Martedi, 8 Novembre
Mi sveglio alle 8:30. Non so quante volte ho premuto “snooze”. Stando all’orario parecchie volte. Ho dormito così profondamente che quasi mi sembra di aver recuperato dalle due ultime notti insonni. Il mio intestino sembra aver retto bene l’impatto con il pan merdè, mi sento fresco, riposato e contento per il pericolo scampato, niente dissenteria. Doccia, preparazione zaino, colazione e via.
Oggi non ho grandi distanze da percorrere ma grandi piani.
A Najaf mi resta da vedere il Wadi-Us-Salaam, il cimitero più grande del mondo. Se tutto va bene in un’oretta dovrei farcela. Poi, l’idea è quella di raggiungere Babilonia con un pulmino o taxi, visitare le rovine, sia quelle famosissime lasciate da Nabucodonosor sia quelle più recenti lasciate da Saddam Hussein e giungere in serata a Karbala, altra meta di pellegrinaggi nel mondo sciita, sede della famosa moschea dell’imam Husayn. Sulla carta tutto abbastanza semplice. In realtà, siamo in Iraq, tutto è magicamente dilatato, complicato, esteso, difficile, ma mai, per fortuna, impossibile. Ci vuole solo tanta pazienza, cash e fortuna.
Si parte dal cimitero. Chiedo alla reception un taxi che puntuale e per 3 USD mi porta al cimitero. Durante la traversata mi accorgo che sono già da un bel pezzo nel cimitero. Stiamo parlando di 7, forse 8 milioni di corpi sepolti qui. È immenso e quando dico immenso, voglio dire questo:
Con a sinistra un bel po’ di deserto, almeno fino al confine con la Giordania.
Chiedo a gesti se c’è un posto da cui si può vedere dall’alto. L’uomo del Monte dice di si. Mi porta in un garage multipiano. Non so se avere paura o fidarmi. Scelgo di fidarmi, mi lascia al piano terra, lui mi aspetta. Salgo cercando di convincermi che va tutto bene, arrivo al settimo piano tra la penombra di un posto che mi sembra quasi abbandonato. Arrivo in alto, lo spettacolo davanti ai miei occhi è incredibile. Non vedo la fine.
Mentre scatto qualche foto, arriva un poliziotto. La situazione non è delle più confortevoli. Comincia ad urlarmi qualcosa in arabo. Gli rispondo in italiano, tanto non capirebbe lo stesso. Capisco che mi chiede qualcosa ma non so cosa, c’è chiaramente qualcosa che non va. Poi dice “America?”. Gli dico “No, Italia”. Pochi minuti e finisce a tarallucci e vino:
Mi accompagna giù e mi saluta.
Faccio un giro tra le tombe. Rischio di perdermi, torno da dove ero partito.
Il mio taxi è ancora dove l’avevo lasciato. Per fortuna c’è anche il mio zaino che gli avevo lasciato in custodia. Una cosa che ho imparato qui in Iraq è che puoi saltare in aria o essere rapito ma nessuno ti ruberà un centesimo.
Andiamo via. Gli chiedo se riesce ad accompagnarmi a Babylon. Sono 60 km. Mi fa segno 40 USD. Uno shared taxi mi costerebbe nulla ma non so gli orari, non so dove arriva e non sarei flessibile. Alla fine, scelgo la comodità e rilancio a gesti. La mi offerta finale è 60 USD per tutta la giornata fino a Karbala.
Deal done. Rashad sarà il mio compagno di viaggio per oggi.
Mi metto comodo e tra un checkpoint ed un altro arriviamo a Babilonia. C’è poco da raccontare. Qui c’è la storia che tutti abbiamo imparato fin dalle elementari.
Pago il mio biglietto stranieri (10 volte quello degli iraqeni) ed entro da qui. Nella mia testa risuona Boney M. – Rivers of Babylon
Pianta della città
Il mondo come lo vedevano i Babilonesi
Mura esterne
Particolare
Procession road:
Oltre ad essersi portati via l’Ishtar Gate a Berlino, i tedeschi hanno lasciato anche altri segni
Altre foto
Il simbolo della città, simbolo anche della nazione
Km di città ancora da riportare alla luce, forse qui sotto ci sono i leggendari giardini pensili
La ricchezza archeologica è stupefacente. Basta guardare il terreno per rendersi conto di camminare su ceramiche, bottiglie, piatti, manufatti. Non c’è bisogno di scavare, solo guardare. Per fortuna ci sono telecamere ovunque e dopo decenni di reperti trafugati, il sito è finalmente al sicuro. Mi fermo a pensare a quale potenziale turistico c'è e allo scempio di cui siamo capaci.
