Delta Air Lines, così i «baby boomer» (ora in pensione) riempiono i voli Usa-Italia
Intervista a Matteo Curcio, vicepresidente Europa, Medio Oriente, Africa e India della compagnia americana, tra focus sul turismo, studio delle nuove rotte (Puglia, Sardegna, Toscana, Emilia-Romagna) e come cambiano i clienti
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Un Boeing 767 di Delta Air Lines in volo vicino all’aeroporto JFK di New York (foto di Vincenzo Pace)
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La pandemia e l’uscita graduale da mesi di blocco delle attività sociali hanno nascosto una piccola rivoluzione demografica che oggi sta portando alcune compagnie aeree — senza volerlo — a fare affari d’oro: il pensionamento in massa dei «baby boomer». La generazione dei nati tra il 1946 e il 1964 è quella che in questi mesi sta comprando i sedili nelle classi Business e Premium economy dei voli intercontinentali. Con gli statunitensi che, più di tutti, hanno deciso di godersi il riposo viaggiando sempre più verso l’Europa, Italia compresa.
Le attività commerciali
A confermare questo trend al Corriere della Sera è Matteo Curcio, senior vice president per Europa, Medio Oriente, Africa, India di Delta Air Lines, uno dei principali vettori a livello mondiale. Originario di Napoli, ex Alitalia, Curcio «vigila» su tutte le attività commerciali nell’area di competenza e su quelle con i partner della joint venture transatlantica che Delta — primo vettore in Italia per offerta di posti con gli Usa — ha con Air France-Klm e Virgin Atlantic.
Avete lanciato il volo diretto New York-Catania, i rivali di United Air Lines quello, sempre senza scalo, tra la «Grande mela» e Palermo. Non è un modo per le compagnie americane di aggirare gli hub dei partner commerciali europei?
«Direi che è più un bilanciamento tra il bisogno di volare via hub e il bisogno di raggiungere il più direttamente possibile le destinazioni turistiche. C’è anche un discorso di stagionalità. Alcune di queste località ha senso raggiungerle senza scalo d’estate, mentre d’inverno voliamo via hub. Se 300, 500 o 1.000 passeggeri al giorno vogliono andare dagli Stati Uniti in Sicilia o a Napoli, alla fine qualcuno deve portarli nella maniera più veloce possibile. Va però detto che anche l’hub evolve nel tempo...».
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In che senso?
«Se prima un volo Atlanta (hub di Delta, ndr)-Parigi (hub di Air France, ndr) poteva avere Roma tra i tre flussi principali di connessione, adesso ne vede altri. Il mix dell’hub continua a cambiare anche se i volumi complessivi restano gli stessi».
Ma come fate a espandervi senza far arrabbiare Air France-Klm, vostri soci in affari sul mercato transatlantico?
«Queste sono decisioni che prendiamo all’interno della joint venture che abbiamo con loro, quando decidiamo la pianificazione congiunta delle rotte».
Con loro condividete anche i profitti?
«Certo».
Pure sulla rotta che operare solo voi, come la New York-Napoli?
«Sì. Tutto confluisce nella joint venture e si divide tra i membri. Se la rotta è profittevole ne hanno benefici anche loro, se invece è in perdita decidiamo il da farsi. Sul network c’è anche un problema di saturazione degli aeroporti».
Cioè?
«L’accesso ad Amsterdam com’è noto è al centro di una battaglia politica sui movimenti annuali».
Una battaglia che per ora vincete voi visto che è stato bloccato il tentativo di ridurre il numero di voli.
«Vince il buonsenso. Limitare senza alcun reale obiettivo di riduzione del rumore e dell’inquinamento, ma semplicemente mettendo un tetto al numero di voli è abbastanza anacronistico. Noi siamo apertissimi al fatto che si arrivi a certi target, però va fatto nell’ambito di un percorso condiviso».
In Europa si punta a limitare o tagliare. Altrove no.
«E questo è un problema. Se Amsterdam non può crescere, ma Turkish Airlines può mettere 25 voli al giorno per Istanbul, allora non stiamo riducendo nulla perché semplicemente chi ha più spazio per aggredire il mercato, lo aggredisce».
Matteo Curcio, senior vice president per Europa, Medio Oriente, Africa, India di Delta Air Lines
Dopo la pandemia i vettori statunitensi sono stati protagonisti di un’espansione senza precedenti verso le località turistiche del Mediterraneo. C’è ancora spazio per allargarsi o si è raggiunto il limite? Penso alla possibilità di avviare collegamenti diretti, d’estate, tra gli Usa e Bari o la Sardegna.
