Capitolo III - Hemis Gompa
In Ladakh si vaper dei motivi ben precisi: se si e' soldati indiani, per tenere un occhio su Cina e Pakistan (almeno tre guerre e una mezza dozzina di risse sono scoppiate da queste parti, e la presenza militare e' capillare); per tutti gli altri, trekking e cultura. Non ho tantissimo tempo, per cui decido di mixare uno e l'altro. Trekking e cultura, intendo.
La valle del fiume Indo, che scorre verso il Pakistan, e' punteggiata di monasteri buddisti; ce ne sono a bizzeffe nell'intera regione, testimonianza della capillarita' di questa religione giunta, via Tibet, dall'India. Non ho mai capito
esattamente cosa sia il buddismo; da ragazzino l'avevo definito come la religione di Roby Baggio, e tant'era. Prima di venire da queste parti ho fatto un minimo di ricerca, se non altro per capire dove stavo andando a parare, e son finito col riempire qualche pagina di taccuino con disegni e note varie.
Eccovi la mappa del tesoro. L'idea iniziale era di andare dal basso verso l'alto, partendo da Chemre e Hemis, per poi risalire verso Stakna, Matho, Thiksey, Spitok e infine tornare indietro a Leh. I piani, che ve lo dico a fare, andranno leggerissimamente diversamente.
Comunque, arrivato a Leh decido di camminare fino alla guesthouse dove ho preso una camera. Le prime impressioni sono un misto di Cile e Tajikistan, piu' un traffico veramente sostenuto. Auto, moto e una caterva di mezzi militari - possibilmente i mezzi piu' mefitici di tutti, un convoglio di 15 camion con annessi cannoni a rimorchio mi fa fare una dieci minuti di apnea. La citta' e' vivace e molto variopinta, ma ci ritorneremo. Il giorno e' stranamente coperto, con temperatura a stento sopra lo zero. Mi limito a fare un giro alla Shanti Stupa vicino alla guesthouse, prendo un piatto di zuppa ladakhi chiamato "Chuta Gyi" (mia reinterpretazione, immagino che si scriva diversamente) e bevo all'incirca sette ettolitri di te'. Siamo a 3600 metri, fare le cose in fretta e' stupido.
Il giorno dopo decido di prendere un bus per Karu. Cammino fino alla stazione dei bus, e una faccia da galera mi chiede se voglio un taxi. Dico di no, sto cercando il bus per Karu, e questo mi accompagna da un'altra faccia da galera - che si rivela essere il bigliettaio - e per sessanta rupie ho un posto a bordo di un bus elettrico lasciato qui in eredita' del G20 conclusosi questo aprile. L'onesta' e la gentilezza dei Ladakhi inizia a farsi vedere.
Partiamo con su solo io, il bigliettaio e l'autista. Fatta una curva ed ecco la prima fermata, dove salgono sessanta lavoratori migranti nepalesi. Dopo un'oretta gli ultimi rimasti ed io scendiamo a Karu, localita' che - malgrado le assonanze langarole - non contiene ne' vigneti, ne' agnolotti ne' tantomeno leggende della Dama Blu. Infatti si compone di un paio di guesthouses dall'aria non molto buona, un troiaio di laboratori di falegnameria, un deposito di mattoni e una caterva d'installazioni militari. In quest'ameno luogo posso aggiungere un nuovo "claim to fame" che fara' inorridire i miei colleghi indiani, nonche' una nuova prova della cortesia della gente di questo enorme paese. In parole povere, entro per sbaglio in una base dell'esercito indiano. A Leh m'avevano detto di una cooperativa che offriva posti letto, e m'avevano messo un 'pin' su Google per spiegare dov'era. Seguendolo, vedo una zona con degli edifici bassi, indicazioni per uno 'staff shop', un museo, e parcheggi. C'e' anche una cancellata, ma non ci sono guardie. Dall'altro lato della strada, invece, ci sono due soldati armati che mi salutano con un cortese "namaste". Siccome mi piacerebbe sbolognare lo zaino prima di mettermi a camminare, entro. La faccio breve, dopo un po' che girovago vengo fermato da due galantuomini in divisa che mi informano, in modo molto cortese, del seguente fatto "You are trespassing on an Indian Army installation". Appurato che il pin su Google l'ha messo un ignorante decido di darmela a gambe e provo a salire verso Chemrey.
