Delta Air Lines, così i «baby boomer» (ora in pensione) riempiono i voli Usa-Italia


Mikkio

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ntervista a Matteo Curcio, vicepresidente Europa, Medio Oriente, Africa e India della compagnia americana, tra focus sul turismo, studio delle nuove rotte (Puglia, Sardegna, Toscana, Emilia-Romagna) e come cambiano i clienti
Le attività commerciali
Un Boeing 767 di Delta Air Lines in volo vicino all’aeroporto JFK di New York (foto di Vincenzo Pace)
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La pandemia e l’uscita graduale da mesi di blocco delle attività sociali hanno nascosto una piccola rivoluzione demografica che oggi sta portando alcune compagnie aeree — senza volerlo — a fare affari d’oro: il pensionamento in massa dei «baby boomer». La generazione dei nati tra il 1946 e il 1964 è quella che in questi mesi sta comprando i sedili nelle classi Business e Premium economy dei voli intercontinentali. Con gli statunitensi che, più di tutti, hanno deciso di godersi il riposo viaggiando sempre più verso l’Europa, Italia compresa.
Le attività commerciali
A confermare questo trend al Corriere della Sera è Matteo Curcio, senior vice president per Europa, Medio Oriente, Africa, India di Delta Air Lines, uno dei principali vettori a livello mondiale. Originario di Napoli, ex Alitalia, Curcio «vigila» su tutte le attività commerciali nell’area di competenza e su quelle con i partner della joint venture transatlantica che Delta — primo vettore in Italia per offerta di posti con gli Usa — ha con Air France-Klm e Virgin Atlantic.


Avete lanciato il volo diretto New York-Catania, i rivali di United Air Lines quello, sempre senza scalo, tra la «Grande mela» e Palermo. Non è un modo per le compagnie americane di aggirare gli hub dei partner commerciali europei?
«Direi che è più un bilanciamento tra il bisogno di volare via hub e il bisogno di raggiungere il più direttamente possibile le destinazioni turistiche. C’è anche un discorso di stagionalità. Alcune di queste località ha senso raggiungerle senza scalo d’estate, mentre d’inverno voliamo via hub. Se 300, 500 o 1.000 passeggeri al giorno vogliono andare dagli Stati Uniti in Sicilia o a Napoli, alla fine qualcuno deve portarli nella maniera più veloce possibile. Va però detto che anche l’hub evolve nel tempo...».
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In che senso?
«Se prima un volo Atlanta (hub di Delta, ndr)-Parigi (hub di Air France, ndr) poteva avere Roma tra i tre flussi principali di connessione, adesso ne vede altri. Il mix dell’hub continua a cambiare anche se i volumi complessivi restano gli stessi».
Ma come fate a espandervi senza far arrabbiare Air France-Klm, vostri soci in affari sul mercato transatlantico?
«Queste sono decisioni che prendiamo all’interno della joint venture che abbiamo con loro, quando decidiamo la pianificazione congiunta delle rotte».
Con loro condividete anche i profitti?
«Certo».
Pure sulla rotta che operare solo voi, come la New York-Napoli?
«Sì. Tutto confluisce nella joint venture e si divide tra i membri. Se la rotta è profittevole ne hanno benefici anche loro, se invece è in perdita decidiamo il da farsi. Sul network c’è anche un problema di saturazione degli aeroporti».
Cioè?
«L’accesso ad Amsterdam com’è noto è al centro di una battaglia politica sui movimenti annuali».
Una battaglia che per ora vincete voi visto che è stato bloccato il tentativo di ridurre il numero di voli.
«Vince il buonsenso. Limitare senza alcun reale obiettivo di riduzione del rumore e dell’inquinamento, ma semplicemente mettendo un tetto al numero di voli è abbastanza anacronistico. Noi siamo apertissimi al fatto che si arrivi a certi target, però va fatto nell’ambito di un percorso condiviso».
In Europa si punta a limitare o tagliare. Altrove no.
«E questo è un problema. Se Amsterdam non può crescere, ma Turkish Airlines può mettere 25 voli al giorno per Istanbul, allora non stiamo riducendo nulla perché semplicemente chi ha più spazio per aggredire il mercato, lo aggredisce».
Delta Air Lines, così i «baby boomer» in pensione riempiono i voli Usa-Italia


