Alcune delle foto sono davvero molto belle!
 

Dancrane

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Questo è come un amico mio tutto magro e allampanato ma con la panza da alcolista anonimo... come si chiama, come si chiama... ah, sì! Dancrane!
Non ho i baffi.
Non ho quei capelli (che comunque ho, a differenza di qualche altro).
Non ho quell'altezza (sempre a differenza di qualche altro).
Non sono tuo amico.
La strada per andare dove sai è sempre dritta.
 
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I-DAVE

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a Taiwan, nel cuore e nella mente
Mi ha appena scritto Nicolap per segnalarmi di avere appena prenotato per un week end a Winterthur.
Comodo per andare a Friedrichshafen al museo della Dornier. Mi pare gli fosse rimasto nel cuore!

Il pastry menta cumino pomodoro è da denuncia.
Bellissimo TR!!
Sopra, in piccolo, c'era scritto "sponsored by Gaviscon".

Finalmente!!!!!! Grandissimo, ora me lo leggo per bene.
Grassie!

Grazie, molto bello.
Grazie!

Ciao I-Dave
Come sempre foto bellissime.
Non sapevo fossi anche tu varesino. :D
Da un annetto e mezzo!

Superate le prime volte shockanti, le bestemmie per le temperature laviche e le bestemmie in sanscrito perché ho provato qualcosa di troppo piccante devo dire che la cucina indiana mi piace tantissimo. Paneer makhni, daal makhni, una badilata di parahta/naan e sono ciccione e contento!

Bel TR, trasmette sia tutto il caos che la disorganizzazione indiana che il fascino di questo paese dai mille volti e dalle mille contraddizioni.
Grazie! Io credo di essere geneticamente negato per il cibo piccante, peccato perché il sapore in genere della cucina indiana è buono (e molto burroso, cosa che a me piace) :D

Personalmente preferirei duecento viaggi in Y per l’India, in un middle seat, che un altro volo da Linate al 28A con una scolaresca di tredicenni nostrani seduti appunto davanti a me. Cosa appena fatta.

Dagli col prosieguo!
Vabbè, grazie graziella...

Molto bello!
Non so come LX riesca a tenere quei 330 messi cosí. Peraltro li usa anche su rotte nordamericane o in Medio Oriente dove non è che non ci sia competizione...
Grazie! È così che fanno i soldi :D

L'ho letto in anteprima sul tuo blog: avendolo però vissuto in diretta al tempo, in collegamento con te su whatsapp, ti invito ad approfondire la questione dello squaraus su cui leggiadramente sorvoli.

In ogni caso interessante tr, condito dalle solite bellissime foto!
Ahimè, qualche dettaglio in arrivo nella prossima parte :D

Grazie per l'ottimo racconto e foto molto belle!


Questo sembra più un Mig-23, no?
Grazie Jambock! MiG-27, credo che mi sia scappato lo Su- invece che il MiG- 😅

Gran bel racconto!
Certo, l’India l’è quel che l’è, nel bene e soprattutto nel male.

I miei colleghi dello Sri Lanka in effetti mi avevano avvisato: we are a cleaner version of India!
Drammaticamente vero. Ho adorato lo Sri Lanka e mi piacerebbe tornarci, e il paese è infinitamente più ordinato e pulito nonostante sia decisamente più povero.

Un plauso per aver fotografato il pani puri, uno dei tanti piatti indiani che apprezzo.

Alcune delle foto sono davvero molto belle!
Grazie!

Non ho i baffi.
Non ho quei capelli (che comunque ho, a differenza di qualche altro).
Non ho quell'altezza (sempre a differenza di qualche altro).
Non sono tuo amico.
La strada per andare dove sai è sempre dritta.
Come sei suscettibile! :ROFLMAO:

Arriva tra poco il secondo pezzo.

DaV
 
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I-DAVE

Moderatore
6 Novembre 2005
10,832
945
a Taiwan, nel cuore e nella mente
Non avendo abbastanza tempo per fare tutto il Golden Triangle (Delhi - Agra - Jaipur) e non volendo fare l'ammazzata di un day-trip Delhi-Agra-Delhi, decido di spendere gli ultimi giorni solamente a Jaipur. Perché Jaipur e non Agra? Perché a Jaipur ci si può comodamente ed economicamente (almeno per un occidentale) arrivare in aereo, mentre ad Agra no.