Fatti un quattro-cinque km in salita, smadonnando contro il mio zaino decisamente troppo pesante, vengo fermato da un posto di blocco del suddetto esercito indiano. La strada per Chemrey porta alla 'zona di contatto', dove Cina ed India si guardano in cagnesco, per cui mi immagino qualche controllo. No, viene fuori che la strada e' chiusa causa frana. Torno indietro con le pive nel sacco, e allora vado a Hemis.
Altri 4 km in discesa, poi l'Indo, e poi 5 in salita.
Hemis, dicono i miei appunti, e' uno dei monasteri piu' ricchi di tutto il Ladakh, con 200 monaci in residenza. L'abate, chiamiamolo cosi', e' una reincarnazione del primo lama ma, al momento, il suo sedile e' vuoto. L'attuale lama e' "ospite" della Repubblica Popolare Cinese, essendo stato trattenuto in Tibet dove s'era recato per andare a seguire degli studi. Cari sinofili di questo forum, sappiate che con questa visita il mio astio verso la PRC, Xi Jinping ed il Partito Comunista Cinese e' aumentato ancora di piu'. Comunque sia, a meta' strada spunta questa meravigliosa stupa.
E poi un portale.
La in fondo si intravede il monastero ed annesso villaggio.
Uno sguardo verso la valle. Prima ero dietro alla collina che si vede in primo piano, con Chemrey piu' in fondo. Vedo i primi chorten, versione tibetana dello stupa; funzionano da reliquiario, cappella, segnavia e 'faro guida' nel nulla delle steppe d'alta quota. A me, dopo un paio d'ore di camminata con uno zaino da 20kg e l'aria sottile, ricordano delle splendide Delizie al limone di Amalfi. La fame si fa tanta.
Cammino di buzzo buono, ascoltandomi dei podcast sul Giro che mi sono scaricato in anticipo, e vengo sorpassato da un paio di furgoni di turisti. Alla fine, dopo un'oretta circa, sono a Hemis villaggio, dove i cani mi guardano con sospetto.
Il monastero, dicevamo, e' molto florido e si trova in fondo al villaggio, incuneato al termine del vallone. Eccovi un disegnino fatto da me con enorme dispendio di energie e un uso della prospettiva cosi' sbagliato che, da qualche settimana, i fantasmi di Brunelleschi e Leon Battista Alberti stanno infestandomi la casa tipo poltergeist.
Gia' che ci siamo, breve excursus sui monasteri buddisti tibetani, nel caso interessi a qualcuno. Hanno forme e posizioni che, alle nostre latitudini, sarebbero piu' adatti a delle fortezze che a luoghi di culto; in alcuni casi, come fatto notare da quella mente fine che e' mio fratello, sembrano simili al Forte di Bard in Val d'Aosta. Le forme e le dimensioni cambiano spesso, ma ci sono alcune strutture-base: il cortile, la sala di preghiera/assemblea chiamata Dukhang, preceduta da una serie di affreschi chiamati Lokpalas, e poi ci sono vari templi chiamati Lokhang in cui trovare Buddha e Bodhisattva di varia natura. Un'altra peculiarita' e' il tempio chiamato Gonkhang, 'camera degli orrori', in cui sono esposte divinita' di chiara provenienza indu' come Yamantaka. Hemis, essendo particolarmente danaroso, ha due Dukhang e, si dice, anche una stanza dei tesori chiamata Dzonag in cui un esploratore tedesco afferma esserci un manoscritto che dettaglia il viaggio di Gesu' in India. Altri refutano questa idea e considerano il tedesco di cui sopra un asino. Personalmente, io non ho visto niente ma, alla fin fine, non stenterei a credere nell'ipotesi: il turismo israeliano in India non e' cosa nuova.