Matteo Curcio, senior vice president per Europa, Medio Oriente, Africa, India di Delta Air Lines
Dopo la pandemia i vettori statunitensi sono stati protagonisti di un’espansione senza precedenti verso le località turistiche del Mediterraneo. C’è ancora spazio per allargarsi o si è raggiunto il limite? Penso alla possibilità di avviare collegamenti diretti, d’estate, tra gli Usa e Bari o la Sardegna.
«L’anno scorso abbiamo detto che quella del 2024 sarebbe stata la più grande stagione estiva di sempre sul transatlantico. Quest’anno abbiamo detto lo stesso per il 2025. È evidente che le destinazioni che lei ha citato — se questo ciclo continua — più che “possibili” direi che sono “probabili”, cosa impensabile un tempo».
Quindi prossime aperture verso Puglia, Sardegna?
«Aggiungerei Toscana (avevamo il volo su Pisa) e Bologna...».
E magari anche una Milano-Los Angeles...
«E la Roma-Los Angeles. Insomma ci sono tante opzioni. È ovvio che la costa occidentale Usa è più impegnativa perché richiede più aerei e un maggiore utilizzo. Però sono destinazioni che tutti noi studiamo. Con questo tipo di trend dubito che non ci sia niente di nuovo per l’estate 2026. In generale in Italia vediamo un’espansione sia verso nuove destinazioni, sia verso gli hub. Abbiamo aperto di recente le vendite per la rotta Milano Malpensa-Boston».
Lo stesso si può dire del resto del Sud Europa.
«In questo momento l’area attrae moltissima domanda. Senza dimenticare il Nord Africa che ha chiaramente ampi margini».
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Perché questo è possibile soltanto ora?
«Oggi più di prima le persone vogliono spendere per fare esperienze. Il dollaro forte incentiva l’espansione. In questo momento abbiamo i “baby boomer” che sono andati in pensione con un sacco di soldi e vogliono viaggiare. Abbiamo anche le nuove generazioni che comunque vedono nel viaggio un’esperienza migliore. La domanda negli Usa è molto forte».
I trend di viaggio sono cambiati nel Mediterraneo?
«Secondo me c’è una combinazione di fattori. C’è, come dicevo, la disponibilità economica del “baby boomer” che tra l’altro ora non hanno più l’obbligo di ritorno a casa poco prima di metà agosto per far iniziare la scuola ai figli. C’è sicuramente l’aspetto climatico. Ma anche la saturazione delle destinazioni: andare a Capri a settembre è probabilmente più facile che andarci a luglio, e questo vale per tantissimi posti. E poi c’è una domanda in generale maggiore. Questo mix porta a un allungamento delle stagioni turistiche».
E questo richiede un approccio diverso del settore turistico?
«Come sistema-Paese si deve accettare il fatto che probabilmente le strutture che erano chiuse diversi mesi all’anno non lo dovranno più essere. Se poi si chiede al turismo di funzionare tutto l’anno bisogna risolvere i problemi di normativa del lavoro rispetto alla stagionalità dei contratti. Secondo me è un’opportunità molto importante per l’Italia. La Spagna lo sta facendo, il Portogallo pure».

Come sono ora i rapporti con Ita Airways?
«Sono abbastanza regolari e limitati. Abbiamo ristretto il codeshare e siamo in attesa di quello che avverrà all’accordo con Lufthansa. Aspettiamo e vediamo che succede».
Intanto la famiglia si è allargata di recente.
«Abbiamo avuto un settembre eccitante perché Sas è entrata nel nostro mondo con Air France che è anche azionista. La Scandinavia è un mercato ricco, con domanda importante e dove l’alleanza alla quale apparteniamo, SkyTeam, è meno presente di Star Alliance».
Avete partecipazioni in Latam, Virgin Atlantic e altri vettori. Il futuro delle alleanze commerciali si reggerà sempre più sull’avere una quota nelle compagnie?
«Diciamo che aiuta sugli investimenti di lungo termine. Nella joint venture è difficile prendere decisioni che vanno oltre a quel contesto. La mia opzione di flotta sulle tratte domestiche o la scelta del mio sistema di vendita dei voli difficilmente può essere influenzata da cosa voliamo sulla Sicilia. Però l’avere un consiglio di amministrazione dove discutere il futuro delle nostre aziende ci permette anche di guardare queste cose da un punto di vista sinergico di medio termine».
STRATEGIEIl piano di Lufthansa per conquistare l’Europa con l’aiuto di Ita (e nonostante la Germania)
di Leonard Berberi, inviato a Francoforte
The tale of a Lufthansa airplane sticks out of a hangar at the Franz Josef Strauss airport in Munich, southern Germany, on September 20, 2024. (Photo by Michaela STACHE / AFP)

