Finalmente! Con solo un anno di ritardo posto finalmente questo TR che tutti aspettavano ansiosamente.
Chiedo ferie per metà marzo-inizio aprile, e inizio a buttare giù un itinerario di massima. L'idea è ovviamente tornare a Taiwan, che mi manca da morire; il nuovo volo diretto di Eva Air ha prezzi completamente folli, ma triangolando qui e là riesco a far saltare fuori una roba quasi decente con arrivo a Bangkok e ritorno da Singapore. A inizio gennaio inizio a spammare amici sparsi in mezza Asia avvisando del mio imminente arrivo, così almeno possono accampare le classiche scuse terribili per non vedermi: mi è morto il gatto, il capo non mi dà ferie, Gigi Ping sta per invaderci, ecc.
Fast forward a metà marzo, che è un rewind considerando che è un anno fa; fine giornata lavorativa, si spegne il laptop per l'ultima volta per due settimane e si esce gioiosi in un giovedì pomeriggio che incredibilmente non è di pioggia. Si chiude la valigia e si mettono nello zainetto gli ultimi accessori, e anche Teddy Pengyü che finalmente torna a Taiwan dopo tanti anni.
La fida S50 è in arrivo puntuale alle 18:00 da Biasca e oggi si preannuncia particolarmente piena. Non che abbia necessità di andare in aeroporto così presto, con il volo alle 21 e passate, ma a me piace l'atmosfera aeroportuale.
Viaggio senza intoppi; l'atrio (se così si può chiamare) della stazione sembra un non-luogo di passaggio abbandonato a se stesso, di cui non si capisce scopo o utilità.
L'esercito di nani di terracotta di Max Papeschi invade la Soglia di Milano. Speravo invadessero anche la palazzina SEA, reparto social media & marketing, e non facessero prigionieri.
I soliti sospetti delle partenze serali.
I banchi sono già aperti, e c'è già gente che deposita la valigia; mi accodo e, al mio turno, la solerte addetta mi chiede di staccare tutti i barcode adesivi passati, perché "è la prima causa di perdita dei bagagli". Mi do una grattata colossale, considerando che non mi è mai successo che un bagaglio venisse smarrito o mandato a Melilla invece che a Manila - in effetti, gli unici tre bagagli consegnati con qualche giorno di ritardo sono stati a causa di mancate coincidenze per ritardo dei voli.
Ottenuta l'agognata carta d'imbarco, superati i controlli di sicurezza in quella che è la mia esperienza peggiore da quando ci sono i varchi nuovi (ben... dieci minuti) e incredibilmente trovato vuoto l'eGate dei passaporti, non resta altro che gironzolare per il terminal e poi appropinquarsi felici al satellite C dove sono quasi sicuro imbarcheremo.
Una foto terribile (con lo zoom digitale del telefonino) all'avione, che appunto arriva al sat C come preventivato.
A quest'ora in pratica c'è solo la trifecta della mediorientali nel terminal (Qatar, Emirates, con Oman al posto di Etihad) e nonostante i tre voli in 30 minuti, il satellite è abbastanza grosso per disperdere la folla all'abbisogna.
Il volo viene imbarcato in orario con file in tre gruppi per l'economy, oltre alla priority per i passeggeri bizniz e tesserati vari. Sembra che partiremo discretamente pieni.
Tratta: Milan-Malpensa (MXP) >>> Doha-Hamad International (DOH)
Volo: QR 118
Aereo: Airbus 350-941
Marche: A7-ALF
Età: 8.5 anni
Posto: 35A
Sched/Actual: 2150-0540+1 // 2202-0506+1
Durata volo: 5h 04’
Gate: B59
Giulive e sorridenti assistenti di volo controllano il posto sulla carta d'imbarco e indirizzano i passeggeri sul corridoio giusto. Saluto e mi avvio al mio 35A, una ventata d'aria fresca rispetto ai miei soliti 72K o 84A
A imbarco chiuso, avviene il miracolo del posto accanto libero. Ci guardiamo con aria d'intesa col mio vicino di posto e ci spartiamo il posto a metà con i cuscini e le coperte a limitare il confine. Ancora prima di staccare il jetbridge dall'aereo, qualcuno ha già reclinato il sedile.
Il nostro vicino è etiope. Ethiopian Airlines si sta ponendo come un concorrente davvero aggressivo sul mercato europeo, e sta crescendo velocemente.
Finiti i preparativi pre-partenza, noto che, rispetto al pre-covid, non viene più distribuito il menu stampato. Partiamo nel buio della notte.
Ripassiamo sopra Malpensa prima di mettere prua verso sud-est.
Abbastanza inusualmente, passiamo a sud-ovest di Milano.
La cabina, intanto, si trasforma in un'installazione artistica di Dan Flavin.
Dopo un'oretta dal decollo circa, viene servita la cena, con scelta tra pollo, manzo e un'opzione vegetariana di cucina thailandese. Vado di pollo alle olive con polenta e funghi. Onestamente? Ottimo. L'insalata di pasta invece... come dire: da rivedere. E con piacere trovo che hanno ancora succo di mango. Invece, noto con dispiacere che sale, pepe e burro sono scomparsi dal vassoio. Da quando se n'è andato il padre-padrone Akbar Al-Baker, si saranno resi conto che i conti devono anche quadrare...