Bando alle ciance; passo attraverso il villaggio (parte bassa per il popolo, parte alta - queste case - per il clero):
Ed entro nel monastero. Ora, nella maggior parte delle stanze e' proibito fotografare causa turisti cretini. Va detto che i pochi intorno a me, per lo piu' indiani in bus, sono estremamente ben educati e rispettosi.
Sopra di noi veglia un Sakyamuni Buddha.
In cortile sventolano le bandiere e volano i corvi di montagna. E' difficile spiegare quanto sia bello star qui.
I due portali che si intravedono in questa foto conducino ai due dukhang; ci entreremo in un secondo, ma sempre niente foto.
Il Dukhang Chenmo e' sostanzialmente deserto, tolto un monaco che canta mantra con l'aiuto di un tamburello. Decido di lasciarlo in pace, e torno - sempre a piedi scalzi - nell'altro Dukhang, e qui l'atmosfera e' totalmente diversa.
Immaginatevi una sala alta un tre-quattro piani, sostenuta da una foresta di colonne di legno dipinte di rosso scuro. L'atmosfera e' abbastanza buia, illuminata soltanto da un lucernario e qualche bulbo fluorescente. In mezzo alla sala, che in alcune parti ha un soffitto invero molto basso, c'e' un enorme Buddha di rame, e dietro di lui un chorten alto quattro metri. I muri sono coperti di dipinti. Buddha seduti, altre divinita', bodhisattva... non c'e' un centimetro libero. Dal soffitto pendono delle garlande di cotone, dipinte di rosso ed oro. Il pavimento e' in legno, coperto qui e li da tappeti. La stanza e' organizzata come una specie di parlamento, con un emiciclo di cuscini tipo futon piazzati su due file, separati da un corridoio stretto e da dei tavolini bassi su cui stanno libri scritti in tibetano. Di sotto un esempio da un altro monastero dove era consentito fotografare.
Il Dukhang Bharma e' pieno. Ogni sedile e' occupato da un monaco, e l'aria e' piena di rumore. Ci sono monaci che leggono ad alta voce, monaci che cantano, monaci che discutono tra di loro animatamente e, nelle file in fondo, ci sono i novizi che fanno cio' che fanno i ragazzini: scherzano tra di loro, provano a leggere, ma sostanzialmente fanno casino. L'aria profuma di legno antico, incenso e di un odore dolce ed erbastro allo stesso tempo: andando a naso scopro che viene dalle lampade alimentate a burro. Mi metto in un angolo e passo un paio di minuti ad ammirare questa scena. Da quanti secoli va avanti cosi? Tolte le lampadine elettriche, l'orologio al polso di un monaco, e il fiore di loto girevole sull'altare, potremmo essere nel medioevo. E' affascinante.
Dopo qualche minuto decido di uscire. Cammino su e giu' per il monastero, scoprendo porte chiuse e terrazze, e poi finisco col sedermi nel cortile, a guardare questo posto cosi' diverso da tutto cio' che ho conosciuto fin'ora. Volevo andare in Tibet da quando, da bambino, ho letto come Vipero "Sette Anni in Tibet". Ora ci sono.
In fondo al cortile c'e' un ragazzino, un novizio, che gioca a cricket da solo. Lancia la palla contro il muro, la riprende, la rilancia. Ancora, ancora ed ancora.
Mi distraggo per scrivere due note, e quando torno a guardare scopro che ha trovato un compagno di giochi.
E' il momento di lasciare Hemis; i km sono tanti, devo trovare un posto dove dormire, e domani mi aspettano due altri monasteri. Eccoli qui.
Continua!