Un miliardo e mezzo di investimento, una flotta più grande di quella attuale, un hub per i voli passeggeri e due per il trasporto merci, prezzi «giusti, ma non low cost» con un focus sulle famiglie e non sui viaggiatori business, questi ultimi dati per persi a causa del coronavirus. Soprattutto: nessun esubero, anzi persino qualche innesto da Air Italy, e un utile previsto dopo 30-36 mesi. È questo il piano di rilancio di Alitalia che arriva dagli Stati Uniti. Un progetto ambizioso quello di USAerospace Partners, un agglomerato di «società specializzare nell’aviazione», spiega il sito ufficiale. Al loro interno c’è un’azienda che fa handling, una che si occupa della manutenzione, un’altra dell’arredamento interno dei velivoli e infine quel che resta di Wow Air, low cost di lungo raggio islandese fallita nel marzo 2019 e ancora a terra. USAerospace Partners ha presentato la sua manifestazione d’interesse al bando per Alitalia scaduto il 18 marzo scorso. L’indirizzo ufficiale
riporta a un edificio semi-residenziale di Washington e mercoledì la presidente Michele Roosevelt Edwards è stata sentita alla Commissione Trasporti della Camera. Assieme a lei il responsabile italiano Carlo Goria — con un passato in Meridiana poi diventata Air Italy — che il Corriere della Sera ha contattato e con il quale ha avuto una lunga conversazione.
Dottor Goria insomma l’Alitalia gestita da USAerospace ripartirebbe con 120 aerei.
«Questo nei primi tre anni e tenendo conto del coronavirus, per arrivare poi a 150 a regime in cinque anni».
Con che tipologia di aerei rinnovate?
«Non abbiamo vincoli: prenderemo i giusti aerei per le giuste rotte, facendo consistenza di flotta».
In che senso?
«Per poter tagliare costi bisogna avere flotte omogenee: per il medio raggio andremo a stabilizzarci sugli aerei... esattamente abbiamo le idee molto chiare su questo, ma sono in difficoltà a dirlo adesso, preferisco poterlo dire prima al governo».
Capisco, ma è solo per avere un’idea anche noi.
«L’importante è avere masse critiche: non è necessario che siano aerei dello stesso produttore, non lo saranno».
Quindi possono essere Airbus e Boeing sia per il corto-medio che lungo raggio.
«E non basta».
Anche Embraer?
«No».
Quale sarebbe il terzo nome?
«A400 della Bombardier. Ma questo non lo scriva: può scrivere Bombardier».
(Probabilmente si riferisce al
Dash 8 Q400, l’A400 della Bombardier ad oggi non esiste. Oppure è l’A400 di Airbus che però è un quadrimotore turboelica da trasporto militare)
Ma uno può confondersi sugli esemplari...
«L’A400 non è ancora in produzione, ma noi ce li abbiamo già. Capisce che questo lei non lo può scrivere?».
Ma perché? Mi sembra interessante.
«Perché prima parliamo col governo».
Quanti sono questi A400 che avete?
«Lei mi fa una domanda alla quale non voglio rispondere. Ma mi permetta di aiutarla nella logica di quello che reputo interessi agli italiani adesso sapere su quello che vogliamo fare».
Mi dica.
«Prima del coronavirus noi non siamo intervenuti su Alitalia perché in quel momento, con quel mercato e posizionamento non si poteva fare una compagnia aerea europea competitiva quanto British Airways, Air France e Lufthansa. Oggi Alitalia, di cui desidero sottolineare che è il terzo marchio più conosciuto al mondo, che porta i valori culturali italiani...».
Scusi se la interrompo: il terzo marchio più conosciuto al mondo nell’ambito delle compagnie aeree?
«Ovviamente sì».
Secondo quale ricerca?
«Se cerca lo trova anche lei, e comunque è quanto noi riteniamo dopo le nostre analisi».
Prego continui.
«Alitalia è il made in Italy nel mondo in un mercato che riparte su un paradigma completamente nuovo che è quello post-coronavirus. E noi non avremo bisogno di aiuti di Stato, non avremo i vincoli delle aziende che avranno utilizzato gli aiuti di Stato».
Quindi Alitalia non va fatta fallire.
«In mano a un gruppo come il nostro con idee chiare, capacità finanziaria, competenza e mi permetta etica, Alitalia — per il mercato che sta riposizionandosi — può diventare un asset su cui puntare per farla diventare una delle più importanti compagnie aeree europee e mondiali. Di certo servo un approccio diverso».
Prima un’Alitalia nazionalizzata o ve la prendete subito?
«Subito. Anzi, diciamo che vediamo bene una presenza di controllo da parte dello Stato e siamo aperti al sistema economico-industriale italiano perché deve essere una compagnia italiana. Questa compagnia non ha problemi di competenze interne, ma di altro tipo».
Ritorno sulla flotta: gli 1,5 miliardi di euro che pensate di investire includono anche la spesa per il cambio degli aerei?