Ordino un secondo succo di mango per farmi compagnia nella notte in volo, ma il vassoio al sedile centrale è instabile (pende verso il basso) e il bicchiere scivola in un nanosecondo giù dal bordo, finendo sul sedile in mezzo, dalla mia parte. La coperta che avevo su limita i danni, ma il succo scivola sotto e mi ritrovo con un pezzo di sedere al gusto mango e la custodia della macchina fotografica super idratata.
Ripulito come potevo il ripulibile, e sparato il getto d'aria a palla sul sedile per cercare di asciugare il prima possibile (grazie santa aria della cabina col 12% di umidità relativa), cerco di dormicchiare, ma è impossibile, quindi guardo Oppenheimer. Bello, anche se mi aspettavo un po' di più. Non c'è lo snack pre-atterraggio (hanno tagliato davvero tanto!), e ormai siamo in avvicinamento a Doha, che sono le 5am locali e le 2am del mio fuso orario. In pratica sono uno zombie.
L'unico annuncio del comandante, spagnolo, arriva un'ora prima dell'atterraggio, al cui seguito tutte le luci vengono accese in modalità fuga da Alcatraz. Segue un secondo annuncio della capocabina che informa i passeggeri che mangiare e bere in pubblico è proibito dato che siamo nel periodo del ramadan (forse intendeva fuori dall'aeroporto, perché al suo interno tutti i ristoranti erano aperti e pieni di clienti).
Atterriamo piuttosto delicatamente, e rulliamo fino ad una piazzola remota per sbarco con bus. In aeroporto regna il caos - come sempre, si passa prima per i filtri di sicurezza con gli addetti che aprono e chiudono le code completamente a caso, mandando i passeggeri da una parte all'altra del terminal. Più di trenta minuti per fare i controlli di sicurezza è una novità assoluta per me a Doha, e credo vada iscritto nella crisi generale di competenze e buon senso causato dal Covid. Non mi stupirei se tra cinquant'anni scopriremo che tra gli effetti della pandemia c'è il rincoglionimento globale.
Passato il girone infernale, c'è solo da capire cosa fare per quattro ore. Una foto a lui occupa 1 minuto e mezzo. Altre tre ore e 58 minuti...
Vago per il terminal in cerca di un posto dove sedermi e mi quasi addormento (per sicurezza ho impostato un'allarme sul telefonino, sai mai...).
Con una lentezza disarmante, le ore passano e il gate apre.
Tratta: Doha-Hamad International (DOH) >>> Bangkok-Suvarnabhumi (BKK)
Volo: QR 832
Aereo: Boeing 777-3DZER
Marche: A7-BAZ
Età: 11.0 anni
Posto: 49A
Sched/Actual: 0840-1910 // 0909-1856
Durata volo: 5h 47’
Gate: B8
L'area di pre-boarding è già aperta, quindi mi ci infilo senza indugio; l'imbarco vero e proprio partirà una decina di minuti in ritardo. La cabina sembra un po' vecchia per un aereo di soli 11 anni; c'è una certa differenza con il 350, e si vede. Spazio per le gambe ok ma meno generoso rispetto al volo precedente.
Rulliamo nel traffico mattutino di Doha International, con code dietro, davanti e di lato.
Tagliamo la coda davanti ad un 737Max che verosimilmente sarebbe dovuto volare in Italia con Air Italy, così come il 787-8 dietro di lui.
La corsa di decollo sembra infinita, lunghissima, ma alla fine ci libriamo nel cielo rosa lattiginoso di Doha.
Un agglomerato urbano senza senso.
Mi quasi appisolo ma siamo oggetto di notevole turbolenza sopra tutto il golfo Persico e il golfo di Oman. Almeno, sopra le nuvole, il cielo è di nuovo blu.
Vengo comunque svegliato dallo sferruzzare di piatti e tazzine. È ora di colazione, dopo un'ora e mezza dal decollo. Frittata con le verdure, edibile. Il succo di mango è ben al sicuro stavolta.
Il mio ptv va in crash quando provo mettere su la mappa per vedere dove siamo. Ciò mi impedisce di distrarmi dal dormire, cosa che provo a fare di nuovo, nonostante un rinnovo della turbolenza appena giunti sopra il subcontinente - anzi, se possibile, peggiora pure.
Mi risveglio che è tramonto.
Siamo già in discesa, e si vedono fuochi sulla pianura sottostante. Potrebbe essere in Birmania.
Il tramonto è passato ma i colori rimangono intensi.
Ormai fuori è buio e siamo in finale per BKK. Strade.
Atterriamo nella notte, anche se non sono neppure le 7 di sera. Vicini low-cost.
Lo sbarco richiedere una vita, sembra che tutto vada a rilento. Oppure è solo il mio cervello ad andare al rallenty visto che sto dormendo in piedi. No, no, non sono io: il controllo passaporti è intasato e mi becco la trainee di turno che si impianta su un britannico che sembra il prototipo del turista sessuale con condanne pendenti
