Non so voi ma personalmente in questo momento non volerei in Israele nemmeno se pagato a peso d'oro. Qualcuno prima parlava di traffico business che prosegue, certo qualche pazzo che mettendo a repentaglio la propria vita vuole continuare a fare business come se niente fosse ci sarà. Ma stiamo parlando di un paese in guerra e in guerra l'economia si ferma e subisce notevoli danni. Non siamo certo a business as usual.
Quello che invece potrebbe avere un impatto economico è la cosidetta economia di guerra legata alla produzione e reperimento di armamenti e altre forniture legate alla guerra.
Cesare, per favore. L'economia in guerra non si ferma: qua non si sta combattendo la seconda guerra mondiale (e anche là ci sarebbe da discutere su cosa significhi esattamente "fermare l'economia"). L'unica economia che in questo momento subisce notevoli danni è quella di Gaza.
L'economia civile durante le guerre continua. E' così da sempre: c'è chi va a fare la guerra, chi cambia lavoro, chi cambia abitudini, ma l'economia non si ferma, anzi. Dove si combatte faccia a faccia (Gaza, Bakhmut, in certe zone del Sudan) è chiaro che si ferma tutto. Ma non a Tel Aviv, Kiev, Lviv, San Pietroburgo, Mosca e millemila altri posti in paesi in stato di guerra. L'economia non si è fermata nemmeno in Siria nelle fasi peggiori della sua guerra civile. Qualche mese fa una mia conoscente ucraina rifugiatasi in Ungheria all'inizio del conflitto è tornata a Kiev per un mese per sottoporsi a un intervento chirurgico: una volta fatto, è tornata in Ungheria.
A Tel Aviv i ristoranti sono aperti, le aziende sono aperte, chi vive di commercio commercia, chi vive di manifattura manifattura, chi vive di agricoltura coltiva. Se non fosse così le guerre durerebbero cinque minuti perché non ci sarebbe modo di continuare a finanziarle. E chi a Tel Aviv continua a lavorare lo fa senza rischiare veramente la vita. E' chiaro che un rischio minimo c'è, ma quello è la norma ovunque, dei rischi oggettivi esistono in tutti i mestieri e non solo nei periodi di guerra.
Vedi, caro Cesare, la storia che ci insegnano a scuola e la cronaca che ci mostrano in TV sono fuorvianti. La guerra è da sempre un fenomeno localizzato - dinamico ma localizzato. La guerra totale è roba recente e rimane rara. I bombardamenti coinvolgono la popolazione civile ma raramente bloccano l'economia per più di un paio d'ore.
Per portare un esempio di un'altra epoca, pensa che i nostri antenati veneziani e genovesi erano grandi commercianti: trascorrevano tanto tempo in mare rischiando sempre di venire attaccati da pirati o di affondare durante una tempesta (in tempo di guerra e pace allo stesso modo). E quando scoppiava una guerra contro l'Impero Ottomano, commercianti genovesi e veneziani si recavano comunque a Istanbul a fare scambi: il commercio non si fermava.
Giusto ieri ero in una videochiamata alla quale, oltre a me, partecipavano un giordano, un iraniano (residente in USA) e due israeliani (Tel Aviv): abbiamo fatto ciò che dovevamo fare, risolto le questioni tecniche e commerciali che dovevamo affrontare, e nella massima cordialità abbiamo svolto il nostro lavoro. Magari io non andrò in Israele (se dovessi lo farei tranquillamente -- non è che a Tel Aviv si corrano grandi rischi adesso), ma i due israeliani coi quali parlavo li incontrerò in USA a inizio gennaio: non verranno in gommone.
Resta pure a casa, caro Cesare. Nessuno ti verrà a cercare. Fuori, intanto, il lavoro prosegue.