Con un volo alle 13, considerando il traffico di Delhi, l'unica cosa sensata è prendersela con calma. Anche perché ho un po' di mal di testa, e mi sento un po' stanco. Passerà.

Il giorno prima risolvo, con l'aiuto di un collega locale, il problema SIM card, che finalmente è ora attiva e funzionante. Sono però ancora sotto il wifi dell'hotel quando prenoto l'Uber per l'aeroporto di Delhi, terminal 2. Stamattina piove a dirotto, diciamo una fortuna nella sfortuna - almeno non è capitato nei giorni scorsi. Niente colazione sulla terrazza (in realtà la terrazza non è mai stata allestita per la colazione, per il troppo caldo).

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Riconsegno la chiave in reception, firmo il libro maestro con rilegatura in pelle umana e saluto la reception. Se mai dovessi tornare a Delhi, credo che soggiornerei nuovamente qui.

In mezzo al traffico ancora più caotico e rumoroso sotto la pioggia incessante, il mio tassista si fa strada e in "solo" un'ora e mezza per 18km, riesce a depositarmi fuori dal terminal. Ricordatevi: "use dipper at night". Ma anche di giorno, eh!

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Negli aeroporti non si entra se non si ha una carta d'imbarco; parte delle misure di sicurezza che, in India, sono piuttosto stringenti (molto hotel hanno il controllo esplosivi per le auto prima di entrare nel compound, e quasi tutti gli hotel hanno guardia e metal detector sotto cui devono passare tutti gli ospiti), dopo gli attentati di Mumbai di qualche anno fa.

Fuori dal terminal, quindi, tutte le compagnie hanno i chioschi per il self check-in da cui stampare la carta d'imbarco per poter accedere al terminal vero e proprio. Faccio un po' fatica a capire che giro devo fare - ci sono nastri tagliacode ovunque, ma alla fine trovo il mio percorso e ricevo la carta d'imbarco e, sorpresa, anche la bagtag per il bagaglio imbarcato.

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Passo un primo controllo radiogeno/metal detector, entro nel terminal 2 e chiedo alle addette che smistano le file ai banchi IndiGo cosa dovessi fare con la striscia del bagtag, visto che al chiosco non si pesa la valigia! Mi spediscono ai banchi dei bagagli registrati, dove la coda scorre assolutamente a caso con persone che passano davanti come se fosse un diritto divino non dover fare la coda.

Arrivato al mio turno pesano finalmente la valigia - Sir you're overweight! Sì grazie al cazzo, lo so che sono ciccione! Sorry Sir I meant your luggage. It's 1.5 kg above your allowance. It's 550 INR for the extra weight. Ah vabbè, 6€. Pago con carta e vedo il bagaglio sparire nelle viscere del terminal.

Nonostante qualche tentativo di farlo sembrare meno un sanatorio per tubercolosi, il Terminal 2 di Delhi fa abbastanza pena.

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Pulito sembra pulito, ma è uno dei tanti parti degli anni '80 che, per quel che mi riguarda, architettonicamente sono il decennio buio del '900. Buio, angusto, raffazzonato alla bell'e meglio. Oggi è relegato ai servizi nazionali di alcune delle low-cost indiane, per lo più IndiGo e SpiceJet (e GoFirst prima che fallisse).

Passo l'ennesimo controllo di sicurezza, a dire il vero organizzato in maniera piuttosto efficiente anche se non c'è una grande ressa. Airside, l'aeroporto non cambia. Sembra Linate prima della ristrutturazione (o anche dopo, se capitate ai gate B per un volo extra Schengen :D), solo più in grande.

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Il sistema di condizionamento non sembra essere sufficiente per tutto il terminal, per cui si supperisce con condizionatori grandi come armadi dislocati in punti (credo) strategici per il terminal. Ne risulta che in alcuni punti si è in Siberia, in altri nel deserto del Sahara.

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Scopro questa delizia!

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Non c'è molto spotting da fare, il panorama è piuttosto monotono - SpiceJet - IndiGo - Vistare - Akasa - Air India...

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Al gate non c'è ressa e non c'è folla, la fila si compone ordinata e le indicazioni sulle varie file sono semplici e seguite da tutti. Non ho capito bene come le persone siano cambiate dal check-in al gate, ma tant'è...

