Ultimo ricordo – BAMC
Vabbe’, il bel gioco dura poco, la chiudo qui con un ultimo ricordo su BAMC, altrimenti conosciuta come British Airways Maintenance Cardiff. Una parte della compagnia che ho avuto modo di conoscere abbastanza bene; le foto, pero’, saranno pochine: malgrado ci sia andato spesso, durante un progetto, non ho foto di quelle visite. Cio’ che rimane sono alcune immagini della mia prima visita, di cui tra l’altro avevo scritto nel mio TR d’esordio su AC... il viaggio di riconsegna di G-RAES, dopo la sua reconfigurazione con IFE Thales nel 2012. Sono passati otto anni oramai, e G-RAES ha i nuovi interni con Club Suite (ma sempre il Thales). Come passa il tempo.
Comunque, bando alle ciance, parliamo di BAMC.
Come chiunque lavori in una grossa azienda sa, ufficio che vai cultura che trovi. Nei dipartimenti “remoti” di BA (e ne ho girati un po’, dall’America all’Europa passando per quelli inglesi) la cultura di solito e’ migliore che nell’HQ o a LHR, e BAMC non fa differenza, anche se c’e’ un aspetto negativo rispetto, per esempio, a Glasgow. A BAMC, per dirla come la metteva un collega, vige l’Ortodossia di BAMC, ossia le cose si fanno come dicono loro. E guai a chi prova a cambiare il modus operandi.
Le mie visite a BAMC sono state spesso e volentieri delle battaglie. Ore chiusi in una stanzetta, otto-dieci omoni (e donnone) ed io, con la puzza che raggiungeva livelli proibiti dall’ONU, a litigare sul modo con cui chiudere una revision o controllare che tutti i lavori siano stati fatti. Ricordo un momento particolarmente divertente, per cosi’ dire, quando il nostro team leader da BAMG – e il surveyor della CAA! – cercavano di far capire ai gallesi che si, si poteva usare uno specifico tool per controllare che, si, tutti e venticinquemila job cards erano state firmate appositamente, e dalla persona col corretto livello di autorizzazione, e i gallesi no. Duri. Convinti che si doveva fare tutto a mano. C’abbiamo messo sei ore a convincerli e sono straconvinto che, se andassi li domani, vedrei i vari Hughes, Griffiths e Matthews, lapis in mano, che si stampano una lista lunga venticinquemila linee e la controllano una ad una.
Divago.
Parlando di BAMC, arrivarci e’ una rottura di maroni incommensurabile. Non ho imparato a stimare Trenitalia fino a quando ho iniziato a usare i treni da queste parti, e non ho stimato le autostrade nel Bel Paese – inclusa l’A4 quando ci facevano i lavori – finche’ non ho preso la M4 verso Bristol, poi il ponte sul Severn, e poi verso Cardiff. ORE, dico ORE, con limite a 40mph, tre file di traffico solido, paraurti a paraurti, in mezzo a lande desolate tra Bristol e Londra. Poi, in Galles, hanno pure introdotto la “smart motorway” (una roba in cui la corsia d’emergenza diventa corsia vera e propria). Comunque sia, alla fine di 4 (alle volte 5) ore di passione si arriva, alla fine, a Cardiff. Alle volte dormiamo in un Premier Inn a Barry Island in cui dovrebbero servire lo Xanax, alle volte si fa (!) in giornata. L’ingresso e’ una palazzina in stile finto internescional anni ’90, vetro e metallo. Dentro, i soliti uffici BA old school, una mensa che serve prelibatezze 100% Britannia (e in cui i primi piatti vegetariani sono arrivati nel 2015), diverse sale riunioni e, infine, un set di doppie porte bianche che si aprono sull’hangar.
La caverna e’ enorme. C’e’ spazio per tre baie, se la memoria non m’inganna, che non credo di aver mai visto vuote se non, verso la fine, quando una era in procinto di diventare “adattabile” per gestire non solo i 747 ma anche i 787 e i 777. Credo che anche i 350 possano essere sistemati da quelle parti. Di solito si tratta solo di aerei BA, ma dal 2017 in poi Boeing ha subappaltato il contratto Goldcare di Norwegian a BAMC, col risultato di trovarci 787-8 e 787-9 “Flying Tampons”.
Tutte le volte, come su autopilota, siamo andati sempre e comunque a vedere un 747. C’e’ da ritirare G-RAES? Facciamo il giro su un 747. C’e’ da vedere il segnale del Wi-Fi e capire dove mettere un ripetitore 4G? Proviamo dentro a un 747.
Gli aerei, in un hangar di heavy, sono letteralmente inglobati in un sistema di impalcature che permette di accedere all’intero aereo, dalle ali alla cabina. L’aereo, a seconda del check, viene completamente svuotato – anche i motori vengono tolti – e ispezionato. Gli interni vanno a Blackwood e Llantrissant, i motori a RR, il resto... qui. Il lavoro e’ enorme. Per un D-check ci possono essere 25mila job cards, settimane di lavoro da parte di centinaia di operai specializzati su due turni.
Chiudo con un’ultimissimo ricordo, quello che forse ho piu’ in mente quando penso al 747. Non e’ l’essere in First, o l’upper deck, e’ la vista di cui purtroppo non ho foto, di quella volta in cui, alla fine del progetto e alla mia ultima visita a BAMC, mi hanno detto “Dai, andiamo su in coda”. E cosi siamo entrati in hangar, abbiamo camminato fino in fondo all’aereo, al rigging the e’ costruito intorno alla coda, e abbiamo iniziato a salire la rampa di scale. Ricordo diverse rampe, e poi, alla fine, ci siamo fermati, proprio di fianco alla punta della coda; la si poteva toccare. Da li’, a guardare in giu’, si vedeva la stessa vista che propongono le tail cam su certi IFE: tutta la fusoliera – bella, grossa, tondeggiante, bianca, la “pelle” metallica tesa dai rivetti e o-ring e leggermente flessa dove questi non ci sono – e poi la gobba, le porte aperte delle uscite di emergenza dell’upper deck, e poi la porticina dell’uscita di emergenza per i piloti, e il muso che piu’ che vederlo lo intravedevi. Le ali, a freccia, annegate nel metallo del rigging, le varie postazioni di lavoro, le lavagne con i job cards che avremmo di li a poco sostitutito con megaschermi, e le winglet. Anche da li sopra, soprattutto da la’ sopra, il 747 sembrava cio’ che e’: un’opera d’arte.