Le tariffe nell’estate 2024 sono state sostanzialmente stabili sulle rotte transatlantiche. Che tipo di evoluzione prevede, al netto di tutto quello che può succedere a livello geopolitico?
«Non ci sono stati i picchi degli anni passati, però è un’estate che è andata benissimo. L’offerta continuerà ad aumentare con una forte focalizzazione sui prodotti premium. Il sistema transatlantico resta molto in salute. Per noi i ricavi sono in crescita anno su anno».
Nei primi nove mesi di quest’anno il 45,5% dei vostri ricavi dai biglietti è rappresentato dai sedili nelle classi premium come la Business. Avete un valore che volete raggiungere in questo senso?
«No, non esiste un target. Ma credo che ci siano elementi del prodotto offerto che dovrebbero essere spacchettati ancora meglio e che andrebbero arricchiti».
lberberi@corriere.it
 
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ilPrincipeDiCasador

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Certo che considerare certi aeroporti per connessioni dirette significa che la domanda è veramente veramente alta.
Altrimenti la domanda sorge spontanea: quanto la potenziale apertura di rotte come BRI cannibalizza la domanda su FCO?
In altre parole è veramente crescita o revenues shift?
 
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indaco1

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MODE BAR SPORT ON

E' cambiato il paradigma, adesso ci sono e funzionano anche aerei piu' piccoli su rotte lunghe e sottili

- Molti pax, suppongo soprattutto leisure, evidentemente possono adattare le vacanze alla data del volo, quindi gli vanno bene anche frequenze basse

- Tali pax pero' danno comunque valore al volo diretto (ettecredo, sono tanti sbatti e giorni di ferie in meno) e sono disposti a pagarlo un po' di piu'. Andare in vacanza con due voli in connessione non e' bello, va via l'intera giornata. La qualita' delle vacanze e' decollata da quando ci sono i diretti per le isole. Perche' questo fenomeno non dovrebbe estendersi ad altre destinazioni?

- Forse (ci vorrebbero report su numeri veri) anche i voli business hanno piu' un significato sociale e di team building, quindi forse anche chi viaggia per lavoro e' piu' flessibile sulle date perche' se ha proprio proprio urgenza puo' usare teams o zoom? Lo chiedo, non lo so.

- E' anche la tecnolgia ad essere cambiata, gli aerei piccoli con tanta autonomia esistono e hanno economics meno peggiori rispetto ai wb almeno rispetto a prima (prima esistevano ma non convenivano).

- E' si vero che con il modello hub&spoke ottimizzi i riempimenti di aerei grossi, ma lo yeld management delle low cost, questo si, ha insegnato a remunerare bene anche voli p2p su rotte strane. Non abbiamo low cost intercontinentali, ma qualche metodo del low cost sugli intercontinentali.

- Un volo in due tratte tecnicamente ha costi di produzione maggiori di un volo diretto. Era strano prima quando due costava meno di uno. So che non e' cosi' semplice ma evidentemente gli effetti dell'ottimizzazione di concentrare i passeggeri in pochi hub adesso hanno meno effetto, almeno per un certo tipo di clienti e di rotte di cui sopra

Il modello hub & spoke e' insostituibile per andare dappertutto, ma gli economics che lo rendevano conveniente forse vengono erosi dalla possibilita' di aprire molte rotte sottili dirette, remunerandole bene, perche' i clienti ci sono e le pagano volentieri, o addirittura si adattano alla destinazione che ti offro quest'anno, come mi adatto agli assortimenti a rotazione della Lidl, questa settimana trovo l'avvitatore Parkside, e la settimana prossima trovo la fresatrice.

Insomma, sono considerazioni sparate li da un inesperto in modo bar sport, pero' qualche cambio strutturale sta avvenendo.
 
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Paolo_61

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E' cambiato il paradigma, adesso ci sono e funzionano anche aerei piu' piccoli su rotte lunghe e sottili

- Molti pax, suppongo soprattutto leisure, evidentemente possono adattare le vacanze alla data del volo, quindi gli vanno bene anche frequenze basse

- Tali pax pero' danno comunque valore al volo diretto (ettecredo, sono tanti sbatti e giorni di ferie in meno) e sono disposti a pagarlo un po' di piu'. Andare in vacanza con due voli in connessione non e' bello. La qualita' delle vacanze e' decollata da quando ci sono i diretti per le isole. Perche' questo fenomeno non dovrebbe estendersi ad altre destinazioni?

