[OT Parte 33 1/3 – Aa partita]
Diamo un’ulteriore
spallata [cit., e voglio vedere se non rimpiangerete le citazioni farlocche di Volo] a questo TR con l’ultimo OT bukhariota.
Il buon Dancrane menzionava poc’anzi lo Zindan. Dopo due tentativi infruttuosi ripesco Google Maps, in hotel, per cercare meglio la prigione. Bene, da qualche tempo Google ha preso l’abitudine di inserire, nelle mappe, eventi previsti per quella giornata. Quel fatidico giovedì, a fianco di uno dei due stadi della città, appare la scritta
BUXORO FC – PAKHTAKOR 18.00. Uno sfidone nella parte alta dell’Uzbek Superleague, amici e vicini. La discussione ferve per ben due minuti, e la decisione è presa. Andiamo allo stadio.
Google indica, come luogo del misfatto, ciò che invece risulta essere la Polisportiva Bukharese, ma è un errore di poco conto. Il tempo di camminare lungo due vialoni, nella parte della città costruita dai sovietici, e siamo qui:
L’atmosfera è quella delle grandi occasioni, il pubblico è di classe. Gli unici ad essersi lavati nelle ultime due settimane siamo io e Dancrane. Ci precipitiamo in biglietteria, dove ci accaparriamo due biglietti, prezzo 6000 sum. 60 centesimi.
I controlli ai tornelli sono gestiti sia dalla polizia normale che da quella militare, e un cartello mostra, minaccioso, divieto di fotografia, ombrelli, zaini e altre cose più o meno intuibili. Noi abbiamo una macchina fotografica (mia), zaino (sempre mio) e il telescopio Hubble di Dancrane. Menzioniamo l’essere turisti, ed italiani, ed è subito
”Waaa, Italia! Toto Cotugno!” e siamo dentro.
Delusi dalla mancanza del venditore di magliette e sciarpe (s’è messo a far freddino, e andare allo stadio senza sciarpa da arrotolarsi in faccia in funzione anti-Digos mette Dancrane a disagio), fotografiamo un manipolo di eroi che, a quanto pare, ha tutto l’occorrente. In men che non si dica veniamo notati e, a differenza di quanto succederebbe di norma in Italia (craniate in faccia, setti nasali spappolati, coltellate nei reni e schifìo generalizzato) siamo invitati nella versione locale della Fossa dei Leoni, della Maratona, insomma fate voi. Soltanto non è in curva ma, invece, a metà campo, settore distinti. Qui si trattano bene.
Il nostro arrivo, nel settore degli ultras, è un po’ come se il Papa, Ligabue e Sabrina Salerno si facessero trovare in tribuna per una partita del Sassuolo. La gioia è incontenibile, tutti – ma dico tutti – si fanno fare selfies, tutti vogliono sapere di dove siamo, e tutti immediatamente abbandonano il tifo per la Juve per abbracciare il Toro e il Gallo suo profeta. Bravi ragazzi. Poco a poco lo stadio si riempie grossomodo a metà; saranno 15.700 paganti, il massimo di questa giornata di campionato.
Foto Dancrane
Foto Dancrane
Foto Dancrane
Foto Dancrane
La terna arbitrale, nel frattempo, si scalda.
I nostri beniamini omaggiano la c… i distinti.
Foto Dancrane
Pasquale è pronto ad accalappiarsi il ghiotto mercato sportivo bukhariota.
Foto Dancrane
Il maxischermo ricorda il divieto di fumare, bere Amaro Robur dei Frati Carmelitani Scalzi e l’uso di prodotti Herbalife. Dancrane, ovviamente, è in modalità ras della Fossa e si accende prontamente una Diana blu.
Foto Dancrane
Con lo spettacolo dei bambini che sventolano lo stemmone della Super League, il match ha inizio.
Foto Dancrane.
Devo ammettere un certo nervosismo; il Bukhara è una squadra operaia, fatta di gente del posto; il Pakhtakor, uzbeko per
Raccoglitori di Cotone, di agricolo ha ben poco; il loro stadio è schiaffato giusto dietro alla piazza principale di Tashkent; hanno vinto il campionato nove volte tra il 2001 e l’anno scorso; hanno in rosa un portoghese, un brasiliano, un serbo e un australiano. Il più internazionale del Bukhara dev’essere il numero 8 che, a guardarlo in faccia, credo abbia fatto qualche scippo alla stazione di Marghera prima di beccarsi il foglio di via. È una sfida impari.
Infatti l’inizio sembra darmi ragione. Il Bukhara è schiacciato nella sua metà campo, impotente contro le scorribande del Pakhtakor. I giocatori in maglia bianca discendono lungo le fasce come unni, scaraventando palloni in mezzo come se piovessero; la porta del Bukhara rimane inviolata solo grazie al sacrificio dei difensori (qui sotto un caduto) e, in definitiva, all’eminente incapacità dei giocatori del Tashkent. Sembra che, tolti uno o due, abbiano tutti due piedi sinistri.
Foto Dancrane
Il Bukhara prova a creare occasioni, sfruttando il sempre efficace modulo ViP (Viva il Parroco) ma i nostri sono, se possibile, ancora più scarponi dei giallo-bianco-blu. Inizio a pensare che il Cervia di Ciccio Graziani potrebbe facilmente farsi il campionato, mentre un ispiratissimo tentativo del Bukhara, su punizione, finisce in nulla.
