[Parte V – TAS-LHR. Il vero secondo volo peggiore della mia vita]
Il ritorno, così come l’andata, avviene su direttrici diverse. Dancrane volerà a Roma, e di lì a Meeelano, mentre io prenderò il diretto per Londra. Il suo volo parte un’oretta prima del mio, e per fortuna non alle 5 AM come sembra la norma da queste parti; per cui, dopo una mattinata di relax, abbandoniamo la nostra stamberga e facciamo ritorno al Tashkent International il quale, sorpresa delle sorprese, è persino dotato di un’Arrivals lounge.
Il check-in per il volo di Roma è abbastanza incasinato, tra pugili che ci mettono una ventina di minuti a testa e una coppia di fanciulle che decide di ricostruire i rispettivi bagagli esattamente davanti al banco. L’addetto si spazientisce e chiama Dancrane lo stesso; in quel momento arriva anche il suo vicino di pianerottolo – o forse un amico della squadra di tressette, chi lo sa, che gli chiede d’imbarcarlo per il volo per Parigi, e vuoi non essere gentile? Mancano solo le capre e uno con un tamburello.
Il mio check-in apre poco dopo, e sono il primissimo a farlo. Purtroppo, la carta d’imbarco segna seq. 60 o giù di lì il che vuol dire, come all’andata, transiti. E volo probabilmente pieno. Infatti i controlli di sicurezza rivelano un truppone di persone in transito, inclusi alcuni che avevo visto all’andata. Mi domandavo perché chi volesse volare il martedì della settimana dopo Pasqua, e la risposta è “tutti”.
TAS airside fa pena. Al di là dell’infrastruttura ai limiti, ci sono gli annunci più rumorosi del mondo, sedici per 4 voli, tutti fumano nelle latrine, i bar accettano solo som – che cerchiamo di disfarci con celerità – e in generale sembra che tutti siano al lavoro lì come alternativa alla detenzione.
Il panorama offre la vista dell’intera flotta di Dreamliner di questa incredibile, meravigliosa compagnia:
il lavoro ferve:
nel frattempo Wilmer passa col tratùr per portare il tubo del concimatore all’altro campo di bietole.
Ci consoliamo con un’ultima uzCarlsberg, poi è il momento per Gian di andarsene. Lo guardo con somma invidia mentre il suo volo, caricata a malapena una cinquantina di persone, apre e chiude con buon anticipo.
C’è pure una lounge.
Nel frattempo, il mio volo dovrebbe partire alle 16.20, imbarco ore 15.50. Verso le 15.45, senza fretta, mi piazzo nei paraggi del corridoio da cui si dovrebbe, teoricamente, accedere al gate. Tutti gli altri hanno avuto la medesima idea. Una compagnia di 200 anime si mette più o meno in coda tra bambini che piangono, grida, telefoni e in generale casino. Stessa tipologia di clientela dell’andata, e volo verosimilmente pieno. Gioia e tripudio.
Passa il tempo, si fanno le 15.50, le 16.00, le 16.10, le 16.15, le 16.20… niente. Alla fine, alle 16.30, arrivano tre addette, aprono la porta e scendono, continuando bellamente a chiacchierare. La porta rimane aperta; che si fa? Che non si fa? Le seguiamo.
Si forma una coda davanti al gate, e anche li un bel capannello di persone – le tre addette, quello in divisa mimetica, quello in divisa da poliziotto, quello in divisa blu – discutono di teoria delle stringhe e quantum gravity. Sto leggendo il libro di Rovelli e mi domando se offrire un’opinione, ma decido di evitare. Ad un certo punto, dopo tanto conversare, si ricordano che è ora di imbarcare e decidono – letteralmente – di prenderci a spintoni per farci andare giù per la jetty il più velocemente possibile. Questo è uno dei motivi per cui le compagnie aeree non dovrebbero essere di Stato.
Comunque sia, gli interni sono quelli nuovi…
Peccato che il pitch sia dia-bo-li-co. Pure peggio di quello con gl’interni vecchi. E vorrei ben vedere, caricano 270 cristiani su questo aereo; per fare una comparazione, i 763 JAL domestici, ad alta densità, ne portano quasi una ventina di meno. Sono letteralmente incastrato nel sedile.
