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Alitalia getta acqua sul fuoco, ma i sindacati: “Il piano di salvataggio voluto dal governo è miseramente fallito”
di Fiorina Capozzi e Gaia Scacciavillani | 12 novembre 2016
Alitalia getta acqua sul fuoco, ma i sindacati: “Il piano di salvataggio voluto dal governo è miseramente fallito”
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La compagnia esclude una nuova ondata di esuberi ed esternalizzazioni. Ma per la Cub ci sono a rischio 1500 posti di lavoro. Anche perchè i capitali di Ethiad non sono bastati ad invertire la rotta: l'ex monopolista continua a perdere denaro. Sempre più vicina la necessità di un intervento finanziario dei soci che lamentano il mancato rispetto dei patti. E l'esecutivo studia l'ennesima tornata di ammortizzatori sociali da concedere all'ex monopolista
Alitalia getta acqua sul fuoco sull’ipotesi di una nuova tornata di esuberi, ma non tutti i sindacati ci stanno. Per l’ad dell’ex compagnia di bandiera, Cramer Ball, le recenti indiscrezioni di stampa sui tagli in arrivo per flotta e dipendenti sono solo “speculazioni”. Anche perché “la prossima fase del piano industriale non è ancora stata messa a punto” e soprattutto non è arrivata in consiglio di amministrazione. Ma per il sindacato le cose stanno diversamente: “Il piano di salvataggio di Alitalia voluto dal governo è miseramente fallito – dichiara a ilfattoquotidiano.it il segretario della Cub Trasporti Antonio Amoroso – Alcune indiscrezioni parlano di 1.500 lavoratori a rischio di esuberi ed esternalizzazioni. Non sappiamo esattamente quanti dipendenti saranno espulsi dall’azienda e quante attività saranno trasferite a terzi perché tutto dipende da eventuali partner che si troveranno per gli asset di cui la nuova Alitalia pensa di poter fare a meno”. Secondo la sigla sindacale, l’ex compagnia di bandiera punta ad affidare esternamente le attività di scalo (dal carico-scarico bagagli al check), l’information technology, alcuni rami della manutenzione e infine parte della struttura di staff amministrativo. Ma non basta. Sempre secondo la Cub, l’azienda ha anche già avviato le trattative con il governo per ottenere altri ammortizzatori sociali: una nuova ondata di soldi pubblici arriverebbe così ad alleggerire la voce del costo del lavoro nel bilancio di Alitalia Sai, la compagnia nata dalle ceneri della Cai dei patrioti berlusconiani.
LA COMPAGNIA NON HA DECOLLATO – Il clima in azienda è insomma decisamente pesante. Anche perché, nel pieno della campagna referendaria, il governo non vuol sentir parlare di tagli e meno che mai di scioperi. Tuttavia per venire incontro all’azienda e ai soci arabi che nel 2014 hanno versato quasi 600 milioni nella compagnia, l’esecutivo starebbe valutando l’ipotesi di ammortizzatori in continuità come solidarietà e cassa integrazione. “La storia stessa di Alitalia ci insegna che questo tipo di ammortizzatori sono utilizzati come un bancomat per scaricare sui contribuenti il costo delle ristrutturazioni aziendali ed espellere il personale con più diritti e più oneroso, sostituendolo con precari e lavoratori a più basso costo. Non favoriscono il rilancio della compagnia, ma servono solo a posticipare il problema – prosegue Amoroso – La verità è che il rilancio di Alitalia con i nuovi investimenti e i nuovi aerei non è mai arrivato. La flotta è stata ridimensionata e il piano di sviluppo è inesistente. Il piano di salvataggio del governo è fallito. E l’impressione è che ormai da tempo si sia deciso di fare della compagnia solo un vettore di medio e corto raggio, un segmento di mercato in cui le low cost la fanno da padrone e i margini sono assai risicati. Il risultato di questa strategia è che i nuovi ammortizzatori saranno solo altri soldi pubblici sprecati che non serviranno a rilanciare la compagnia di bandiera in un’ottica di sviluppo del sistema turistico e di crescita degli stessi aeroporti nazionali. Primo fra tutti gli Aeroporti di Roma”. Insomma, siamo ben lontani dalle entusiastiche dichiarazioni del premier del giugno 2015, quando, in occasione della presentazione delle nuove divise della compagnia, Matteo Renzi annunciava: “Allacciate le cinture, l’Italia sta per decollare”.
I CONTI CHE NON TORNANO – I numeri, del resto, parlano chiaro. A distanza di due anni dall’arrivo degli arabi nel capitale di Alitalia Sai, la compagnia aerea brucia ancora soldi. Lo scorso luglio il presidente Luca Cordero di Montezemolo ha parlato di 500mila euro al giorno. Le perdite stanno erodendo il patrimonio della compagnia, i sindacati sono sul piede di guerra e un aumento di capitale, secondo il Sole 24 Ore, è dietro l’angolo. La società, controllata al 49% da Ethiad e al 51% da i soci italiani di Midco, ha chiuso il 2015 con un rosso di 199 milioni di euro e il patrimonio del gruppo si è ridotto di 532 milioni a 122 milioni di euro, mentre a livello di capogruppo la perdita è stata di 408 milioni e il patrimonio è arrivato a quota 52 milioni. Il governo al momento non ha trovato niente di meglio che offrire alle compagnie aeree un contentino facendo saltare con la legge di Bilancio l’aumento sulla tassa d’imbarco degli aerei. Una magra consolazione per l’ex monopolista nazionale che ancora trasporta circa 25 milioni di passeggeri. Un vantaggio in più per Ryanair che è riuscita a strappare alla ex compagnia di bandiera il primato italiano di principale vettore del Paese con 29,5 milioni di passeggeri.