- E' anche la tecnolgia ad essere cambiata, gli aerei piccoli con tanta autonomia esistono e hanno economics meno peggiori rispetto ai wb almeno rispetto a prima (prima esistevano ma non convenivano).

- E' si vero che con il modello hub&spoke ottimizzi i riempimenti di aerei grossi, ma lo yeld management delle low cost, questo si, ha insegnato a remunerare bene anche voli p2p su rotte strane. Non abbiamo low cost intercontinentali, ma qualche metodo del low cost sugli intercontinentali.

- Un volo in due tratte tecnicamente ha costi di produzione maggiori di un volo diretto. Era strano prima quando due costava meno di uno. So che non e' cosi' semplice ma evidentemente gli effetti dell'ottimizzazione di concentrare i passeggeri in pochi hub adesso hanno meno effetto, almeno per un certo tipo di clienti e di rotte di cui sopra

Il modello hub & spoke e' insostituibile per andare dappertutto, ma gli economics che lo rendevano conveniente forse vengono erosi dalla possibilita' di aprire molte rotte sottili dirette, remunerandole bene, perche' i clienti ci sono e le pagano volentieri, o addirittura si adattano alla destinazione che ti offro quest'anno, come mi adatto agli assortimenti a rotazione della Lidl, questa settimana trovo l'avvitatore Parkside, e la settimana prossima trovo la fresatrice.

Insomma, sono considerazioni sparate li da un inesperto in modo bar sport, pero' qualche cambio strutturale sta avvenendo.
In realtà le rotte sottili sono spesso da un hub a una destinazione minore, rotte che una volta richiedevano il passaggio attraverso un altro hub.
 

indaco1

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Sottili ma non sottilissime. Per il Bari-Charlotte dovremo aspettare ancora un po' :)

Comunque piu' che hub uno dei capi deve avere molto traffico originante, un esempio a caso..... Milano non hubba un piffero ma di traffico ne produce.
 
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ilPrincipeDiCasador

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Il cambio sta avvenendo in maniera strutturale perché il mercato evolve ed insieme al miglioramento tecnologico permette di fare cose che prima non erano fattibili.
Indaco1, su questo siamo d’accordo ed in effetti i punti che hai elencato sono validi.

Magari un giorno si arriverà al P2P puro. Ovviamente con una necessaria rivoluzione tecnologica e legislativa a supporto.
 

East End Ave

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su e giu' sull'atlantico...
Sottili ma non sottilissime. Per il Bari-Charlotte dovremo aspettare ancora un po' :)

Comunque piu' che hub uno dei capi deve avere molto traffico originante, un esempio a caso..... Milano non hubba un piffero ma di traffico ne produce.
Stessa cosa lato US; puoi aprire un BRI NYC , ma non un BRI CLT appunto…perché il primo vive di mutuale ptp E beyond, il secondo solo col beyond non può reggere, dal momento che più alto è lo share del beyond meno rende il volo…
 

indaco1

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Alle considerazioni di cui sopra che potrebbero favorire il trend aggiungo:

- I trasporti di superficie sono migliorati assai. Le localita' che oltre ad essere attrattive sono nodi ferroviari o croceristici importanti in realta' hanno traffico di transito, ma multimodale. Se uno si sofferma solo ai voli magari non si vede, ma non sara' che alcune di queste destinazioni sono anche porti di imbarco per traghetti per isole minori e soprattutto crociere?

- Il charter e' sparito sostituito da voli di linea che servono la stessa domanda. Non e' che una volta non ci fossero i voli turistici p2p, erano solo fatti in modo diverso.

- Sui treni AV non mi soffermo troppo perche' c'e' un ampio thread riguardo al complesso rapporto competizione/sinergia tra aerei e treni, ma e' ovvio che il routing dei vacanzieri e' cambiato. Tutti quegli stranieri da posti lontani che troviamo sui treni a un certo punto avranno volato. Per chi visita l'Italia la prima ovvia scelta e' atterrare a Roma o Milano ma con i treni il vantaggio competitivo dei nodi principali e' piu' ridotto e le destinazioni cosiddette secondarie sono molto attrattive, siamo stracolmi di punti di interesse che meritano un viaggio. Se ho un volo diretto e la possibilita' di fare un routing diverso all'andata e al ritorno permette di aumentare il numero di destinazioni visitabili con le stesse tratte. Banalmante se faccio Casa - penottamento A - volo/treno/traghetto p2p - pernottmaneto B - casa vedo di piu' a parita' di spostamenti. Vale anche altrove, eh, es. la Spagna forse c'e' arrivata prima di noi.