Bill Bryson aveva una teoria in base alla quale lui era costretto, per sempre, a passare del tempo assieme agli esseri umani più cretini del circondario. La mia teoria – sempre verificata! – è che se il volo è lungo o scomodo avrò il vicino di posto più grosso possibile. Per fare un esempio, su un volo pieno solo di pigmei, il mio vicino sarà Shaquille O’Neal. La teoria – dovrei chiamarla assioma, dai – non tradisce nemmeno stavolta. Arriva un gruppone di turisti del Lancashire di origine bengalese, che occupa l’intera cabina posteriore dell’aereo; io non so quanta Ovomaltina gli abbiano dato da bambini, ma il più nano è alto come me, 1,85. E ovviamente il mio vicino è quello due metri per 130 kg. Ottimo.
Per grazia del Signore alla fine decolliamo. Ecco Tashkent in tutto il suo splendore.
Noterete i finestrini luridi. Ricordandomi del consiglio del buon I-DAVE, prima dell’arrivo degli Harlem Globetrotters avevo usato le mie salviette umide, le mitiche Boots (£1 a pacco, profumo cetriolo, mica pizza & fichi) per pulire il vetro. Peccato che il problema sia l’esterno; il 767 è letteralmente coperto di fango e polvere, che in crociera si cristalizzeranno in un bel pastrocchio che renderà fotografare impossibile. Non so quanto importi, visto che il primo messaggio della gentile donzella di servizio sarà un perentorio
”No photo no video!”. Anche lei, come le colleghe all’andata, ha l’aria di trovare il suo lavoro veramente eccitante e soddisfacente.
Il volo è uno schifo. Al di là dello spazio, l’IFE contiene
solo commedie sovietiche o uzbeke, e l’atmosfera a bordo è quella del bus scolastico in gita, quando la prima bottiglia di vodka marca Selex è già stata svuotata e si pianifica la razzia all’Autogrill (tutta roba sentita dire, mai fatta, ero un bravo ragazzo io! …), se non fosse che i dirimpettai sono tutti musulmani. Comunque ci sono grida, strepiti, urla, gente che si parla dalla fila 30 alla 46, uomini che ci provano con qualsiasi donna a disposizione a prescindere da età, status coniugale e numero di operazioni per la ricostruzione dell’anca. Il mio stupore viene intercettato dal dirimpettaio, al quale dico
”Credevo foste religiosi.” “Si ma anche a noi piace la f*ga” è la risposta.
L’unica distrazione, e motivo principale per avere il finestrino, è il mar d’Aral. Non pensavo che l’avrei rivisto, e invece eccolo qui.
O meglio. La mappa dice che siamo qui, sulla spiaggia.
Ma se guardo fuori…
Nulla. Nulla di nulla. Credevo che qualcosa, col disgelo, si vedesse, nell’ex Mare orientale, e invece… niente. La dimensione del danno derivante dall’incuria sovietica, e dal menefreghismo uzbeko, è devastante.
Poi, però.. ecco una visione che mi fa sorridere. Vi chiedo veramente scusa per le foto, sono penose, ma ci tenevo a metterle. Vi ricordate del mio TR dell’anno scorso, quello del North Aral sea? Eccolo, è lì. La riva a nord è dove sono stato, è bello rivederlo. Si intravede anche la diga di Kokaral. Ancora, mi scuso per le foto.
Salutato l’Aral, il viaggio continua. Il cibo arriva salutato dalla signorina al carrello che procede abbaiando
”Muslim? Muslim?”, suppongo per trovare gli special meal. Divertentissimo il siparietto quando lo chiede anche ai Sikh col turbante e la barbazza, ma pazienza. Confermo di non esserlo, e ricevo quanto segue. Il mio vicino, lui invero musulmano, riceve qualcosa che è esattamente lo stesso. Ho studiato dalle suore e quindi mangio senza troppi problemi, ma il gusto è pari all’attrattività del piatto.
Sistemato il ‘cibo’, non resta altro da fare se non aspettare, e sopportare. La Russia meridionale è ancora in modalità invernale, col Volga completamente congelato:
Dopodiché il cielo si rannuvola, e rimane così fino all’arrivo. Siamo al T4, per cui taxiing eterno fino al terminal, con tutti in piedi in corridoio. Esco ripromettendomi di non salire mai più a bordo e mi trovo quasi a riabbracciare la Piccadilly Line sulla tratta verso casa.
Qui finisce la mia versione degli eventi, spero che Dancrane aggiungerà la sua; da parte mia, grazie mille per aver letto tutto ‘sto pippone, spero che vi sia piaciuto quanto a me. Tolti gli aerei, è stato un viaggio fantastico. Grazie anche a Dancrane per essere venuto e avermi sopportato, da solo sarebbe stato molto meno divertente.
Come disse Enrico la Talpa,
That’s all, bifolks!