«L’anno scorso abbiamo detto che quella del 2024 sarebbe stata la più grande stagione estiva di sempre sul transatlantico. Quest’anno abbiamo detto lo stesso per il 2025. È evidente che le destinazioni che lei ha citato — se questo ciclo continua — più che “possibili” direi che sono “probabili”, cosa impensabile un tempo».
Quindi prossime aperture verso Puglia, Sardegna?
«Aggiungerei Toscana (avevamo il volo su Pisa) e Bologna...».
E magari anche una Milano-Los Angeles...
«E la Roma-Los Angeles. Insomma ci sono tante opzioni. È ovvio che la costa occidentale Usa è più impegnativa perché richiede più aerei e un maggiore utilizzo. Però sono destinazioni che tutti noi studiamo. Con questo tipo di trend dubito che non ci sia niente di nuovo per l’estate 2026. In generale in Italia vediamo un’espansione sia verso nuove destinazioni, sia verso gli hub. Abbiamo aperto di recente le vendite per la rotta Milano Malpensa-Boston».
Lo stesso si può dire del resto del Sud Europa.
«In questo momento l’area attrae moltissima domanda. Senza dimenticare il Nord Africa che ha chiaramente ampi margini».
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Perché questo è possibile soltanto ora?
«Oggi più di prima le persone vogliono spendere per fare esperienze. Il dollaro forte incentiva l’espansione. In questo momento abbiamo i “baby boomer” che sono andati in pensione con un sacco di soldi e vogliono viaggiare. Abbiamo anche le nuove generazioni che comunque vedono nel viaggio un’esperienza migliore. La domanda negli Usa è molto forte».
I trend di viaggio sono cambiati nel Mediterraneo?
«Secondo me c’è una combinazione di fattori. C’è, come dicevo, la disponibilità economica del “baby boomer” che tra l’altro ora non hanno più l’obbligo di ritorno a casa poco prima di metà agosto per far iniziare la scuola ai figli. C’è sicuramente l’aspetto climatico. Ma anche la saturazione delle destinazioni: andare a Capri a settembre è probabilmente più facile che andarci a luglio, e questo vale per tantissimi posti. E poi c’è una domanda in generale maggiore. Questo mix porta a un allungamento delle stagioni turistiche».
E questo richiede un approccio diverso del settore turistico?
«Come sistema-Paese si deve accettare il fatto che probabilmente le strutture che erano chiuse diversi mesi all’anno non lo dovranno più essere. Se poi si chiede al turismo di funzionare tutto l’anno bisogna risolvere i problemi di normativa del lavoro rispetto alla stagionalità dei contratti. Secondo me è un’opportunità molto importante per l’Italia. La Spagna lo sta facendo, il Portogallo pure».
Come sono ora i rapporti con Ita Airways?
«Sono abbastanza regolari e limitati. Abbiamo ristretto il codeshare e siamo in attesa di quello che avverrà all’accordo con Lufthansa. Aspettiamo e vediamo che succede».
Intanto la famiglia si è allargata di recente.
«Abbiamo avuto un settembre eccitante perché Sas è entrata nel nostro mondo con Air France che è anche azionista. La Scandinavia è un mercato ricco, con domanda importante e dove l’alleanza alla quale apparteniamo, SkyTeam, è meno presente di Star Alliance».
Avete partecipazioni in Latam, Virgin Atlantic e altri vettori. Il futuro delle alleanze commerciali si reggerà sempre più sull’avere una quota nelle compagnie?
«Diciamo che aiuta sugli investimenti di lungo termine. Nella joint venture è difficile prendere decisioni che vanno oltre a quel contesto. La mia opzione di flotta sulle tratte domestiche o la scelta del mio sistema di vendita dei voli difficilmente può essere influenzata da cosa voliamo sulla Sicilia. Però l’avere un consiglio di amministrazione dove discutere il futuro delle nostre aziende ci permette anche di guardare queste cose da un punto di vista sinergico di medio termine».
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Le tariffe nell’estate 2024 sono state sostanzialmente stabili sulle rotte transatlantiche. Che tipo di evoluzione prevede, al netto di tutto quello che può succedere a livello geopolitico?
«Non ci sono stati i picchi degli anni passati, però è un’estate che è andata benissimo. L’offerta continuerà ad aumentare con una forte focalizzazione sui prodotti premium. Il sistema transatlantico resta molto in salute. Per noi i ricavi sono in crescita anno su anno».
Nei primi nove mesi di quest’anno il 45,5% dei vostri ricavi dai biglietti è rappresentato dai sedili nelle classi premium come la Business. Avete un valore che volete raggiungere in questo senso?
«No, non esiste un target. Ma credo che ci siano elementi del prodotto offerto che dovrebbero essere spacchettati ancora meglio e che andrebbero arricchiti».
lberberi@corriere.it