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Alitalia: Colaninno, abbiamo respinto i veti della casta
di Franco Locatelli
2 Novembre 2008
Roberto Colaninno parte oggi con la delegazione degli imprenditori italiani per il Vietnam, dove inaugurerà uno stabilimento della sua Piaggio che rappresenta il maggior investimento del nostro Paese laggiù, ma il presidente della Cai prenderà il volo per Hanoi con un dubbio e con una speranza. Il dubbio è che il suo Vietnam non sia ad Hanoi ma sia l'Alitalia dove piloti e steward non hanno voluto firmare gli accordi sindacali portando pericolosamente vicino al naufragio l'intera operazione di rilancio della compagnia di bandiera. La speranza di Colaninno ma non solo sua è invece che, già da domani, i lavoratori si rivelino più saggi dei loro sindacati autonomi. Una partita tutta da vedere e che non ha finora risparmiato brividi e colpi di scena.
«Io - racconta l'imprenditore mantovano - sono abituato alle sfide difficili ma sono anche abituato a investire i miei soldi e a creare posti di lavoro in Italia e all'estero, dove la Vespa è amatissima, però confesso che l'atteggiamento dei sindacati dei piloti e degli assistenti di volo dell'Alitalia ha sorpreso anche me, perché è la tipica espressione di chi gestisce una corporazione senza rispondere a nessuno anche quando la sua azienda è sull'orlo del fallimento».
Non per caso di fronte alla reazione dei sindacati la Cai, la cordata degli imprenditori che si candida a gestire la nuova compagnia di bandiera, venerdì pomeriggio aveva addirittura pensato di rinunciare alla presentazione della sua offerta al commissario Fantozzi per l'acquisto degli asset risanabili della vecchia Alitalia. Poi una telefonata di Silvio Berlusconi a Colaninno ha sbloccato la situazione e la Cai ha riconfermato la sua offerta d'acquisto prima della scadenza delle 24 del 31 ottobre. Ma che cosa avrà mai detto o promesso il premier alla Cai? «Di fantasie ne sono circolate molte in questi giorni, ma per la verità - spiega Colaninno - il Presidente ci ha solo fornito una informazione essenziale per le decisioni che stavamo maturando e cioè che l'intensa opera diplomatica di Gianni Letta aveva ancora una volta fatto il miracolo e convinto le organizzazioni confederali e l'Ugl a sottoscrivere i contratti di lavoro, i criteri di assunzione e il lodo e a quel punto il consiglio di Cai all'unanimità ha ritenuto che ci fossero le condizioni sufficienti per andare avanti». Coraggio, senso di responsabilità o azzardo? «No, non parlerei di azzardo - risponde Colaninno - ma piuttosto di senso di responsabilità con un po' di coraggio. Però la novità maggiore del nostro passo è un'altra: presentando l'offerta per Alitalia abbiamo voluto lanciare un segnale al Paese e dimostrare che ribellarsi ai veti e ai ricatti di una casta e di una corporazione è possibile e che non si può parlare ogni giorno della spaventosa crisi finanziaria che ha investito il mondo intero e poi fingere che non esista. Per noi la crisi finanziaria deve farci riscoprire il valore del lavoro e dell'impegno e anche l'etica del denaro perché chi investe rischia di suo e non ha alcuna voglia di buttare tempo e soldi. Presentando l'offerta della Cai al commissario Fantozzi abbiamo voluto essere conseguenti e oggi siamo più sereni di ieri».
Colaninno, si sa, è ottimista per natura ma pensare di gestire la nuova Alitalia senza i piloti e gli steward farebbe tremare i polsi a chiunque. «A chi li farà pilotare i suoi aerei? Ai portabagagli?» gli ha chiesto polemicamente il leader dell'Up (il secondo sindacato dei piloti), Massimo Notaro. A queste parole di «irresponsabile arroganza» Colaninno non vuol nemmeno replicare, però avverte: «Quand'ero in Sogefi sono stato abituato ad affrontare, ai tempi della Thatcher, la durezza dei metalmeccanici di Cardiff e dunque le vertenze e le lotte sindacali non mi spaventano, anche se nel caso dei sindacati autonomi di Alitalia mi sconcertano. Però si sappia che il nostro impegno non si fermerà: ci auguriamo che piloti e steward ci ripensino e non seguano i loro sindacati ma, in caso contrario, non ci arrenderemo alla logica del ricatto e assumeremo il personale di volo con chiamata nominativa». Parole meditate ma che pesano.
Certo è che, al punto in cui è oggi arrivata, la vicenda Alitalia ha molte caratteristiche, nel bene o nel male, per assumere una valenza emblematica. È evidente che, se vince sul piano sindacale, Colaninno lancia un segnale importante che va oltre il trasporto aereo e che investe la lotta alle caste e alle corporazioni di tutta Italia e che interessa le future battaglie di modernizzazione del Paese. Non per caso il sì dei sindacati era considerata la prima condizione di Cai per poter lanciare la sua offerta. Se questo scoglio verrà definitivamente superato, sarà un bel passo avanti, ma il traguardo non è ancora dietro l'angolo. Restano altri quattro ostacoli: Bruxelles, l'antitrust italiano, il prezzo degli asset di Alitalia e il partner estero. E l'Air One di Toto? «Ci rimangono da verificare le ultime clausole contrattuali, ma per il resto è tutto chiarito» afferma Colaninno, che si mostra fiducioso anche sugli altri quattro versanti. L'Unione europea darà il via libera al piano di salvataggio di Alitalia e alla nuova offerta privata di Cai? «I segnali sono positivi e speriamo che il giudizio finale sia coerente». E Catricalà cosa dirà? Per Colaninno sarebbe «asimmetrico usare due pesi e due misure: Air France copre circa il 90% del mercato francese del trasporto aereo e Lufthansa l'80% di quello tedesco. La nuova Alitalia dopo l'integrazione con Air One arriverà, anche sulla tratta Milano-Roma, al 55-60% del mercato interno e non si capisce perché dovrebbe venire penalizzata». Quanto al prezzo che Cai propone di pagare per rilevare gli asset di Alitalia che le interessano e che, secondo indiscrezioni, sarebbe più basso della richiesta Colaninno non si pronuncia: «Abbiamo fatto un'offerta sulla base delle valutazioni tecniche dei nostri advisor e attendiamo una risposta non conoscendo le valutazioni del commissario».
Resta l'incognita del partner estero, senza il quale l'intero piano della nuova Alitalia avrebbe il fiato corto perché nella moderna industria del trasporto aereo se una compagnia non vuole essere low cost o regional deve per forza di cose entrare in un network internazionale per ridurre i costi e incrementare i ricavi. I pronostici dicono che Air France sia in pole position e in vantaggio su Lufthansa ma è inutile cercare di stanare Colaninno: «Quello che posso dire - risponde - è che siamo di fronte a offerte molto interessanti che stiamo valutando attentamente per capirne tutte le implicazioni industriali. Una decisione non l'abbiamo ancora presa ma siamo ormai molto vicini». Anche perché entro fine anno la nuova compagnia si ripromette di partire. Per ora Colaninno vola ad Hanoi. È più difficile scalare la Telecom o gestire Alitalia? «Difficile dirlo. Anche stavolta è stata ed è molto dura ma tutte le storie imprenditoriali, se vissute con impegno e con passione, hanno qualcosa da insegnare e anche per Alitalia spero proprio che sia una storia a lieto fine».