easyJet vuole tornare in Israele? Il business batte la sicurezza»
Secondo un sondaggio indetto dal sindacato SSP-VPOD una larghissima maggioranza dei dipendenti della low cost basati in Svizzera teme, e non poco, la ripresa dei voli per Tel Aviv fissata per il 31 marzo – Ne parliamo con Jamshid Pouranpir
Probabilmente, easyJet non si aspettava una simile reazione. Andiamo con ordine: il vettore low cost ha appena annunciato la ripresa dei voli per Tel Aviv dalle sue basi svizzere, Basilea e Ginevra. La data da segnare in rosso sul calendario è quella del 31 marzo. Bene, anzi male perché il sindacato svizzero dei servizi pubblici (SSP-VPOD) si è subito messo di traverso. Nello specifico, «
la decisione unilaterale di riprendere i voli verso l'aeroporto di Tel Aviv, esposto quotidianamente al lancio di razzi e altri ordigni esplosivi, è assolutamente inaccettabile». Ne va, insomma, della sicurezza del personale impiegato per la compagnia britannica. «In un momento in cui il Paese è immerso nella guerra il suo spazio aereo è a forte rischio» si legge in una nota diramata oggi.
Secondo un sondaggio lanciato dallo stesso sindacato e rivolto agli oltre 700 «cabinisti» di easyJet attivi in Svizzera – 521 le persone che hanno risposto – una maggioranza schiacciante del personale (93%) si è opposta alla ripresa dei collegamenti. In attesa di un cessate il fuoco e di un accordo di pace, specifica il comunicato,
i dipendenti «si aspettano che la loro sicurezza sia tenuta nella stessa considerazione degli equipaggi francesi». In effetti, easyJet Francia ha annunciato alle parti sociali che rinvierà la ripresa delle operazioni su Tel Aviv a data da destinarsi. Di più, non ci sarà ripresa senza, prima, una consultazione. La branca svizzera del vettore, invece, ha risposto che va tutto bene. Business as usual, volendo riprendere i toni del sindacato.
Jamshid Pouranpir, segretario SSP, da noi contattato aggiunge: «
Probabilmente easyJet non aveva considerato che, a seconda di come evolve la situazione, i suoi equipaggi potrebbero essere costretti a passare la notte a Tel Aviv. E questo perché da un momento all'altro lo scalo di Ben Gurion potrebbe chiudere. L'aeroporto non è un obiettivo esclusivamente di Hamas, ma anche di Hezbollah in Libano. E potrebbero perfino verificarsi attacchi dagli Houthi». In realtà, lo scalo è protetto dal sistema antimissile Iron Dome. Altrimenti, ogni attività sarebbe letteralmente impossibile. Lo scorso ottobre, tuttavia, un volo Ryanair aveva dovuto virare verso Cipro proprio perché, nelle fasi finali verso Tel Aviv,
un missile lanciato da Hamas era caduto non molto lontano dallo scalo. «Parliamo, come abbiamo scritto nel comunicato, di un Paese in guerra» ribadisce il nostro interlocutore. «Negli ultimi due anni, in questo senso, nessuno ha volato su Kiev. Non vediamo perché dovremmo tornare, ora, a Tel Aviv». La stessa Ryanair, a oggi, non volerà da e per Israele sia a marzo sia ad aprile. Se ne riparlerà più avanti, se caso.
«La situazione, in questo senso, è fluida» spiega Pouranpir. «C'è chi, come easyJet Francia, non intende riprendere a breve i voli per Israele. Altri, come Air France o Swiss, sono invece ripartiti. Per i nostri associati di easyJet Svizzera, tuttavia, questa discrepanza con la consorella francese è angosciante. Lavorare sugli aerei è già di per sé snervante e stancante, considerando la pressurizzazione di cabina. A tutto questo, ora, si aggiunge l'ansia di dover volare su un aereo che potenzialmente potrebbe incrociare la rotta di un missile o altro».