La prossima tappa, quello che rimane del palazzo di Saddam, costruito su una collina a poche centinaia di metri dal sito archeologico. Il dittatore voleva la migliore vista su Babylon
Datteri
Lasciamo l'antica Babilonia. Poco altro da aggiungere. Posto particolarmente entusiasmante per uno che ama la storia. Direzione, le rovine targate Saddam. Arrivare al palazzo non è semplice. C'è un pezzo di strada da percorrere, un posto di blocco e un grande cancello che in teoria non è aperto a nessuno. Il posto è abbastanza simbolico e per questo ben protetto. Guardie e miliziani controllano accessi e perimetro, non oso immaginare come fosse quando il dittatore era vivo. Comunque, vado dritto al sodo, come detto prima, in Iraq niente è impossibile. Sgancio la mazzetta travestita da improbabile police tax e accompagnato da un militare entro.
Vandalizzato negli anni, conserva uno strano fascino. Mi fa strano essere in queste stanze, vuote, enormi dove i miei passi rimbombano nel silenzio e nella penombra. Meno di 20 anni fa questo era il simbolo di una dittatura, oggi è il simbolo di niente. I pavimenti in marmo sono così pieni di polvere che quando cammino lascio i segni, i grandi affreschi con scene raffiguranti la storia irachena sono stati saccheggiati, gli arredamenti bruciati. Rimane la possente struttura di cemento e marmo.
Dentro non sono solo, c’è qualche altro personaggio quasi più strano di me accompagnato da un altro soldato.
Qualche foto degli esterni e degli interni
Il mio body guard
Corridoi e saloni
Panorama
La stanza da letto di Saddam. Mi fa strano pensare che qui ha dormito proprio lui
Un’altra sala
Uno dei pochi affreschi rimasti integri
Altra stanza
È ora di andare. Mi avvio con il mio fedele amico soldato verso il grande cancello. All’uscita succede qualcosa di incredibile, inimmaginabile per uno simil-svizzero abituato ormai a non salutare nemmeno i suoi vicini-
I soldati mi invitano a pranzo. Anzi, invitano me ed il tassista.
Ci metto un attimo a capire, all’inizio mi sembra tutto così strano, poi occhi, cervello, orecchie, cuore, pancia si allineano e dalla regia mi comunicano: “sei invitato a pranzo da un gruppo di soldati”
Ci mettiamo in marcia ed in pochi minuti siamo davanti a questo ben di Dio.
Pensavo fosse il piatto per tutti. Mi sbagliavo, questo era per due. Tre piatti così sul tavolo non ci stanno nemmeno, ci aggiungono un tavolo. Storie da Iraq.
Foto di gruppo
Provo a pagare. Niente da fare.
“ju ghest, ju ghest.pliiis dell your freend det Iraq is guuud. OK? Italia gud, ui very freend. Uelcame to iour second caundry.”.
Non ho parole, il loro unico tormento sembra quello di migliorare la reputazione di un paese e di un popolo ormai devastato da anni di guerre. Difficile non provare a comprenderli. Tutti noi faremmo lo stesso, l’amore per la propria terra è qualcosa di ancestrale, inspiegabile. Qui però c’è anche un altro aspetto, la cordialità, l’idea di comunità, l’idea che le cose si condividano e che l’ospite vada onorato, la voglia di umanità e fratellanza. Qualcosa a cui noi popoli high-tech non siamo più abituati. Racconto filosofico, vero. Ma questo gap tra la mia (nostra) realtà fredda, sospettosa, invidiosa, individualista e questa completamente opposta, mi fa ragionare, pensare e sinceramente mi lascia anche un pochino perplesso.
Come se non bastasse, mi offrono anche il tè. Ormai non mi sorprendo più. Saluti di rito, mano sul cuore e dopo una bella pausa non prevista, io e taxi driver partiamo direzione Karbala. La città non è lontana ma so che i checkpoints non saranno semplici.
Ed infatti, restiamo qui più di un’ora. Complice il buio, ho perfino il tempo di rubare qualche foto senza farmi arrestare. Tutto tra le bestemmie del mio autista che nel frattempo mangia una dozzina di kg di semi di zucca.