dopo quasi 35 minuti, arrivano in due e completano il controllo, lasciando passare il signore e smaltendo la fila. Il bagaglio è già lì che gira, per cui almeno non devo aspettarlo!
Rinuncio a fare la sim card, tanto sono qui solo un giorno e mezzo come stop over e posso sopravvivere senza connessione fuori dall'albergo. Prelevo alcuni bath, faccio un salto al primo 7-Eleven che vedo in aeroporto e mi vettovaglio, prima di andare alla stazione della metro che mi porta direttamente in hotel - ho preso strategicamente alloggio attaccato a Makassan, sulla Airport Rail Link e a due passi dalla stazione di Phetchaburi sulla MRT. Per rendere le cose confuse al massimo, c'è anche una stazione Makassan sulla ferrovia nazionale, che è poco più a ovest, e usa i binari sotto la sopraelevata che ospita l'Airport Rail Link, a raso con la strada.
Sia come sia, esco per la prima volta da quando sono atterrato nell'afa di Bangkok, in alcuni dei giorni più caldi dell'anno; solo per fare il giro (dell'oca, la razionalità non è parte della mentalità thai...) per uscire dalla stazione e attraversare l'incrocio, divento fradicio. Sono un mortozzombie e non vedo l'ora di dormire.
Bangkok fu la prima meta dell'ultimo viaggio intercontinentale proprio all'inizio della pandemia. Mi sembra più che giusto, quindi, ricominciare proprio da qui. Errrr no, la realtà è che i voli costavano un'infinità meno facendo scalo qui. Bangkok non mi ha mai convinto troppo come destianazione turistica, ma. Due ma. Primo ma: i boxer più comodi mai comprati li ho trovate qui. Secondo ma: l'altra volta avevo dovuto tralasciare un paio di templi causa mancanza di tempo. Quindi, cogliendo i proverbiali due piccioni con una fava, visto che da Bangkok ci devo comunque passare per non dover accendere un mutuo per il solo volo, tanto vale ricavarne il massimo e avere un giorno per gironzolare e fare shopping.
Prima lo shopping: i boxer si trovano al mercato di Chatuchak, definito il mercato all'aperto più frequentato del mondo, che si tiene solo nel weekend. Vi sono migliaia di bancarelle, suddivise in zone "tematiche" per cui è almeno facile trovare quel che si cerca - posto che troviate la zona dove quelle bancarelle si trovano
Avevo il vago ricordo che il banchetto della Toogtons, il marchio che cerco, fosse vicino all'ingresso. Cerco di stabilirlo tramite le foto del viaggio precedente, e mi avvio speranzoso; da googlemaps, sembra che il banchetto sia nella sezione 23, più o meno dove ricordavo.
Dopo una colazione veloce, che è già piuttosto tardi, mi avvio alla fermata di Phetchaburi, a due passi dall'hotel, e vado diretto in direzione nord fino a Kamphaeng Fet sulla Blue Line, dove si trova l'ingresso del mercato.
Il mercato è come lo ricordavo, un po' più affollato del 2020, ma neppure troppo - a quanto pare i turisti cinesi ancora non sono tornati in massa (il che ci dice che si sono ristretti i cordoni della borsa del cinese medio, o la volontà politica di far uscire liquidità dal paese... ed entrambi la dicono lunga sullo stato reale dell'economia cinese).
Vado diretto verso la sezione 23, passo avanti e indietro una mezza dozzina di volte, ma niente, non trovo il banchetto. Allora torno all'ingresso e rifaccio più o meno il giro della volta precedente, sperando di ritrovarlo. Ma invano. Inizio allora a girare a caso.
Il mercato è davvero sconfinato, trovo un paio di bancarelle nella sezione coperta (quindi di fatto sono come dei mini-negozi) con opere d'arte di artisti locali e una la comprerei pure, da tanto che mi piaceva, ma non sarebbe mai entrata nella valigia.
Gironzolo, trovo la sezione amuleti e affini, quella cibo da strada e bubble tea, cui non resisto, e passo per la sezione pietre dure e gioielli, fino alla sezione articoli per la casa e vestiario. Niente mutande.
La torre dell'orologio in stile cinese è degli anni '80. Del '900.
Ormai rasseganto di ripartire senza mutande, dopo due ore di gironzolare per il mercato, torno verso l'uscita quando uno stallo con dei boxer appesi. Mi avvicino. Il pull-up banner non mente: sono loro!
Contento, rinfrancato e sudato, torno in hotel per una velocissima doccia e un cambio d'abito; ho bisogno di indossare pantaloni lunghi (ugh!!!) per entrare nei due templi che ho intenzione di visitare. Il primo è Wat Traimit, dove si trova il Buddha d'oro, a due passi dalla vecchia stazione centrale; l'altro è Wat Arun, il tempio dell'alba, dall'altro lato del fiume Chao Phraya. Riprendo la metro, sempre Blue Line, stavolta in direzione sud. Prima fermata, Hua Lamphong.
La stazione della metro è staccata da quella ferroviaria, che venne costruita a inizio '900 su disegno di un architetto torinese, Mario Tamagno.