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Tratta: Delhi-Indira Gandhi International (DEL) >>> Jaipur (JAI)
Volo: 6E 2204
Aereo: Airbus A320-271N (320neo)
Marche: VT-ITU
Età: 6.3 anni
Posto: 26A
Sched/Actual: 1300-1350 // 1311-1340
Durata volo: 29′
Gate: 32

Per fortuna siamo al jetbridge - niente camminata sotto l'acqua con l'umidità al 100% e la temperatura che gironzola attorno ai 36°C.

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Tutti gli scurini sono abbassati - immagino per evitare che la cabina diventi un forno quando l'aereo è parcheggiato. I sedili sono quelli standard di tutte le low-cost di tutto il mondo: duri, slim, senza recline. Lo spazio per le gambe è però decente e c'è pure una rivista di bordo che è anche catalogo buy-on-board.

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Vicini di ala.

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Una volta che siamo tutti a bordo - imbarco completato in tempo record, volo praticamente pieno per quel che posso vedere - consegnano una scatoletta di latta personalizzata IndiGo, che contiene delle noccioline (nut case, carino il giorno di parole), e un succo di frutta al melograno in quelle specie di pouch di plastica da spremere, a tutti gli aventi diritto (immagino qualche tariffa specifica, non so bene che tariffa avessi scelto, so solo che non ho preso quella base perché avevo bisogno del bagaglio imbarcato).

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Stacchiamo appena in ritardo causa congestione aeroportuale. Una marea di 320 Go Air / Go First sono a terra, incellophanati. La compagnia è appena fallita (a maggio 2023, al tempo del volo) a quanto pare per i continui ritardi e problemi con i PW1000G che hanno costretto a terra buona parte della flotta. CEO di Go Air / Go First è stato, per un annetto, il mitico Edgardo Badiali, già ex Myair / Volare / Swissair e tante altre compagnie in giro per il mondo.

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Decolliamo sotto la pioggia, dopo un ATR di Alliance Air. Delhi T3, quello nuovo e bello:

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Non arriviamo mai a bucare lo strato di nuvole/nebbia/smog che affoga il Rajasthan, vista la durata del volo che non tocca i 30 minuti né il 16.000 piedi (a detta del comandante). Prendiamo solo qualche turbolenza in decollo; nonostante questo, il segnale delle cinture rimane acceso tutto il volo e le assistenti di volo cazziano di continuo i locali che si vogliono alzare. Un rumore ritmico, che sembra quello di un getto d'aria aperto e poi chiuso, ci accompagna fino all'atterraggio.

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Atterriamo, meteo inclemente ma non piove.

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Rulliamo davanti al terminal di Jaipur ma non attracchiamo ad uno dei due jetbridge disponibili.

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Prendiamo un bus aeroportuale, che sembra la corriera per la Valtaleggio. Aria condizionata -25°C, sparata direttamente sulla testa per attutire lo shock termico.

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Il ritiro bagagli è in zona pubblica, con mia grande sorpresa; tutto in giro per il terminal ci sono banner che daranno il benvenuto ai delegati del G20 dei ministri del commercio nei giorni successivi.

Prenoto un Uber con l'app e aspetto l'auto, una scassatissima e puzzolentissima Tata qualcosa. L'autista chiaramente non ha mai visto una patente in vita sua, così come il 90% dei suoi compari che circolano sulle strade di Jaipur. In qualche modo arrivo sano e salvo in hotel, il Golden Tulip Essential che è in pratica un Golden Tulip ma una chiavica :D no scherzo, l'hotel è ok, forse non pulitissimo ecco.

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Sento la stanchezza aumentare e il mal di testa non accenna a diminuire; prendo una tachipirina e aspetto un'oretta mentre disfo la valigia e cerco di mettere ordine sui programmi dei prossimi giorni.

Più o meno ripreso, esco per fare un giro. L'unico obiettivo del pomeriggio è andare a vedere l'emporio regionale dell'artigianato, che è a qualche km di distanza dall'hotel.

La strada è quasi tutta dritta, lungo una via più o meno fatta di negozi.

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A qualcuno è scappata la mano con le decorazioni...

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Il caos del traffico mi rincoglionisce: non scherzo. Un continuo wroooom, biiiip-biiiip, urla e schiamazzi, motori che sembrano trattori, tuk-tuk che sembrano Harley...