- Perche' lato america prevale la solita NYC? Forse in minima parte un motivo secondario e' che la i trasporti di superficie sono un dito nel c. al confronto dell'Europa, quindi e' ancora piu' diffuso l'hubbing tradizionale?

Mi scuso in anticipo per l'ovvieta' ma un test per capire su che tipo di traffico punta una compagnia e' confrontare il prezzo proposto per gli A/R e per il solo andata. Ancora molte compagnie ti fanno pagare l'A/R praticamente come una sola tratta, mettendo tra l'altro in difficolta' chi vuole fare lunghe permanenze o non sa subito la data del ritorno. Ma sono sempre di piu' le compagnie che invece ti vendono un volo alla volta con prezzi di ciascuna semitratta esposti chiaramente e acquistabili separatamente. Non so se la politica di prezzo sugli A/R puo' essere un indicatore di quanto e' low cost / P2P quella compagnia, non e' cosi' semplice. Sinceramente a me non dispiace, certe forzature del modello hub&spoke, non solo i prezzi solo andata ma anche la guerra feroce a chi fa intenzionalmente il no show nel secondo volo di una combinazione mi sembrano eccessive e distorsive, se non vessatorie, e se i in futuro lo faranno di meno non mi dispiace.
 

edo01

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Tutto molto bello fino a quando non si parla del fatto che i nostri aeroporti abbiano delle infrastrutture indecenti sul lato Extra Schengen. Aree gates minuscole e inadatte a gestire traffico WB, postazioni controllo passaporti sottodimensionate e assenza di ristorazione dopo tali controlli rendono l’experience pessima. Bisognerebbe essere lungimiranti e, prima o in vista dell’arrivo di Delta, United, etc, creare un’infrastruttura seria in grado di gestire tutti questi passeggeri.

Altrimenti è meglio che finiscano a FCO, MXP e VCE per poi muoversi col treno…
 
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lezgotolondon

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Certo che considerare certi aeroporti per connessioni dirette significa che la domanda è veramente veramente alta.
Altrimenti la domanda sorge spontanea: quanto la potenziale apertura di rotte come BRI cannibalizza la domanda su FCO?
In altre parole è veramente crescita o revenues shift?
Io ho notato un enorme aumento di turisti americani nelle destinazioni piu' famose (Le uniche che conoscono).
Dopotutto la differenza di COL tra USA e Europa e' ormai enorme e per loro e' economico visitarci, se avessero piu' ferie pagate verrebbero ancora di piu'.
 

kenadams

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Certo che considerare certi aeroporti per connessioni dirette significa che la domanda è veramente veramente alta.
Altrimenti la domanda sorge spontanea: quanto la potenziale apertura di rotte come BRI cannibalizza la domanda su FCO?
In altre parole è veramente crescita o revenues shift?
Instagram ha trasformato il marketing e la domanda turistica. Fino al 2018-2019 gli americani confondevano Firenze con Venezia ("qual è quella con le gondole?") e avrebbero a malapena saputo citare altre città italiane oltre Roma e Milano. Instagram ha portato alla ribalta decine di destinazioni europee molto fotogeniche: I want to go to Caprì (accento rigorosamente sulla ì)/Positano/Mikonos/Amalfi è la frase che più spesso mi chiede chi cerca informazioni per un viaggio in Europa. Durante la conversazione, capita che il soggetto in questione cacci fuori l'iphone, apra Instagram, e mi dica di voler cercare the other place dove vuole andare. Un tempo the other più comune erano le Cinque Terre, ora capitano più spesso Polignano a Mare e il lago di Como.