Come dice Sebastiano del Vivaio le Georgiche, "bella clan georgici, make the jungle!"
Il tempio di Wat Traimit in realtà è un tempio secondario e piuttosto recente (la pagoda è del 2008!).
La sua importanza risiede unicamente nella statua d'oro del Buddha qui ospitata (anzi, il tempio fu costruito proprio per questo motivo), risalente al 1200 e miracolosamente sfuggita alle razzie che seguirono la guerra tra l'impero Birmano e il regno di Ayutthaya nel 1700.
La statua è d'oro massiccio, e pesa oltre 5 tonnellate; cosa ignorata fino agli anni '50, quando un maldestro tentativo di spostare la statua ne causò la caduta e il distaccamente dello strato esterno di intonaco, che venne probabilmente messo sulla statua per camuffarla durante la guerra con l'Impero Birmano ed evitarne il furto.
Torno verso la metro e scendo oltre il fiume, a Itsaraphap; da qui, una passeggiata di circa un chilometro in un tranquillo quartiere residenziale porta all'ingresso di Wat Arun, il Tempio dell'Aurora, nonché al molo con lo stesso nome che funge da attracco per i battelli che attraversano il Chao Phraya verso la sponda opposta. L'ingresso del tempio è dimesso e prosegue dalla jetty dove attraccano i battelli; ma appena si entra, lo splendore si palesa.
Il tempio occupa un lotto pittosto esteso con diversi edifici al suo interno. Il primo tempio risale sicuramente a prima del 1600, anche se la ricostruzione ed espansione del sito avvenne per lo più dal 1700 in poi, quando la capitale del regno siamese venne spostata da Ayutthaya a Thonburi, allora una città in quello che è oggi un quartiere di Bangkok (sulla sponda occidentale del Chao Praya).
Un'interessante disanima sul perché non si dovrebbero avere tatuaggi del Buddha, e il fatto che i pannelli siano in inglese mi suggerisce chi possano essere gli idioti che vorrebbero tatuarsi delle divinità sul derma.
L'ingresso alla Ordination Hall. Lungo tutto il perimetro si trovano antiche statue di origine cinese con soggetti mitologici.
L'interno è ricoperto di affreschi che mostrano scene della vita del Buddha. Passerei ore a guardare cosa fanno tutti i personaggi, è come leggere i fumetti.
Il tempio è un luogo di pellegrinaggio molto sentito dalla popolazione Thai.
Durante l'espansione commissionata nel 1850 venne eretta la torre centrale, o prang, alta un'ottantina di metri, che è oggi il punto focale del tempio. È possibile salire fino al secondo livello. I gradini hanno il passo cortissimo e per scendere ho avuto notevoli difficoltà - se soffrite di vertigini, pensateci due volte...
La prang centrale è circondata da altre quattro minori. Ci sta tutto a fatica pur con il 16mm montato, e quindi scordiamoci di raddrizzare le cadenti...
Devo giusto andare dall'altra parte del fiume; il tramondo si sta avvicinando e il Tempio dell'Aurora è in realtà in una posizione incredibile per il tramonto. Prendo il battello che fa la spola tra le due rive. Più una chiatta coperta che altro... il moto ondoso, alimentato dall'incessante traffico sul fiume, mi fa quasi venire la nausea!
C'è un secondo molo a Wat Pho, molto spazioso e nuovo, dove settare campobase in attesa del tramonto. Sguardi: lui sta chiaramente rimpiangendo il momento in cui si è sposato.
Il tramonto avviene in fretta, oltre le nubi, e le luci del tempio vengono accese.
Una ragazza coreana dietro di me mi fa un video a tradimento. Iniziamo a chiacchierare e mi manda il file via email, chiedendomi di farle un video nello stesso modo.
Tornando indietro, mi fermo in uno dei vari stalli sotto la mia fermata della metro per prendere dell'anatra arrosto e riso rosso.
DaV
Chiedo ferie per metà marzo-inizio aprile, e inizio a buttare giù un itinerario di massima. L'idea è ovviamente tornare a Taiwan, che mi manca da morire; il nuovo volo diretto di Eva Air ha prezzi completamente folli, ma triangolando qui e là riesco a far saltare fuori una roba quasi decente con arrivo a Bangkok e ritorno da Singapore. A inizio gennaio inizio a spammare amici sparsi in mezza Asia avvisando del mio imminente arrivo, così almeno possono accampare le classiche scuse terribili per non vedermi: mi è morto il gatto, il capo non mi dà ferie, Gigi Ping sta per invaderci, ecc.
Fast forward a metà marzo, che è un rewind considerando che è un anno fa; fine giornata lavorativa, si spegne il laptop per l'ultima volta per due settimane e si esce gioiosi in un giovedì pomeriggio che incredibilmente non è di pioggia. Si chiude la valigia e si mettono nello zainetto gli ultimi accessori, e anche Teddy Pengyü che finalmente torna a Taiwan dopo tanti anni.