Foto Dancrane
Si accendono le luci, e il tifo rimane indiavolato. A guidare la claque è il manipolo di eroi di cui sopra, aiutati da altri valorosi. I tamburi rumoreggiano, i cori partono, si alza anche un tentativo di ola, e le gloriose bandiere del Bukhara garriscono nella sera uzbeka.
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Foto Dancrane
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All’improvviso, disastro. Calcio d’angolo da sinistra. Il portiere, Amanov, va a margherite, sovrastato di testa dall’australiano Rostyn, che effettivamente potrebbe fare il corazziere. Sarebbe praticamente gol, se non fosse per la provvidenziale capoccia di un difensore che, solo, difende la porta (minuto 1.26 degli highlights qui sotto). Il pallone rimbalza in area, Amanov prova a smanacciare, fa un disastro, lascia perdere, Goncalves – il centravanti del Tashkent, guineano naturalizzato portoghese – scalcia verso un compagno, uno del Bukhara, alla disperata, si ricorda di aver visto Ronaldinho fare il
Tiro del Cobra su
FIFA street football e ci prova, combinando un altro disastro. Goncalves si avventa sul pallone; il 10 del Bukhara, Salomov, prova a fare lo stesso, tirando una scalciata da cavallo che, manco a dirlo, prende in pieno Goncalves che va giù. Rigore.
Lo stadio erutta, anche se con moderazione – qui uno sguardo storto del milite è sufficiente ad ammutolire il più sanguigno degli ultrà, il DASPO da queste parti lo amministra il KGB – ma non c’è niente da fare. Sul dischetto c’è Goncalves. Io e il mio vicino di posto, da me soprannominato Mimì metallurgico, non riusciamo a guardare. Dancrane, invece, veterano di mille battaglie e unico ad aver visto l’Italia sollevare tutte e quattro le coppe del mondo, fotografa.
Amanov si sbraccia come un gabbiano. Goncalves è una statua. Rincorsa.
Foto Dancrane
La tensione è troppa. Tiro..
…Alto!
Goncalves ha piantato una zappata di quelle meravigliose, i punti della trasformazione sarebbero suoi se solo fossimo a rugby. Lo stadio esulta, Mimì ed io ci abbracciamo come fratelli ritrovati, i
”kitammuort” volano come promesse a un comizio della Lega.
Il Pakhtakor è sgonfio, e il vento soffia forte nelle vele della squadra di casa. Un paio di occasioni vengono buttate via in malo modo. Finché, intorno al 42mo, Omonov non guizza lungo la fascia, portandosi dietro tre del Pakhtakor. Gli schemi e le marcature, posto che se le siano mai studiate, finiscono nella tazza del WC, tutti si scapicollano dietro a Omonov, lasciando Quttiboev praticamente solo. Omonov, con l’unica finezza che mi riesce di vedere in tutto il match, scodella il pallone in quella zona di area, larga quanto il bassopiano sarmatico, dove sta Quttiboev tutto solo. Una rasoiata, ed è il momento di citare Auriemma. Si gonfia la rete.
È il delirio. Mimì si mette d’impegno a cercare di sfondarmi la cassa toracica. Un suo compare gli dà una mano. Da sopra piove gente. Da tre file sotto il capo ultrà con la bandana, quello che avevamo soprannominato “Apocalypto” viste le sembianze molto mesoamericane, si catapulta tra me e Dancrane e ci stritola entrambi. Grida in diverse lingue e svariati dialetti si perdono nel casino. Puzza ovunque.
L’intervallo arriva sulle ali dell’entusiasmo e, al primo della ripresa, è evidente che il Pakhtakor ha già la testa sul bus. A graziarli è sempre l’incapacità estrema dei nostri di correre assieme a un pallone, ma sugli spalti non sembra importare molto. I più si pitturano la faccia, il tambureggiamento continua imperterrito come in
Cuore di tenebra, Dancrane fuma a catena e tutti sembrano contenti.
I primi crampi iniziano a farsi vedere, assieme a scene di dolore cui non assistevo dai tempi in cui sotto casa mia venivano giocate le epiche triangolari Romania-Perù-Calabria.
C’è giusto il tempo per un ultimo brivido: Lobanov, il portiere del Pakhtakor, sta passeggiando sulla trequarti quando riceve un retropassaggio. Pressato si esibisce in un’apertura che persino David Seaman avrebbe trovato goffa. Il centravanti del Bukhara intercetta, lo scarta, poi apre al collega che, a porta sguarnita, riesce a schiantare il pallone dritto dritto negli zebedei del disperato difensore del Pakhtakor che, anteponendo la squadra ai suoi desideri riproduttivi, riesce ad evitare l’umiliazione e a Lobanov un giusto carico di nerbate una volta tornati in hotel. Di sicuro gli schiaffi con l’asciugamano bagnato non glieli leverà nessuno.
Il finale è un trionfo. Concludiamo con una celebrazione alla nazionale islandese, salutiamo i nuovi amici e torniamo, lentamente, tra le vie buie della zona ex-ebraica, verso l’hotel.
Stavolta l’OT di Bukhara è veramente finito; a breve si torna a volare.