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Potenzialmente, sarebbe tutto bellissimo, ma il casino che regna sovrano, e il generale menefreghismo che ammanta tutto, rendono il paesaggio un po' triste, lasciato al suo destino. I singolo negozianti si sistemano (come vogliono) la strada di fronte al negozio, incluse le ringhiere per evitare il parcheggio selvaggio. Di fatto si cammina su una proprietà pubblica che è diventata una proprietà privata.

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Questo lo insegnano a Elettrotecnica 1.

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Arrivo alla Porta Ajmer, quindi il bazaar è qui da qualche parte.

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È praticamente di fronte, alla mie spalle rispetto alla foto sopra, in una bruttissima costruzione moderna in pietra rossa, sporca e polverosa, tanto da sembrare chiusa. In realtà è aperto, entro, e sembra di entrare all'UPIM com'era nel 1986; roba alla rinfusa, oggetti polverosi che nessuno ha mai toccato o guardato e personale addetto alla vendita che sta chiaramente facendo del suo meglio per non invogliarmi ad avvicinarmi alla loro mercanzia e intrattenere una conversazione - per carità, con alcune onorevoli eccezioni.

Alla fine, sui tre o quattro piani (l'ultimo sembra più una soffitta, ci si accede dopo una porta socchiusa che ancora non ho capito se si potesse entrare oppure no...), ci saranno due o tre negozi interessanti; lo spazio in valigia è quel che è, per cui compro solo due piccoli scendiletto in lana nell'unico spazio commerciale in cui il venditore mi avrebbe venduto anche la moglie, e che vengono imballati manco fossero due oggetti di cristallo. Per il pagamento ricevo dodici ricevute, ognuna con tre timbri diversi, una dichiarazione giurata che sono davvero stato nel negozio, otto scontrini e un biglietto da visita.

Soddisfatto, torno in hotel per disfare la confezione e farceli stare in valigia, dribblando l'ennesimo amico che guarda caso "oh qui vicino c'è un'attrazione da non perdere, il mio amico col rickshaw ti ci può portare per poco". E qui la maledizione di Montezuma mi coglie. Il giorno dopo lo passo così, mandando all'aria l'elaboratissimo piano che prevedeva, tra le altre cose Amber Fort e Jaigarh Fort.

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Passati i postumi, pur con qualche strascico, di quella che sembra proprio un'infezione batterica, probabilmente dovuta ad acqua contaminata, la mattina dell'ultimo giorno in terra indiana, prendendola con moooolta calma, cerco di capire se posso salvare la visita a Jaipur e vedere comunque qualcosa.

Inizio con una tardiva colazione per vedere se abbiamo raggiunto una decente resistenza gastro-intestinale - a quanto pare, sì. La frutta forse è stata un azzardo...

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Riorganizzo un po' la giornata, e decido di dedicarmi solo al Palazzo di Jaipur e qualche monumento nei dintorni, abbandonando l'idea di infilare dentro la giornata anche l'Amber Fort.

La giornata non è particolarmente soleggiata e c'è un po' di cappa, ma nulla di neppure lontanamente paragonabile al clima invivibile di Delhi. La vista dalla camera è quel che è.

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Prenoto un tuc-tuc e via, all'avventura.

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Il palazzo reale venne costruito nel 1700 quando il maharaja Sawai Jai Singh II decise di spostare la capitale del regno del Rajasthan da Amber, dove sorge l'omonimo forte, a Jaipur, una città pianificata nelle ex tenute da caccia dei sovrani (saranno meno di 10km da Amber, eh!). Il palazzo era al centro di una cortina di edifici che fungevano da cinta muraria e basato sul tradizionale sistema di pianificazione urbana hindu chiamato vastushastra.

Il tuc-tuc mi molla più o meno all'ingresso; pago la corsa e vado a fare il biglietto per entrare. Non c'è molta folla, probabilmente scoraggiata dal tempo che minaccia pioggia. Il palazzo è un museo, ma rimane la residenza della famiglia reale. Purtroppo è vietato fare foto degli interni, e molti degli ambienti più belli non sono visitabili.

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Il cuore del palazzo è oltre la Rajenda Pol, la porta che conduce al Diwan-i-Khas, la sala delle udienze private.

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La porta dal lato opposto, con la torre dell'orologio.