La fida S50 è in arrivo puntuale alle 18:00 da Biasca e oggi si preannuncia particolarmente piena. Non che abbia necessità di andare in aeroporto così presto, con il volo alle 21 e passate, ma a me piace l'atmosfera aeroportuale.

Viaggio senza intoppi; l'atrio (se così si può chiamare) della stazione sembra un non-luogo di passaggio abbandonato a se stesso, di cui non si capisce scopo o utilità.

L'esercito di nani di terracotta di Max Papeschi invade la Soglia di Milano. Speravo invadessero anche la palazzina SEA, reparto social media & marketing, e non facessero prigionieri.

I soliti sospetti delle partenze serali.

I banchi sono già aperti, e c'è già gente che deposita la valigia; mi accodo e, al mio turno, la solerte addetta mi chiede di staccare tutti i barcode adesivi passati, perché "è la prima causa di perdita dei bagagli". Mi do una grattata colossale, considerando che non mi è mai successo che un bagaglio venisse smarrito o mandato a Melilla invece che a Manila - in effetti, gli unici tre bagagli consegnati con qualche giorno di ritardo sono stati a causa di mancate coincidenze per ritardo dei voli.
Ottenuta l'agognata carta d'imbarco, superati i controlli di sicurezza in quella che è la mia esperienza peggiore da quando ci sono i varchi nuovi (ben... dieci minuti) e incredibilmente trovato vuoto l'eGate dei passaporti, non resta altro che gironzolare per il terminal e poi appropinquarsi felici al satellite C dove sono quasi sicuro imbarcheremo.

Una foto terribile (con lo zoom digitale del telefonino) all'avione, che appunto arriva al sat C come preventivato.

A quest'ora in pratica c'è solo la trifecta della mediorientali nel terminal (Qatar, Emirates, con Oman al posto di Etihad) e nonostante i tre voli in 30 minuti, il satellite è abbastanza grosso per disperdere la folla all'abbisogna.
Il volo viene imbarcato in orario con file in tre gruppi per l'economy, oltre alla priority per i passeggeri bizniz e tesserati vari. Sembra che partiremo discretamente pieni.

Tratta: Milan-Malpensa (MXP) >>> Doha-Hamad International (DOH)
Volo: QR 118
Aereo: Airbus 350-941
Marche: A7-ALF
Età: 8.5 anni
Posto: 35A
Sched/Actual: 2150-0540+1 // 2202-0506+1
Durata volo: 5h 04’
Gate: B59
Giulive e sorridenti assistenti di volo controllano il posto sulla carta d'imbarco e indirizzano i passeggeri sul corridoio giusto. Saluto e mi avvio al mio 35A, una ventata d'aria fresca rispetto ai miei soliti 72K o 84A

A imbarco chiuso, avviene il miracolo del posto accanto libero. Ci guardiamo con aria d'intesa col mio vicino di posto e ci spartiamo il posto a metà con i cuscini e le coperte a limitare il confine. Ancora prima di staccare il jetbridge dall'aereo, qualcuno ha già reclinato il sedile.

Il nostro vicino è etiope. Ethiopian Airlines si sta ponendo come un concorrente davvero aggressivo sul mercato europeo, e sta crescendo velocemente.

Finiti i preparativi pre-partenza, noto che, rispetto al pre-covid, non viene più distribuito il menu stampato. Partiamo nel buio della notte.

Ripassiamo sopra Malpensa prima di mettere prua verso sud-est.

Abbastanza inusualmente, passiamo a sud-ovest di Milano.

La cabina, intanto, si trasforma in un'installazione artistica di Dan Flavin.


