Alitalia, cosa farà Mario Draghi? Le due ipotesi: chiusura o vendita diretta
Ci riuscirà il presidente del Consiglio Mario Draghi a risolvere una volta per tutte la «saga» Alitalia? Si tratta di uno dei dossier più delicati per il nuovo governo, non soltanto per l’impatto occupazionale e le ricadute logistiche nel Paese, ma anche per le conseguenze che può avere nei rapporti con la Commissione europea dove l’Antitrust ha aperto ben due fascicoli d’indagine su presunti aiuti di Stato per 1,3 miliardi di euro. E, come se non bastasse, la questione si è ulteriormente complicata con la creazione di una nuova società — Italia Trasporto Aereo — che nella logica del precedente esecutivo dovrebbe rilanciare il vettore tricolore grazie anche a una dotazione pubblica di 3 miliardi di euro.
Quattro governi
Quello di Draghi diventa il quarto governo a occuparsi dell’ultimo dossier riguardante Alitalia. L’aviolinea è entrata in amministrazione straordinaria il 2 maggio 2017 — esecutivo Gentiloni — dove ha ricevuto un prestito di 900 milioni di euro in due tranche. Poi è toccato a Conte I e Conte II dove da un lato il vettore è stato a un passo dal finire tra le mani di un consorzio italo-americano Ferrovie dello Stato-Atlantia-Delta Air Lines (ma le trattative sono naufragate al momento clou) e dall’altro è cambiata la gestione commissariale e sono arrivati altri 400 milioni di euro di prestito.
I soldi in cassa
Ora la situazione è delicata. Il commissario Giuseppe Leogrande chiede altri soldi (almeno 150 milioni di euro), non garantisce di poter pagare gli stipendi di questo mese se non arrivano almeno 20 milioni di euro di indennizzi anti-Covid (ma serve l’ok dell’Europa), mentre dall’altra parte la newco Italia Trasporto Aereo cerca di capire cosa fare: prevedeva di decollare ad aprile, con ogni probabilità non si riuscirà prima di luglio e non è escluso che la partenza possa slittare a ottobre, all’avvio della stagione «invernale» che nel trasporto aereo è anche quella dove si guadagna poco.
Le due «fazioni»
Cosa fare di Alitalia? In queste ore, spiega al Corriere più di una fonte istituzionale, si è rifatto avanti il «partito» di quelli che chiedono la chiusura della compagnia aerea, convinti che il mercato sarebbe perfettamente in grado di rimpiazzare l’assenza della compagnia grazie, per esempio, alle low cost straniere Ryanair, easyJet, Wizz Air. Ma più di un tecnico del ministero titolare del dossier, quello dello Sviluppo economico (dove il nuovo ministro è Giancarlo Giorgetti), dell’Economia e del Lavoro spiega — numeri alla mano — che chiudere Alitalia (intese le due società, l’amministrazione straordinaria e la newco) costerebbe di più allo Stato che tenerla aperta.
L’impatto economico
Questo non soltanto per le minori entrate: l’azienda nel 2019 ha sostenuto per il personale costi pari a 630 milioni di euro e qui ci sono gli stipendi a circa 10.500 dipendenti a tempo indeterminato e 280 milioni di imposte dirette e contributi. La chiusura comporterebbe però anche una spesa, in termini di protezione sociale, per quelli che perderebbero il lavoro. Se il governo dovesse decidere di mettere a terra Alitalia e non far decollare Italia Trasporto Aereo (che ha 20 milioni di euro di fondi) — spiegano le fonti istituzionali — lo Stato dovrebbe sborsare, in termini di welfare e scivoli pensionistici, almeno 470 milioni di euro. E questo senza considerare l’indotto, qualcosa come altre 10-12 mila persone e le ricadute sugli aeroporti e i loro gestori.
Il nodo dei voli
Ci sarebbe poi la questione logistica, non di poco conto soprattutto in questo periodo di pandemia dove le restrizioni e i blocchi tra i Paesi hanno ridotto all’osso i collegamenti. Se — a consultare i database specializzati — il ruolo di Alitalia è secondario sui collegamenti tra le grandi città italiane (Roma e Milano) e quelle europee (Madrid, Parigi, Londra, Amsterdam, Parigi, Francoforte, Monaco) dove oltre alle low cost ci sono pure i vettori stranieri tradizionali, su due segmenti di mercato il vettore tricolore per ora secondo i tecnici continua ad avere un senso: i collegamenti nazionali (soprattutto quelli in regime di continuità territoriale) e quelli intercontinentali diretti che, se abbandonati, verrebbero lasciati in mano o ai colossi europei (che costringerebbero allo scalo nei loro hub) o a quelli extra-Ue. Una mossa in contraddizione con la decisione, proprio di Draghi, di istituire successivamente un ministero del Turismo (per ora è un «Coordinamento di iniziative nel settore del turismo»).
Le soluzioni
La soluzione immediata — ragionano le fonti — non c’è, ma ritengono che passi comunque per Bruxelles. Il presidente del Consiglio italiano potrebbe fare leva sui suoi rapporti con la Commissione europea per arrivare a un compromesso con l’Antitrust Ue che indaga sugli 1,3 miliardi di euro di prestito statale ad Alitalia, ma dovrà dare anche l’ok al piano industriale di Italia Trasporto Aereo. Potrebbe anche alzare la voce, rivendicando il diritto di uno Stato di puntare su un asset strategico quale è una compagnia aerea nazionale per sfruttare al meglio la ripartenza post-coronavirus. Un po’ come stanno facendo questi giorni i governi di Parigi e Amsterdam che pensano di erogare una seconda tranche di aiuti (da 4 miliardi) ad Air France e Klm dopo aver dato 7 miliardi ai francesi e 3,4 miliardi agli olandesi. Per questo il governo italiano potrebbe incorporare gli asset di Alitalia — che in ogni caso non avrebbe i soldi per restituire 1,3 miliardi di euro — e decidere di cederli alla newco senza più un bando di vendita come chiede l’Europa dal momento che all’orizzonte non si profila nessun altro interlocutore attendibile.
La lettera del Mise
A proposito di bando di vendita. In una lettera del 12 febbraio scorso — di cui il Corriere ha ottenuto copia — il direttore generale del ministero dello Sviluppo economico Mario Fiorentino scrive al commissario Leogrande che deve «avviare, con ogni consentita urgenza, una nuova procedura di vendita (di Alitalia, ndr), attraverso la predisposizione di apposito bando di gara per la cessione dei complessi aziendali». Ma resta incerta la sorte del precedente bando, avviato il 4 marzo 2020, «temporaneamente sospeso il 26 marzo 2020», ma il cui «provvedimento di definitiva interruzione è in corso di definizione». Con il rischio che il commissario le gare di vendita diventino due e siano pure parallele.
Il dossier passa nelle mani del quarto governo in quattro anni. I rapporti del nuovo premier con l’Europa potrebbero far superare lo stallo. Il Mise: «Fare subito il bando di cessione»
www.corriere.it