«Gli aerei possono essere presi in diversi modi per un conglomerato delle nostre dimensioni. Il consiglio di amministrazione ha dato il mandato ad avere una capacità finanziaria sul progetto di un miliardo e mezzo».
Ma se accedendo alla «data room» di Alitalia (dove si trovano i numeri più sensibili del vettore, ndr) vi doveste accorgere che servirebbero 5 miliardi e non 1,5 cosa farete?
«La newco definirà quali tipi di contratti si porterà dentro. Noi abbiamo le idee abbastanza chiare su cosa proporre per rimettere in moto la macchina e ridurre al minimo gli esuberi. Ma queste cose si fanno sapere ai giusti interlocutori seduti al tavolo non attraverso un’intervista: si chiama rispetto istituzionale».
Parliamo del network: per voi Fiumicino deve essere unico hub passeggeri, mentre Malpensa e Palermo o Catania come hub del cargo.
«Un aeroporto siciliano».
Però visti i volumi in Sicilia ci sono solo Palermo e Catania.
«È un aeroporto siciliano».
E dove vede i collegamenti?
«La nostra logica è: Alitalia funziona con il domestico che deve essere quello attuale con le giuste macchine e le giuste percorrenze. Sul medio raggio l’Italia deve essere assistita dal trasporto aereo e la compagnia deve diventare così competitiva da fare in modo che un passeggero europeo viva con estremo interesse andare a completare il suo viaggio intercontinentale facendo scalo Fiumicino. Perché l’italiano deve cambiare aereo da qualche parte e non succede il contrario? L’importante è creare un network che funziona ai giusti prezzi di mercato».
Però, mi scusi, uno di Parigi perché dovrebbe fare scalo a Roma per andare negli Usa?
«Per il prezzo».
Alitalia non deve guardare soltanto al passeggero business?
«È il passeggero leisure, la famiglia, che ci interessa, non il singolo».
Perché?
«È lì il futuro. La gente viaggerà di meno per lavoro. L’esigenza di muoversi per vacanza crescerà, soprattutto nel ceto medio».
Ma guardando i bilanci delle compagnie più efficienti una fetta piccola dei passeggeri business fa anche la metà dei ricavi totali.
«Le ho già risposto a questa domanda».
Insisto: il passeggero vacanziero non sarà mai in grado di andare a colmare il peso economico del passeggero business e non ce la vedo una famiglia comprare quattro posti in Business a un prezzo da Business.
«Dopo il coronavirus le logiche di mercato cambiano».
Il vostro modello e l’attenzione ai costi, insomma, dovrebbero portare a prezzi appetibili: così chi è in Francia e deve andare negli Usa viene incoraggiato a prendere un volo per New York via Roma.
«Assolutamente sì. No, perché ha parlato di New York? Se lei parla di New York sta posizionando la risposta».
Ok, facciamo gli Stati Uniti.
«No no, andiamo proprio da un’altra parte del mondo, in Australia, in Sud America. Non voglio parlare di Stati Uniti sennò questo mondo di dietrologi pensa che vogliamo fare una cosa per gli Usa».
Lei si chiedeva: «Perché devo fare scalo altrove per andare ovunque?». Ma poi bisogna incoraggiarlo — ad esempio — il francese ad andare negli Usa con una sosta a Roma, considerando la posizione geografica.
«Lei conosce i dati del “Charles de Gaulle” (aeroporto di Parigi, ndr)? Quanto è il traffico proveniente dall’area del Maghreb che poi si tramuta in lungo raggio?».
Ma qui si sta parlando del passeggero europeo.
«Io mi riferisco a quello del medio raggio: le tre ore che vanno da una parte vanno anche dall’altra. Perché un passeggero a tre ore di volo deve andare per forza a Francoforte, a Parigi o a Londra? C’è una logica di prezzo che ci apre un mercato».
Mettendo a disposizione prezzi «giusti»...
«Che non vuol dire low cost, perché quelli non sono prezzi di mercato».
Che intende per prezzo «giusto»? Prendiamo l’esempio di un Roma-New York: quanto dovrebbe spendere una famiglia di due adulti e due figli?
«Ma se lei pensa che vada in un dettaglio di piano con un giornalista e vada a dire quello che abbiamo in testa... I miei segreti industriali ci sono costati tante ore di lavoro, tanto brainstorming, tanto impegno e tanti soldi e non li vado a regalare alla concorrenza».
A livello di network, nella vostra visione in quali continenti dovrebbe volare Alitalia?
«Tutti. Deve andare dove c’è interesse e mercato».
Volete anche assorbire anche 450 dipendenti di Air Italy.
«Non abbiamo informazioni, ma abbiamo letto della necessità dello Stato italiano di risolvere il problema di Air Italy. Vogliamo trovare soluzioni. Dovendo arrivare a 150 aerei ci servono comandanti, piloti e assistenti di volo che potremmo recuperare in Air Italy».
Intervista al responsabile per l’Italia di USAerospace, interessata a comprare la compagnia: «Hub a Roma, cargo a Milano e Sicilia. Nella newco anche alcuni dipendenti di Air Italy»
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