Dopo un'oretta dal decollo circa, viene servita la cena, con scelta tra pollo, manzo e un'opzione vegetariana di cucina thailandese. Vado di pollo alle olive con polenta e funghi. Onestamente? Ottimo. L'insalata di pasta invece... come dire: da rivedere. E con piacere trovo che hanno ancora succo di mango. Invece, noto con dispiacere che sale, pepe e burro sono scomparsi dal vassoio. Da quando se n'è andato il padre-padrone Akbar Al-Baker, si saranno resi conto che i conti devono anche quadrare...

Ordino un secondo succo di mango per farmi compagnia nella notte in volo, ma il vassoio al sedile centrale è instabile (pende verso il basso) e il bicchiere scivola in un nanosecondo giù dal bordo, finendo sul sedile in mezzo, dalla mia parte. La coperta che avevo su limita i danni, ma il succo scivola sotto e mi ritrovo con un pezzo di sedere al gusto mango e la custodia della macchina fotografica super idratata.
Ripulito come potevo il ripulibile, e sparato il getto d'aria a palla sul sedile per cercare di asciugare il prima possibile (grazie santa aria della cabina col 12% di umidità relativa), cerco di dormicchiare, ma è impossibile, quindi guardo Oppenheimer. Bello, anche se mi aspettavo un po' di più. Non c'è lo snack pre-atterraggio (hanno tagliato davvero tanto!), e ormai siamo in avvicinamento a Doha, che sono le 5am locali e le 2am del mio fuso orario. In pratica sono uno zombie.
L'unico annuncio del comandante, spagnolo, arriva un'ora prima dell'atterraggio, al cui seguito tutte le luci vengono accese in modalità fuga da Alcatraz. Segue un secondo annuncio della capocabina che informa i passeggeri che mangiare e bere in pubblico è proibito dato che siamo nel periodo del ramadan (forse intendeva fuori dall'aeroporto, perché al suo interno tutti i ristoranti erano aperti e pieni di clienti).

Atterriamo piuttosto delicatamente, e rulliamo fino ad una piazzola remota per sbarco con bus. In aeroporto regna il caos - come sempre, si passa prima per i filtri di sicurezza con gli addetti che aprono e chiudono le code completamente a caso, mandando i passeggeri da una parte all'altra del terminal. Più di trenta minuti per fare i controlli di sicurezza è una novità assoluta per me a Doha, e credo vada iscritto nella crisi generale di competenze e buon senso causato dal Covid. Non mi stupirei se tra cinquant'anni scopriremo che tra gli effetti della pandemia c'è il rincoglionimento globale.
Passato il girone infernale, c'è solo da capire cosa fare per quattro ore. Una foto a lui occupa 1 minuto e mezzo. Altre tre ore e 58 minuti...

Vago per il terminal in cerca di un posto dove sedermi e mi quasi addormento (per sicurezza ho impostato un'allarme sul telefonino, sai mai...).
Con una lentezza disarmante, le ore passano e il gate apre.


Tratta: Doha-Hamad International (DOH) >>> Bangkok-Suvarnabhumi (BKK)
Volo: QR 832
Aereo: Boeing 777-3DZER
Marche: A7-BAZ
Età: 11.0 anni
Posto: 49A
Sched/Actual: 0840-1910 // 0909-1856
Durata volo: 5h 47’
Gate: B8
L'area di pre-boarding è già aperta, quindi mi ci infilo senza indugio; l'imbarco vero e proprio partirà una decina di minuti in ritardo. La cabina sembra un po' vecchia per un aereo di soli 11 anni; c'è una certa differenza con il 350, e si vede. Spazio per le gambe ok ma meno generoso rispetto al volo precedente.

Rulliamo nel traffico mattutino di Doha International, con code dietro, davanti e di lato.

Tagliamo la coda davanti ad un 737Max che verosimilmente sarebbe dovuto volare in Italia con Air Italy, così come il 787-8 dietro di lui.

La corsa di decollo sembra infinita, lunghissima, ma alla fine ci libriamo nel cielo rosa lattiginoso di Doha.

Un agglomerato urbano senza senso.

Mi quasi appisolo ma siamo oggetto di notevole turbolenza sopra tutto il golfo Persico e il golfo di Oman. Almeno, sopra le nuvole, il cielo è di nuovo blu.

Vengo comunque svegliato dallo sferruzzare di piatti e tazzine. È ora di colazione, dopo un'ora e mezza dal decollo. Frittata con le verdure, edibile. Il succo di mango è ben al sicuro stavolta.

Il mio ptv va in crash quando provo mettere su la mappa per vedere dove siamo. Ciò mi impedisce di distrarmi dal dormire, cosa che provo a fare di nuovo, nonostante un rinnovo della turbolenza appena giunti sopra il subcontinente - anzi, se possibile, peggiora pure.
Mi risveglio che è tramonto.

