Ancora una decina di giorni e il piano delle Poste per Alitalia sarà definito. La messa a fuoco è a buon punto, ma si va con i piedi di piombo in un percorso di avvicinamento graduale. Non sottovalutando nessun aspetto. Lo scoglio da superare - o meglio da valutare bene prima di concentrare l'attenzione sui ricavi - resta quello legato alla situazione finanziaria, pregressa e attuale, che incide in maniera significativa sull'attività operativa e in definitiva sul core business. Tema sul quale l'ad Massimo Sarmi e il suo staff sono da tempo al lavoro. «Soluzioni finanziarie tampone - è il ragionamento del manager - hanno appunto un valore temporaneo, mentre serve una svolta vera, di natura industriale, su cui disegnare il futuro della compagnia e dare stabilità». Ma al di là di questa problematica - centrale anche per Air France - la strategia di Sarmi, almeno in una prospettiva più ampia e soprattutto dopo aver sottoscritto l'aumento di capitale, ha tre obiettivi prioritari: migliorare l'efficienza complessiva della compagnia, allentare alcuni vincoli che ne limitano l'operatività, assicurare a Fiumicino un ruolo centrale, quello cioè di essere per Alitalia il ponte per Africa e Medio Oriente. Certo molto dipenderà dalle scelte che compirà Air France il 16 novembre, quando dovrà decidere se aderire o meno alla ricapitalizzazione. Ai suoi, Sarmi fa capire che Parigi sarà quasi certamente della partita, sottoscrivendo la propria quota e magari un po' di inoptato. Se non altro - è la convinzione - perché nonostante le frizioni con Colaninno, in aumento in questi giorni, non c'è nessuna intenzione di lasciare il campo ai concorrenti, sia europei, come Lufthansa o British, sia del Golfo, vedi l'esempio Etihad. Non tutto è però scontato - si ragiona ancora - visto che il presidente Alexandre de Juniac dovrà vedersela con l'ala più dura del gruppo Air France-Klm che non vuole, come noto, investire altre risorse nell'alleanza e pone clausole rigidissime. Il pressing su Colaninno di questi giorni lo dimostra plasticamente. Francesi divisi quindi, con una parte che spinge a far saltare il banco e l'altra che frena pur alzando i toni. L'ultima parola spetterà al cda dove probabilmente prevarrà una linea di compromesso. Quello che è più chiaro nella mente del top manager che ha rilanciato le Poste è proprio l'aspetto industriale. Le sinergie - ha detto ai collaboratori - sono la parte più semplice da dominare. C'è già una proiezione di massima. Le stime sulle possibili sinergie parlano di una forchetta tra 100 e 120 milioni di euro in tre anni. Con un piano industriale che spinge a valorizzare iniziative commerciali comuni, ad integrare la piccola Mistral Air con la flotta Alitalia, a sviluppare la gestione di data center e dei sistemi informatici, a modulare tratte e network, gestione delle vendite e debito. «Le iniziative utili ad entrambi sono tante - aggiunge - e tutte da seguire con la massima attenzione». Serve quindi un cambio di passo rispetto al passato. Come richiesto, con toni decisamente rudi e strumentali dalle due lettere inviate a Roma da de Juniac e dal cfo Philippe Calavia. Critiche e obiezioni che ai più - Sarmi è tra questi - sono apparse di natura tattica, un pressing studiato. Finalizzate non a rompere, ma a ad avere mani libere nel caso in cui tutto dovesse naufragare. Con de Juniac (Sarmi gli ha parlato anche dopo l'invio dell'ultima lettera di fuoco) si è instaurato un ottimo rapporto. «Hanno una visione pragmatica, un know how da grande azienda come Poste, del resto. E pongono condizioni dure, ma sono disponibili a ragionare in maniera aperta e pragmatica». Pare evidente che i francesi siano poco inclini a tagliare i ponti: piuttosto c'è la necessità, condivisa da Poste, di rivedere a fondo la governance. «L'obiettivo comune potrebbe essere quello di avere un board più snello per Alitalia, con una decina di membri al massimo, magari con due rappresentati a testa per Poste e per i francesi». Si tratta di ipotesi ovviamente. Tutto dipenderà dagli equilibri che si troveranno con la ricapitalizzazione. Nessuna preclusione quindi a lavorare insieme, in un working team comune con Parigi. Analizzando caso per caso tutti i nodi da sciogliere: dal debito di Alitalia - i francesi non hanno nessuna intenzione di consolidarlo insieme al proprio - agli accordi industriali, fino al modo migliore per riempire gli aerei in un mercato sempre più competitivo. Purtroppo - e Sarmi lo fa intendere - in passato sono stati fatti degli errori che oggi condizionano il futuro. Per questo la discontinuità - sia nel piano che sul fronte del management - come chiedono il governo Letta e Air France - gli appare condivisibile. Si tratta di una strada quasi obbligata. Come dire che il presidente Roberto Colaninno potrebbe essere costretto a farsi da parte. Meno scontata l'uscita di Gabriele Del Torchio, da poco più di 5 mesi sul ponte di comando, ma il cui piano è stato già bocciato dai francesi che lo considerano troppo ottimistico. Sarmi è poi convinto della necessità di avere all'interno del nuovo business plan un punto fermo. «L'hub di Fiumicino è strategico per il governo e ovviamente anche per Alitalia». E su questo Air France dovrà farsene una ragione. «Il tema sarà discusso ma i margini per Parigi sono strettissimi». Così come è convinto che per Poste l'investimento in Alitalia sarà duraturo. «La nostra sarà una partecipazione ampia, tra il 15 e il 20% del capitale, con un investimento sostenibile che sarà ripagato». Altrimenti anche il colosso postale avrebbe declinato l'invito del governo. Intanto ieri Bruxelles ha annunciato di aver ricevuto il dossier da Palazzo Chigi che esclude aiuti di Stato.