Questi trasportano un morto ma hanno fatto prima di noi. Vabbè.
La mia preoccupazione in una foto. Dopo 50 minuti, sono ancora in attesa del mio passaporto. Cosa staranno controllando?
L’auto in compenso è stata perquisita. Non abbiamo droghe, alcool o esplosivi. Si, avete letto bene, alcool. Nelle regioni “sante” di Najaf e Karbala l’alcool è vietato, se trovano anche una birra in uno zaino, so ca**i, quasi meglio il tritolo.
Ore 18:05, la libertà. Siamo cleared for takeoff.
Karbala arrivo! Prima tappa, hotel. Saluto Rashad e corro in camera. Non è tardi, decido di fare una piccola pausa. Mi tolgo le scarpe e mi butto sul divano a leggere due news, mandare due messaggi e dire a tutti che sono ancora vivo.
Ore 20:00 - Decido che è ora di andare, ho ancora tempo per vedere tutto e godermi la città. In Iraq la sera, la notte, la mattina, l'alba, il tramonto sono equivalenti. È un paese 24/7. Noi viviamo in funzione del tempo, qui è il tempo ad essere una funzione della vita. Non so se è una bella cosa o no, so solo che puoi fare il turista anche di notte e goderti un kebab davanti ad un santuario pieno di gente anche nel mezzo di una notte di metà novembre.
Mi muovo tra la gente alla ricerca dell’entrata del santuario dell’imam Husayn. Per i non Musulmani c'è solo una entrata buona, quella con il personale che ti spiega cosa puoi e cosa non puoi fare.
Gruppi di pellegrini stile gita a Medjugorie
Amici pakistani
Uno degli ingressi, sarà quello giusto?
Interni. Anche qui inutile dirlo, oro e pietre preziose ovunque inclusa la stessa trafila di Najaf per entrare. Controlli, deposito scarpe, istruzioni per non religiosi.
Giusto per capirci, questa non è plasticaccia cinese, sono pietre preziose. Vere.
Il posto in assoluto più sacro ed off-limits. Rubo una foto ma vengo beccato. Cazziatone in iraqeno.
Bambini
Mi perdo tra la grandiosità di questo posto, la gente e il calore umano di chi è attirato dalla mia presenza. Passeggio verso l'uscita, mi guardo intorno. C'è un'atmosfera molto religiosa, di celebrazione, solennità. Il posto è bello ma per rispetto di chi prega decido di uscire, sono letteralmente un pesce fuor d'acqua.
Queste due ragazze mi guardano incuriosite, le saluto con la mano, loro si avvicinano e cominciano a parlarmi.
Parlano inglese e si fermano a parlare con uno straniero, hanno un profilo Instagram, sono truccate, hanno tutte e due i tacchi alti. Mi sembra di sognare. Un’immagine che sembra rubata da uno shopping mall di Dubai. Qui però siamo a Karbala. Un po’ come se a Lourdes, la nipote della signora Coriandoli si facesse un giro in minigonna davanti alla basilica.
Si siedono con me a bere un cay. Mi raccontano che studiano in città, ma che sono del sud, che vestono l’hijab per scelta e che sono felici di vedere un turista in Iraq. Sperano in un futuro più semplice, io guardo il loro iPhone 14 e mi convinco che già il loro presente è abbastanza semplice.
Sono ormai le 23, saluto le due fanciulle d’Arabia, mi consigliano un posto per mangiare qualcosa. C’è ancora tanta gente, cerco di capire come ordinare qualcosa. Non c’è un menu, un disegno, una foto, niente. Quando arriva il mio turno capisco che non si ordina null’altro che carne. Poco male, si può scegliere solo half o full.
Opto per l’half. Mi arriva una valanga di agnello e pollo e vari meze che non avevo nemmeno capito di aver ordinato.
Mangio, pago e vado via. Un’altra giornata volge al termine, questa volta a pancia piena, tanto piena.
Prima di tornare in albergo, faccio un ultimo giro introno al santuario con la speranza di digerire almeno alcune delle proteine buttate giù. Vengo attratto da un ingegnoso accrocco che tosta semi di girasole
Un cestello Indesit, un motore di un trapano ed un cannello collegato ad un’improbabile bombola di gas, possono avere una seconda vita qui. Fotografo, saluto e rientro in albergo pensando che forse le esplosioni che ogni tanto vediamo sui giornali, non sono kamikaze ma tostatori improvvisati di semi di girasole.
Ciao Karbala.