Siamo già in discesa, e si vedono fuochi sulla pianura sottostante. Potrebbe essere in Birmania.

Il tramonto è passato ma i colori rimangono intensi.

Ormai fuori è buio e siamo in finale per BKK. Strade.

Atterriamo nella notte, anche se non sono neppure le 7 di sera. Vicini low-cost.

Lo sbarco richiedere una vita, sembra che tutto vada a rilento. Oppure è solo il mio cervello ad andare al rallenty visto che sto dormendo in piedi. No, no, non sono io: il controllo passaporti è intasato e mi becco la trainee di turno che si impianta su un britannico che sembra il prototipo del turista sessuale con condanne pendenti
Rinuncio a fare la sim card, tanto sono qui solo un giorno e mezzo come stop over e posso sopravvivere senza connessione fuori dall'albergo. Prelevo alcuni bath, faccio un salto al primo 7-Eleven che vedo in aeroporto e mi vettovaglio, prima di andare alla stazione della metro che mi porta direttamente in hotel - ho preso strategicamente alloggio attaccato a Makassan, sulla Airport Rail Link e a due passi dalla stazione di Phetchaburi sulla MRT. Per rendere le cose confuse al massimo, c'è anche una stazione Makassan sulla ferrovia nazionale, che è poco più a ovest, e usa i binari sotto la sopraelevata che ospita l'Airport Rail Link, a raso con la strada.
Sia come sia, esco per la prima volta da quando sono atterrato nell'afa di Bangkok, in alcuni dei giorni più caldi dell'anno; solo per fare il giro (dell'oca, la razionalità non è parte della mentalità thai...) per uscire dalla stazione e attraversare l'incrocio, divento fradicio. Sono un mortozzombie e non vedo l'ora di dormire.
Bangkok fu la prima meta dell'ultimo viaggio intercontinentale proprio all'inizio della pandemia. Mi sembra più che giusto, quindi, ricominciare proprio da qui. Errrr no, la realtà è che i voli costavano un'infinità meno facendo scalo qui. Bangkok non mi ha mai convinto troppo come destianazione turistica, ma. Due ma. Primo ma: i boxer più comodi mai comprati li ho trovate qui. Secondo ma: l'altra volta avevo dovuto tralasciare un paio di templi causa mancanza di tempo. Quindi, cogliendo i proverbiali due piccioni con una fava, visto che da Bangkok ci devo comunque passare per non dover accendere un mutuo per il solo volo, tanto vale ricavarne il massimo e avere un giorno per gironzolare e fare shopping.
Prima lo shopping: i boxer si trovano al mercato di Chatuchak, definito il mercato all'aperto più frequentato del mondo, che si tiene solo nel weekend. Vi sono migliaia di bancarelle, suddivise in zone "tematiche" per cui è almeno facile trovare quel che si cerca - posto che troviate la zona dove quelle bancarelle si trovano
Avevo il vago ricordo che il banchetto della Toogtons, il marchio che cerco, fosse vicino all'ingresso. Cerco di stabilirlo tramite le foto del viaggio precedente, e mi avvio speranzoso; da googlemaps, sembra che il banchetto sia nella sezione 23, più o meno dove ricordavo.

Dopo una colazione veloce, che è già piuttosto tardi, mi avvio alla fermata di Phetchaburi, a due passi dall'hotel, e vado diretto in direzione nord fino a Kamphaeng Fet sulla Blue Line, dove si trova l'ingresso del mercato.
Il mercato è come lo ricordavo, un po' più affollato del 2020, ma neppure troppo - a quanto pare i turisti cinesi ancora non sono tornati in massa (il che ci dice che si sono ristretti i cordoni della borsa del cinese medio, o la volontà politica di far uscire liquidità dal paese... ed entrambi la dicono lunga sullo stato reale dell'economia cinese).
Vado diretto verso la sezione 23, passo avanti e indietro una mezza dozzina di volte, ma niente, non trovo il banchetto. Allora torno all'ingresso e rifaccio più o meno il giro della volta precedente, sperando di ritrovarlo. Ma invano. Inizio allora a girare a caso.

Il mercato è davvero sconfinato, trovo un paio di bancarelle nella sezione coperta (quindi di fatto sono come dei mini-negozi) con opere d'arte di artisti locali e una la comprerei pure, da tanto che mi piaceva, ma non sarebbe mai entrata nella valigia.
Gironzolo, trovo la sezione amuleti e affini, quella cibo da strada e bubble tea, cui non resisto, e passo per la sezione pietre dure e gioielli, fino alla sezione articoli per la casa e vestiario. Niente mutande.
La torre dell'orologio in stile cinese è degli anni '80. Del '900.

