NO VABBÈ MA SENTITELA!
Una polveriera di cazzate, ignoranza è demagogia. Avessi avuto lei come vicina di posto minimo usciva dall’aereo frignando come una neonata, con tanto di afonia perenne.
Il Natale, la nebbia, un aereo - Selvaggia Lucarelli- 11/12/20
Ieri sera ho preso un aereo che era quasi notte, da Roma a Milano. Un aereo strapieno, di quelli con due file da tre, occupato fino all’ultimo posto in fondo, con le cappelliere che vomitavano bagagli a mano appena le aprivi. Un volo anti-Covid, insomma.
Io sono finita in uno dei posti centrali, seduta tra due persone: una ragazza alta, carina, di quelle che non tolgono mai il piumino neanche in volo perché chissà, magari si precipita sulle Alpi e dormiamo due mesi nella carcassa dell’aereo, come in Alive. E poi un tizio di mezza età, vestito con camicia azzurra, gilet e un piumino marrone leggero, che teneva sulle ginocchia.
Durante l’attesa prima del decollo l’imbruttito whatsappava compulsivamente. L’aereo si è mosso e come sempre ci è stato chiesto di mettere i telefoni in modalità aerea. Io e la mia vicina di posto abbiamo messo via il cellulare. L’imbruttito continuava a chattare. Continuava. Continuava.
Io ho aperto il mio libro sulle epidemie, sono al capitolo sulla malaria e le zanzare che già mi stavano discretamente sul cazzo, ora sono ufficialmente le Barbara D’Urso dell’infettivologia.
Siamo sulla pista, l’imbruttito continua a chattare.
Non ho voglia di litigare perché una volta su un aereo per Madrid ho sfiorato la rissa con una spagnola che non ha spento il telefono neppure durante il decollo e per poco, per gli insulti reciproci, non facciamo scendere le mascherine dell’ossigeno in tutto l’aereo.
Fatto sta che siamo ormai prossimi al decollo, io tra negazionisti e coglioni no-vax ho ormai un livello di tolleranza piuttosto basso, e quindi gli dico “Deve spegnere il telefono”.
Deve.
Lui manco mi guarda, bofonchia “Sì sì” e dopo pochi secondi lo spegne. Decolliamo.
L’imbruttito si mette a leggere non so cosa, forse un libro esoterico su come whatsappare con la mente, io chiudo il capitolo sulla malaria e inizio quello sulla Sars. Quando sono al passaggio sui pipistrelli ferro di cavallo, che anche se brutti come una quarantena in casa con Paolo Brosio e probabile serbatoio del virus, mi sono comunque più simpatici dell’imbruttito di fianco, arriva l’annuncio del comandante: “A causa della nebbia intensa su Linate atterreremo tramite atterraggio automatico, quindi bisogna spegnere tutti i dispositivi compresi i cellulari in modalità aereo per non interferire con il segnale”.
Io e la vicina col piumino spegniamo il cellulare. Lei credo pensi già a come accendere il fuoco nella notte, sulla neve, tra i lupi, e sono tentata di dirle che potremmo strappare le fodere ai sedili per ricavare delle coperte, l’ho visto fare in un film, ma non voglio agitarla.
Il vicino continua a leggere come se niente fosse. Io lo guardo per un attimo, sono tentata di dirgli qualcosa, ma in effetti potrebbe anche aver spento il telefono prima del decollo anzichè metterlo in modalità aerea, non ho mica controllato. Quindi taccio. Taccio ma di fianco a lui la mia stima per i pipistrelli ferro di cavallo aumenta, anche quando lui, il ricercatore, finisce in una grotta a Guilin con migliaia di loro appesi a testa in giù, emettendo i suoni dell’inferno .
Taccio ma mi riprometto di guardare il suo telefono quando lo estrarrà dalla tasca della giacca all’atterraggio.
C’è così tanta nebbia che il finestrino ha una specie di tendina bianca naturale.
Penso che stiamo atterrando fidandoci della tecnologia, della scienza.
Che in fondo siamo in un momento della storia in cui fidarci della scienza è tutto quello che possiamo fare. Sono i vicini di posto sul bus, in ufficio, sull’aereo, quelli di cui non ci possiamo sempre fidare.
Atterriamo. L’imbruttito tira fuori il suo cellulare non appena la ruota tocca terra. Gli cade la penna che era nel libro. Mi convinco di avergliela fatta cadere io con la sola forza della mente. Provo a concentrarmi sul suo pomo d’Adamo. Niente, resta lì. Afferra la penna, si butta di nuovo sul telefono e sì, è acceso. Toglie solo la modalità aerea.
In quel preciso momento mi sale il crimine. Un crimine inesorabile e feroce. Ho voglia di entrare nella cabina del pilota, puntare la Bic dell’imbruttito sulla fronte del pilota e ordinargli di ridecollare e schiantarsi nell’Idroscalo, sono pronta a sacrificarmi pure io, pur di liberare l’umanità dall’imbruttito.
Non ha spento il telefono. Nonostante la nebbia, la richiesta del comandante, la necessità di collaborare tutti per atterrare in sicurezza. A lui non è fregato un cazzo, di fare la sua parte.
Ho trattenuto gli insulti, ho acceso il mio telefono e la prima notizia era “A Natale saranno consentiti gli spostamenti tra comuni”.
Ho pensato che il mio vicino di posto è in buona compagnia. Che alla fine vince lui, vincono loro. Quelli che non spengono il telefono, quelli che “io a Natale voglio andare dove voglio, io il Natale da solo non lo passo, il mio comune è a 1 km da quello di mamma, eh ORA CI TOLGONO ANCHE IL NATALE!”.
Quelli per cui alla fine andiamo a schiantarci tutti. Oppure no, riusciamo comunque ad atterrare tutti nella nebbia, ma solo perché ad essere responsabili ci pensiamo noi. Anche per loro. Per questi stronzi.