D'accordo, ma concretamente che cosa può fare il sindacato? E che cosa possono fare, di riflesso, i dipendenti di easyJet Svizzera? «Ci sono alcune opzioni. La prima, purtroppo, non è stata accettata dalla direzione della compagnia. Prevedeva che i voli potessero riprendere ma solo con il personale disponibile a coprire Tel Aviv come destinazione. Di più, avevamo chiesto che per gli altri non ci fossero perdite di guadagno – siccome easyJet paga anche in base a quanti voli un dipendente effettua – o non venissero fatti appunti sul proprio dossier personale». Il sindacato, nello specifico, si è pure rivolto alle autorità ginevrine per trovare una soluzione. «Ma è chiaro che se falliremo anche a livello di conciliazione e la forza lavoro non cambierà idea sul volare a Tel Aviv, le misure di agitazione e lotta sindacale torneranno d'attualità».
Questo vettore non si rende conto che, senza personale, un volo non può partire. E, quindi, i passeggeri vanno rimborsati. Il fatto di non voler rispettare il sentimento dei dipendenti e, soprattutto, gli accordi sindacali in essere potrebbe portare a conseguenze economiche ben più gravi rispetto a una mancata ripresa dei collegamenti
Altro giro, altra domanda. Ci sono stati contatti, ad esempio, con il personale di Swiss? Per capire, appunto, se e come gestire una ripresa dei voli da e per Israele. «Io mi occupo esclusivamente dello scalo di Ginevra per cui non so quali decisioni interne siano state prese in seno alla compagnia di bandiera» prosegue Pouranpir. «So, però, che anche all'interno di Swiss c'erano parecchie preoccupazioni in merito». Il nostro interlocutore, di fatto, accusa easyJet di cecità: «Questo vettore non si rende conto che, senza personale, un volo non può partire. E, quindi, i passeggeri vanno rimborsati. Il fatto di non voler rispettare il sentimento dei dipendenti e, soprattutto, gli accordi sindacali in essere potrebbe portare a conseguenze economiche ben più gravi rispetto a una mancata ripresa dei collegamenti. Per tacere del danno d'immagine. Basterebbe una negoziazione, tutto qui. Noi siamo apertissimi a trovare una soluzione con easyJet. Ma l'azienda, mi sembra, sta semplicemente imponendo la sua volontà contro qualsiasi cosa. Anche contro il partenariato sociale».
Non finisce qui: la ripresa, accusa il sindacato, è dettata più che altro da fattori economici. Altro che sicurezza garantita, dice Pouranpir. «Il problema è proprio questo. Gli affari vengono prima della sicurezza. Ed è un aspetto inaccettabile per noi. Il volo del 31 marzo da Ginevra, ad esempio, è già al completo. È una rotta oltremodo redditizia e lo sa anche El Al, il vettore israeliano. Quello che easyJet dovrebbe tuttavia considerare è quel 93% di dipendenti che ha paura. E non vuole andare in Israele». Ma davvero, concludendo, la low cost britannica ha semplicemente risposto picche al grido
business as usual? «Proprio ieri abbiamo avuto una videoconferenza con i vertici della compagnia. Ci è stato detto che questo sondaggio ha connotazioni politiche e che la decisione del personale di non volare da e per Tel Aviv sarebbe legata a convinzioni, come detto, politiche. Niente di tutto ciò, ci mancherebbe. Anzi, è un'assurdità pensare che piloti e assistenti iscritti al nostro sindacato abbiano simili retropensieri. Parliamo di professionisti che hanno volato dappertutto, anche in Israele in passato. Semplicemente, chiedono che la sicurezza, la loro sicurezza, venga messa al primo posto».
Secondo un sondaggio indetto dal sindacato SSP-VPOD una larghissima maggioranza dei dipendenti della low cost basati in Svizzera teme, e non poco, la ripresa dei voli per Tel Aviv fissata per il 31 marzo – Ne parliamo con Jamshid Pouranpir
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