La nostra industria del turismo dovrebbe tirar su monumenti al fondatore di Instagram (e, al limite, a Zuck che se la comprò): le millemila zocc... influencer (con 2000 follower ciascuna a esagerare perché in realtà son tutte cameriere) d'America vogliono farsi la stessa foto e condividere la stessa story. E allora via verso le coste e le città italiane per riempire la propria pagina di foto seminude. E siccome fra i 2.000 follower hanno mammà baby boomer (che ha sognato un viaggio del genere tutta la vita) e soprattutto tanti uomini baby boomer che usano Instagram come un tempo usavano Sports Illustrated, ecco che gli aerei per le città secondarie italiane si riempiono di quel segmento di popolazione mediamente abbiente.
 

13900

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Ricordo ancora con commozione il poliziotto canadese col quale chiacchierai (anno del signore 1991) in un autogrill tra Toronto ed Edmonton, ex giocatore di hockey, che mi raccontava della sua trasferta in Italia "ad Aosta, vicino a Venezia".
E non hai fatto il TR?! Chissa' che avventure sull'autostrada Toronto-Edmonton. Immagino fossero 5000 km dritti come un righello?
 

Cesare.Caldi

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Instagram ha trasformato il marketing e la domanda turistica. Fino al 2018-2019 gli americani confondevano Firenze con Venezia ("qual è quella con le gondole?") e avrebbero a malapena saputo citare altre città italiane oltre Roma e Milano. Instagram ha portato alla ribalta decine di destinazioni europee molto fotogeniche: I want to go to Caprì (accento rigorosamente sulla ì)/Positano/Mikonos/Amalfi è la frase che più spesso mi chiede chi cerca informazioni per un viaggio in Europa. Durante la conversazione, capita che il soggetto in questione cacci fuori l'iphone, apra Instagram, e mi dica di voler cercare the other place dove vuole andare. Un tempo the other più comune erano le Cinque Terre, ora capitano più spesso Polignano a Mare e il lago di Como.

La nostra industria del turismo dovrebbe tirar su monumenti al fondatore di Instagram (e, al limite, a Zuck che se la comprò): le millemila zocc... influencer (con 2000 follower ciascuna a esagerare perché in realtà son tutte cameriere) d'America vogliono farsi la stessa foto e condividere la stessa story. E allora via verso le coste e le città italiane per riempire la propria pagina di foto seminude. E siccome fra i 2.000 follower hanno mammà baby boomer (che ha sognato un viaggio del genere tutta la vita) e soprattutto tanti uomini baby boomer che usano Instagram come un tempo usavano Sports Illustrated, ecco che gli aerei per le città secondarie italiane si riempiono di quel segmento di popolazione mediamente abbiente.
Quello che mi lascia perplesso di questo boom turistico generato serie TV e da Instagram è il fatto che è molto effimero: oggi va di moda l'Italia e ci sta portando molti turisti e nuovi voli dagli USA, benissimo, ma se domani cambia il trend esce una nuova serie tv ambientata altrove e andrà di moda un altra nazione, tutti inizieranno a volersi fare i selfie da un altra parte e i turisti americani e i nuovi voli cosi' come sono arrivati potrebbero velocemente sparire e spostarsi altrove. Godiamoci il momento di boom turistico finchè dura.
 

East End Ave

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Ricordo ancora con commozione il poliziotto canadese col quale chiacchierai (anno del signore 1991) in un autogrill tra Toronto ed Edmonton, ex giocatore di hockey, che mi raccontava della sua trasferta in Italia "ad Aosta, vicino a Venezia".
Beh, però; per loro Aosta Venezia è come da Santa Barbara a San Diego… “it’s a short distance!” , c’è da capirli…
 

kenadams

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Quello che mi lascia perplesso di questo boom turistico generato serie TV e da Instagram è il fatto che è molto effimero: oggi va di moda l'Italia e ci sta portando molti turisti e nuovi voli dagli USA, benissimo, ma se domani cambia il trend esce una nuova serie tv ambientata altrove e andrà di moda un altra nazione, tutti inizieranno a volersi fare i selfie da un altra parte e i turisti americani e i nuovi voli cosi' come sono arrivati potrebbero velocemente sparire e spostarsi altrove. Godiamoci il momento di boom turistico finchè dura.
Occhio ché la corda si spezza e si rimane col cerino in mano!

