1. Maggio ’23 – Novembre ’23: trovare la quadra.
Siamo al conclave dei programme manager del Transformation team. St Athan, Galles, vi c’ho portati per la visita allo sfasciacarrozze eCube,
eccovi il link. Questa è la parte antecedente alla gita sul piazzale, altrimenti nota come
guadagnarsi la pagnotta. Arriviamo al punto dolente dell’agenda, quello dei progetti e programmi in arrivo. Come sempre c’è troppa domanda e troppa poca gente: si schiva ciò che si può, il programma per l’entrata in servizio del 777-9 viene giustamente rimandato a quando Boeing avrà almeno un’idea di quando certificheranno quel coso, e tutto sembra andar bene. La presentazione sul megaschermo passa ad un ennesimo
one-pager e l’Illuminata Direttrice fa una smorfia, quel tipo di smorfia che, come sappiamo tutti, è preludio a un problema. Stringimento collettivo degli sfinteri da parte degli astanti.
“Ragazzi, questo è urgente”, fa lei. “Dobbiamo cambiare terminal a Chicago, e serve che uno di voi se ne occupi. Vi posso dare un project manager a ottobre, ma va iniziato ora”.
Silenzio in platea. Da un lato siamo tutti stracarichi di lavoro – pre-Covid era norma avere un programma a testa, mentre ora ne abbiamo tutti almeno due – e dall’altro il caso precedente di colocazione con American, il Terminal 8 di JFK, è stato una fresatura gonadica senza precedenti. Troppi galli nel pollaio, troppe attenzioni non richieste, troppa gente che voleva infilarcisi. Insomma, tutti gli ingredienti per un bel casino.
L’Illuminata Direttrice non demorde. “Questo non sarà come JFK”, ci rassicura. “Per iniziare è più semplice, e Chris e Matt hanno carta bianca”. Li conosco: uno è il vicepresidente per il nord-Est degli Stati Uniti, l’altro si occupa della Joint Business atlantica, entrambi sono bravi ragazzi. Inarco un sopracciglio alla Carletto Ancelotti; l’Illuminata Direttrice nota il mio cambio d’espressione in un convivio di facce di bronzo, e mi fa un cenno che vuol dire ‘
ne parliamo dopo’. Il collega seduto di fianco a me mi sussurra
“Ya poor bastard”.
La settimana successiva inizio a capirci qualcosa di più. Per farla breve, BA ha in leasing degli spazi al Terminal 5 di ORD: lounge, uffici, gates. Questo leasing scadrà il 30 aprile 2024, e non si può rinnovare, meglio se non vi dico perché, e quindi si deve andare da un’altra parte. Non sto a spiegarvi il perché e il percome, altrimenti dovrei mettere per iscritto cose molto poco simpatiche riguardo certe parti in causa, ma credeteamme.
American Airlines ha un’enorme base al Terminal 3, con tanto di Flagship Lounge, e la cosa ovvia è, quindi, quella di andare da loro.
C’è solo un inghippo, e per spiegarvelo eccovi una bella mappa di ORD.
Ecco, il Terminal 5 è quel coso lungo e giallo sulla sinistra. Il 3 è giusto di fianco, quella specie di granchio verde. A seguire c’è la Y rossa del terminal 2, e poi quello blu è il Terminal 1, dove troviamo United e compagnia bella Star.
Il problema per noi è che l’immigrazione si trova
solo al Terminal 5. Per qualche motivo recondito, in uno dei suoi principali gateways intercontinentali, la nazione più ricca del mondo ha soltanto le risorse necessarie per avere CBP in un terminal. Insomma, la faccio breve: dovremo atterrare a T5 e poi spostarci al 3. Così fanno AA, JL, IB e, per T1, UA/LH ed altri ancora. Quasi una trentina di movimenti al giorno, tutti con aerei
under their own power, nessuno lo faccia sapere a Greta Thunberg.
Nell’estate del 2023, a cavallo dell’Atlantico, lavoriamo su tre problemi principali:
- Come passare da T5 a T3, tre volte al giorno, senza troppi casini;
- Dove piazzare il nostro ufficio (ORD ha almeno una quarantina di colleghi per la gestione delle operazioni above the wing, e fa da centro per la formazione per gli Stati Uniti);
- Dove schiaffare i nostri clienti premium;
C’è anche un quarto problema, che rimane lì ad aleggiare nell’aria: come fare tutto questo, entro aprile 2024, senza potenzialmente perdere una barcata di soldi.
Sto seguendo altri progetti a Londra ed in India, ma col passar del tempo iniziamo a trovare soluzioni. Il punto 3 è risolto per primo: AA consentirà l’accesso alla Flagship. Il punto 2 richiede un po’ più di lavoro, ma Properties e l’inossidabile Maureen, l’airport manager di ORD, riescono a trovare gli spazi sufficienti a T3 con l’aiuto di AA (NB: l’infrastruttura aeroportuale è della Città di Chicago, dipartimento di Aviazione – CDA per gli amici – un ente malfamato come pochi, ma AA è il
leaseholder per T3).
Il punto 1, però, rimane un casino. Partiamo con l’idea di usare quelle che Dancrane chiama “aragoste”, in base a logiche note solo a lui e al suo ottico di fiducia, ossia i trattori per il pushback. Arriviamo in fretta alla conclusione che non ci sono opzioni e, anche se ce ne fossero, il tragitto T5-T3 sarebbe troppo lento. La Torre non dà precedenza al traffico trainato, nessuno lo fa se non per andare in hangar, d’inverno sarebbe un casino, insomma un bordello. Per forza di cose dobbiamo fare taxi a motori accesi, con buona pace del costo per le emissioni aggiuntive. Rimane il problema di chi deve fare ‘sto benedetto taxi.
Ora di settembre troviamo la soluzione. Ci assicuriamo il beneplacito di tutti i mammasantissima di BA, della CAA, FAA, CDA, AA, i sindacati, la Sacra Rota, gli Illuminati e l’assessorato alla caccia del comune di Sala Biellese. Compilo un business case ben dettagliato, con ampi margini di
contingency, e alla voce “benefici” abbiamo un ‘plus’ non da poco: partendo da Chicago, essere nello stesso terminal di AA ci consentirà di tagliare il tempo di connessione minimo di quasi la metà. A novembre vado dal Politburo di BA e ne esco con l’OK ad iniziare a spendere denaro.
A dicembre mando giù la project manager, che chiameremo OX49, per fare in modo che conosca chi deve conoscere e si faccia un'idea di come funzionano le operazioni in una outstation BA. Ora di febbraio, archiviata la mia pratica in India, si fa il momento di tornare a ORD anche per me.
Continua.