Leggetevi 'sta chicca, da Repubblica di oggi, pag. 22:
L'aereo sbaglia rotta, i russi lo bloccano
ROMA. «Per questioni indipendenti da noi, la Russia ha chiuso il suo spazio aereo, quindi d'accordo con il personale di terra abbiamo deciso di tornare in Italia, a Fiumicino». Erano circa le quattro del pomeriggio di sabato 19 aprile, quando il comandante del volo AZO788, partito alle 13,30 da Venezia per Tokyo, ha annunciato ai circa 200 passeggeri a bordo l'imprevisto. Arrivato a Roma alle 18, 30, il volo è poi ripartito per il Giappone dopo un'ora di scalo tecnico: i passeggeri sono arrivati con quasi sei ore di ritardo, e il dubbio che fosse successo qualcosa di grave. «C'è chi ha pensato all'Ucraina, alla situazione di tensione internazionale», racconta Lucilla Lopriore, parente di uno di loro. Non era così. Era vero però che un problema c'era stato. Come spiega la stessa Alitalia e conferma l' Enac, quell' aereo era partito con un piano di volo sbagliato: non avevail permesso di passare sopra la Russia. Motivo, secondo Alitalia, i dazi chela Russia chiede per il sorvolo, e che accetta da Milano e Roma, ma che non vorrebbe accettare da Venezia. E la nuova rotta, inaugurata solo lo scorso 3 aprile, ha avuto quello che finora risulta essere il primo intoppo, con non poco disagio per i passeggeri. «Siamo partiti da Venezia alle 13,30 », racconta il parente di Lucilla Lopriore, che richiede l'anonimato, «e il pilota ha decantato la tratta, spiegando che saremmo passati dalla Siberia e saremmo arrivati anche in anticipo. Poi, dopo due ore e mezza, all'altezza di Minsk, in Bielorussia, ci ha comunicato la novità». Arrivato a Roma, il passeggero parla con la famiglia. «Era nell'aereo fermo in pista. Mi ha chiesto se si avevano notizie di problemi internazionali, non riuscivo a capire neppure io», ricorda Lucilla Lopriore, «mi sono informata con Alitali a e rispondevano con una frase standard che sembrava una presa in giro: "Il volo Venezia-Roma è atterrato regolarmente". All'obiezione che il volo non doveva venire a Roma e che dal decollo erano passate cinque ore, quindi non era affatto regolare, ripetevano la stessa frase». Nel frattempo ai passeggeri veniva annunciato che sarebbero rimasti a bordo mentre si provvedeva al rifornimento di carburante e al cambio dell'equipaggio. «Una volta ripartiti», racconta il passeggero, «il comandante si è scusato del disagio ripetendo che non era dipeso daloro e aggiungendo che c'erano stati "problemi operativi"».
Cosa sia accaduto si arriva a scoprirlo un poco alla volta. Da un lato c'è il problema di certe rigidità da parte della Russia, che sembra stiano lamentando più Paesi europei, riguardo alla questione dei dazi. Per il Giappone, come per altre mete orientali, la strada più breve passa proprio dalla Russia e infatti è quella la rotta dei voli in partenza da Milano e Roma, con relativopagamento. Preparando il nuovo collegamento, Alitalia ha però avuto un rifiuto. Gli aerei che partono da Venezia fanno quindi una strada più lunga, passando sotto la Russia e attraversando i cieli dell'India per poi arrivare in Giappone dopo due ore di volo in più (e i costi, promozione iniziale a parte , sono uguali ). Quel 19 aprile, infine, qualcosa non ha funzionato. E piano di volo è prodotto da un sistema operativo computerizzato nel quale vengono inseriti i dati. E qui , l'unica cosa che si riesce a capire è che potrebbero essere stati inseriti i dati delle "solite" rotte per il Giappone, via Russia, invece di quelli del tragitto obbligato per Venezia. Ma non è dato sapere se siano previste misure a carico di chi ha commesso l'errore, provocando disagi ai passeggeri e perdite economiche alla compagnia. L'Ente nazionale per l'aviazione civile fa sapere che era a conoscenza dell'incidente: risultano anche a loro un "mancato coordinamento" e l' assenza di "accordi per il sorvolo" russo, oltre al fatto che, dovendo scegliere fra uno scalo a Pechino con cambio equipaggio dai tempi molto più lunghi di quelli di Fiumicino, l'Alitalia ha preferito Roma. «Per i passeggeri, però», conclude Lucilla Lopriore, «non una spiegazione, né un gesto concreto che ricompensasse il disagio».