A dire il vero, Cesare, credo che non sia delle mode che dobbiamo aver paura. Il rischio più grande per il turismo italiano, in questo momento, non è un'ipotetica nuova moda ma -- più semplicemente -- una crisi dell'economia americana. Una crisi del debito negli USA è tutt'altro che esclusa:
- 43 milioni di americani hanno complessivamente 1600 miliardi di dollari di student loan da ripagare. Non ci sono asset a garanzia di questo debito.
- 100 milioni di americani hanno complessivamente altri 1600 miliardi di debito complessivo per l'auto che posseggono. Fra questi, 25 milioni hanno negative equity (cioè l'importo del debito è superiore al valore dell'auto).
- Il saldo complessivo da pagare delle carte di credito nelle tasche degli americani è di 1150 miliardi di dollari. Anche questo, ovviamente, non è debito garantito da un bene collaterale.
- C'è poi la mina economica del commercial real estate, che ha perso mediamente molto valore a causa del COVID. Il debito complessivo -- per il quale è impossibile stimare correttamente il valore reale degli immobili a garanzia -- è di 5900 miliardi di dollari in mano un po' a tutti.
-- Senza contare i 35800 miliardi di debito pubblico complessivo del governo federale americano.

Va bene che l'economia americana produce un PIL di quasi 30000 miliardi l'anno, ma c'è davvero tanto debito che grava sui consumatori americani. C'è un candidato alla presidenza che parla apertamente di svalutare il dollaro, e ci sono mercati finanziari ormai del tutto in mano alla leva finanziaria (=debito pure là). Quanto reggerà ancora tutto questo?

Invece di godersi il momento in attesa che passi la moda, non sarebbe male se gli italiani lavorassero alla promozione del turismo in Cina (un paio di casinò in stile Las Vegas a Milano e Napoli farebbero comodo), al miglioramento delle infrastrutture ricettive e anche a una riforma fiscale del turismo: l'imposizione punitiva nei confronti di qualsiasi bene di lusso fa sì che tanti yacht che potrebbero risiedere in Italia e dare lavoro là a meccanici e naviganti risiedano invece altrove, che di jet privati in Italia non ce ne siano quasi più (stesso discorso: la manutenzione, sulla quale ci sarebbe da guadagnare, la fanno altrove) e così via.
 

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A dire il vero, Cesare, credo che non sia delle mode che dobbiamo aver paura. Il rischio più grande per il turismo italiano, in questo momento, non è un'ipotetica nuova moda ma -- più semplicemente -- una crisi dell'economia americana. Una crisi del debito negli USA è tutt'altro che esclusa:
- 43 milioni di americani hanno complessivamente 1600 miliardi di dollari di student loan da ripagare. Non ci sono asset a garanzia di questo debito.
- 100 milioni di americani hanno complessivamente altri 1600 miliardi di debito complessivo per l'auto che posseggono. Fra questi, 25 milioni hanno negative equity (cioè l'importo del debito è superiore al valore dell'auto).
- Il saldo complessivo da pagare delle carte di credito nelle tasche degli americani è di 1150 miliardi di dollari. Anche questo, ovviamente, non è debito garantito da un bene collaterale.
- C'è poi la mina economica del commercial real estate, che ha perso mediamente molto valore a causa del COVID. Il debito complessivo -- per il quale è impossibile stimare correttamente il valore reale degli immobili a garanzia -- è di 5900 miliardi di dollari in mano un po' a tutti.
-- Senza contare i 35800 miliardi di debito pubblico complessivo del governo federale americano.

Va bene che l'economia americana produce un PIL di quasi 30000 miliardi l'anno, ma c'è davvero tanto debito che grava sui consumatori americani. C'è un candidato alla presidenza che parla apertamente di svalutare il dollaro, e ci sono mercati finanziari ormai del tutto in mano alla leva finanziaria (=debito pure là). Quanto reggerà ancora tutto questo?

Invece di godersi il momento in attesa che passi la moda, non sarebbe male se gli italiani lavorassero alla promozione del turismo in Cina (un paio di casinò in stile Las Vegas a Milano e Napoli farebbero comodo), al miglioramento delle infrastrutture ricettive e anche a una riforma fiscale del turismo: l'imposizione punitiva nei confronti di qualsiasi bene di lusso fa sì che tanti yacht che potrebbero risiedere in Italia e dare lavoro là a meccanici e naviganti risiedano invece altrove, che di jet privati in Italia non ce ne siano quasi più (stesso discorso: la manutenzione, sulla quale ci sarebbe da guadagnare, la fanno altrove) e così via.
Anche la Cina, economicamente, non sta messa benerrimo. E geopoliticamente non so se sia nel nostro interesse legarci alla Repubblica Popolare. Anche dal punto di vista turistico.
 
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