Ormai rasseganto di ripartire senza mutande, dopo due ore di gironzolare per il mercato, torno verso l'uscita quando uno stallo con dei boxer appesi. Mi avvicino. Il pull-up banner non mente: sono loro!

Contento, rinfrancato e sudato, torno in hotel per una velocissima doccia e un cambio d'abito; ho bisogno di indossare pantaloni lunghi (ugh!!!) per entrare nei due templi che ho intenzione di visitare. Il primo è Wat Traimit, dove si trova il Buddha d'oro, a due passi dalla vecchia stazione centrale; l'altro è Wat Arun, il tempio dell'alba, dall'altro lato del fiume Chao Phraya. Riprendo la metro, sempre Blue Line, stavolta in direzione sud. Prima fermata, Hua Lamphong.

La stazione della metro è staccata da quella ferroviaria, che venne costruita a inizio '900 su disegno di un architetto torinese, Mario Tamagno.

Come dice Sebastiano del Vivaio le Georgiche, "bella clan georgici, make the jungle!"


Il tempio di Wat Traimit in realtà è un tempio secondario e piuttosto recente (la pagoda è del 2008!).

La sua importanza risiede unicamente nella statua d'oro del Buddha qui ospitata (anzi, il tempio fu costruito proprio per questo motivo), risalente al 1200 e miracolosamente sfuggita alle razzie che seguirono la guerra tra l'impero Birmano e il regno di Ayutthaya nel 1700.
La statua è d'oro massiccio, e pesa oltre 5 tonnellate; cosa ignorata fino agli anni '50, quando un maldestro tentativo di spostare la statua ne causò la caduta e il distaccamente dello strato esterno di intonaco, che venne probabilmente messo sulla statua per camuffarla durante la guerra con l'Impero Birmano ed evitarne il furto.

Torno verso la metro e scendo oltre il fiume, a Itsaraphap; da qui, una passeggiata di circa un chilometro in un tranquillo quartiere residenziale porta all'ingresso di Wat Arun, il Tempio dell'Aurora, nonché al molo con lo stesso nome che funge da attracco per i battelli che attraversano il Chao Phraya verso la sponda opposta. L'ingresso del tempio è dimesso e prosegue dalla jetty dove attraccano i battelli; ma appena si entra, lo splendore si palesa.

Il tempio occupa un lotto pittosto esteso con diversi edifici al suo interno. Il primo tempio risale sicuramente a prima del 1600, anche se la ricostruzione ed espansione del sito avvenne per lo più dal 1700 in poi, quando la capitale del regno siamese venne spostata da Ayutthaya a Thonburi, allora una città in quello che è oggi un quartiere di Bangkok (sulla sponda occidentale del Chao Praya).
Un'interessante disanima sul perché non si dovrebbero avere tatuaggi del Buddha, e il fatto che i pannelli siano in inglese mi suggerisce chi possano essere gli idioti che vorrebbero tatuarsi delle divinità sul derma.

L'ingresso alla Ordination Hall. Lungo tutto il perimetro si trovano antiche statue di origine cinese con soggetti mitologici.


L'interno è ricoperto di affreschi che mostrano scene della vita del Buddha. Passerei ore a guardare cosa fanno tutti i personaggi, è come leggere i fumetti.


Il tempio è un luogo di pellegrinaggio molto sentito dalla popolazione Thai.

Durante l'espansione commissionata nel 1850 venne eretta la torre centrale, o prang, alta un'ottantina di metri, che è oggi il punto focale del tempio. È possibile salire fino al secondo livello. I gradini hanno il passo cortissimo e per scendere ho avuto notevoli difficoltà - se soffrite di vertigini, pensateci due volte...

La prang centrale è circondata da altre quattro minori. Ci sta tutto a fatica pur con il 16mm montato, e quindi scordiamoci di raddrizzare le cadenti...

Devo giusto andare dall'altra parte del fiume; il tramondo si sta avvicinando e il Tempio dell'Aurora è in realtà in una posizione incredibile per il tramonto. Prendo il battello che fa la spola tra le due rive. Più una chiatta coperta che altro... il moto ondoso, alimentato dall'incessante traffico sul fiume, mi fa quasi venire la nausea!

C'è un secondo molo a Wat Pho, molto spazioso e nuovo, dove settare campobase in attesa del tramonto. Sguardi: lui sta chiaramente rimpiangendo il momento in cui si è sposato.

Il tramonto avviene in fretta, oltre le nubi, e le luci del tempio vengono accese.

Una ragazza coreana dietro di me mi fa un video a tradimento. Iniziamo a chiacchierare e mi manda il file via email, chiedendomi di farle un video nello stesso modo.
Tornando indietro, mi fermo in uno dei vari stalli sotto la mia fermata della metro per prendere dell'anatra arrosto e riso rosso.

DaV