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In origine la sala aperta al piano terra era circondata da tendaggi in seta, mentre le udienze avvenivano nelle quattro stanza agli angoli della struttura.

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Il cortile più interno è quello che permette l'accesso alle stanze reali, non accessibili ai turisti (tranne alcune, ma solo con tour guidato); la bandiera sul tetto del palazzo (che si chiama Chandra Mahal) dovrebbe indicare che i reali sono oggi in casa.

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Il Chandra Mahal. Ai due lati si possono vedere due della quattro porte - quella di destra, la Peacock Gate, è quella che mette in comunicazione il palazzo con il cortile delle udienze.

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Una delle porte.

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I musei contengono una collezione di armature e armi, dipinti e artefatti storici appartenenti alla famiglia reale, come i cimeli relativi al polo, a quanto pare passatempo preferito dei maschi della famiglia. La galleria dei dipinti e della fotografia è piuttosto recente e ben musealizzata, e probabilmente la sezione più interessante - soprattutto le foto originali hanno una vividezza incredibile.

Esco.

Dirimpettaio del palazzo, c'è l'osservatorio astronomico di Jantar Mantar, simile a quello di Delhi, ma meglio conservato. Venne costruito dallo stesso maharaja Sawai Jai Singh II, come altri osservatori sparsi per il Rajasthan. Faccio la breve coda per pagare, e ovviamente qualcuno deve fare il finto-tonto e passare davanti, nella fattispecie una ragazza e l'imbelle fidanzato; glielo faccio notare e, con discreta faccia tosta, mi dice che non si era accorta che fossi in coda. Non so davvero che problemi abbiano con le code, credo sia l'unico territorio dell'ex Impero dove la passione per le code non ha attecchito...

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L'osservatorio è anche un piacevole parco.

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Per quel che ne capisco, potrebbero anche essere sculture di arte contemporanea.

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Questo è chiaramente Leliel, il dodicesimo Angelo!

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Per concludere la giornata, faccio una breve camminata per arrivare all'Hawa Mahal, il palazzo dedicato alle donne di corte che così potevano osservare, dal riparo del palazzo, le feste di strada - le donne non dovevano mostrarsi in pubblico. Gli edifici sono splendidi, il contorno è... indescrivibile. Forse è parte del fascino, che non riesco a percepire...

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Si esce per la Tripolia Gate, lungo la Tripolia Bazar.

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La strada è un susseguirsi di piccoli negozi e attività artigiane - fabbri, piccole officine per i motorini, rivenditori di suppellettili, rivenditori di cibo.

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L'area pullula di attività e persone, ed è interessante (e, al netto del fracasso, piacevole) guardarsi attorno.

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Il palazzo è costruito su diversi livelli, con ciascun livello incentrato sulla sua corte.

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L'edificio era collegato al quartiere delle donne del Palazzo Reale, e ne era un'estensione.

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Le signore si affacciavano da queste finestrelle.

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E vedevano questo, invisibili agli astanti:

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Si può salire fino in cima, se l'afflusso di persone lo consente. Non oggi - la quantità di persone è inimmaginabile, nonostante sia arrivato praticamente a ridosso dell'orario di chiusura.

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Jaipur mi è piaciuta più che Delhi, più gestibile e anche meteorologicamente migliore. Spiace non aver avuto il tempo di visitare l'Amber Fort. Magari un'altra volta :D

DaV
 

Azeta

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27 Giugno 2016
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Il caos del traffico mi rincoglionisce: non scherzo. Un continuo wroooom, biiiip-biiiip, urla e schiamazzi, motori che sembrano trattori, tuk-tuk che sembrano Harley...
Pensa se in India si diffondessero i veicoli elettrici...rimarrebbero solo le puzze pestilenziali, il caldo tipo bagno turco e le folle infinite a farti capire che sei in India. Mentre per quanto riguarda il pattume in giro e le buche nelle strade direi che in Italia ci stiamo avvicinando a passi da gigante. Ci mancano le vacche ma compensiamo con i cinghiali.
Comunque squaraus a parte reportage molto bello.

ps: pur nel suo squallore il T2 di Delhi mi sembra super chic rispetto all'omonimo T2 di MXP, rinnovato (???) nel 2023. Anche le cataste di fancoil che sputano (a seconda delle stagioni) aria calda o gelida nei chilometrici corridoi lato arrivi fanno pendant con quelle di Delhi.
 
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