[TR] – I diari della bicicletta: alla ricerca di gravel.


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Era nato come passatempo, un modo per rimettersi in forma; la bilancia che segnala troppi chili, 8200 che mi dice “ti sei incinghialito” e l’improvvisa consapevolezza del bisogno di tornare al ciclismo. A febbraio 2021 compro una bici qualunque – letteralmente: entro in un negozio, vedo una bici che mi piace, dico “quella” e me ne vado – e inizio a macinare km. Duemila nel 2021, il doppio l’anno successivo, e per quest’anno me ne prefiggo cinquemila. Nel frattempo cambio due lavori, il peso scende a un livello un po’ meno da suino setoloso e, soprattutto, scopro la sub-cultura ciclistica che più mi aggrada: il gravel.

Esistono diversi modi di concepire il velocipede: c’è la versione urbana, fatta di single speed, fixies e freni solo perchè si deve. Ci sono poi gli animali da strada, quelli con le Pinarello da milaeuro, il Garmin e i pedali clipless. Poi ci sono anche i malati della MTB, gente cui – guardate i video di Kilian Bron sul Tubo per avere un’idea – puzza la vita. Infine c’è il gravel. Quel mondo teso alla ricerca spasmodica degli sterrati, in cui le ruote si fanno larghe, il vestiario più alla carlona, le avventure sono inevitabilmente viaggi della speranza e, per dirla come un amico, le possibilità di ricevere una schioppettata calibro 12 s’impennano vertiginosamente.

In questo TR non troverete voli lunghissimi, luoghi esotici, vulcani o chissà cos’altro. Non sarà nemmeno un TR rapido, dato che la prima puntata risale a marzo e la seconda è ancora da fare. Le destinazioni sono casalinghe – Toscana, Belgio – e i mezzi tutt’altro che raffinati: un paio di voli in economy, autonoleggi, treni, persino il ferribboat come diceva Roy Paci. Ci sarebbe da chiedersi perchè scriverlo, questo TR, e soprattutto perchè leggerlo. La risposta che posso dare è che non sempre si deve andar lontano per provare emozioni forti; a volte bastano una bici e una strada senza asfalto.
 

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I. L’Eroica.

Marzo 2023. Auto-fomentatosi su Komoot e ascoltando i podcast di gente come Lael Wilcox, Sofiane Sehili e Abdullah Zeinab, il vostro si appresta a fare qualcosa che gli esperti chiamano from zero to hero. Prendere la propria bici – una quasi proletaria Specialized Diverge Comp E5 con telaio in alluminio, cambio SRAM a 11 rapporti e un delicato color granata – volare in Italia e cimentarsi in una personalissima riedizione del circuito classico dell’Eroica, modificato per aumentare il gravel più possibile.

I chilometri sono, stando alla traccia del gps, 143 e spicci. I metri di dislivello sono 2961. Fino a quel momento il giro più lungo mai effettuato dal ciclopirla che vi scrive era stato di 70km, a Maiorca. E, vivendo a Londra, 2900 metri di dislivello li faccio in un anno. Seduto alla scrivania di casa, pastrugnando l’interfaccia grafica, sembrava tutto facile. La notte prima della partenza, mentre seguo il tutorial di Youtube su come infilare la mia povera Specialized nella Vergine di Norimberga chiamata “bike box”, il pensiero di aver fatto una ca**ta galattica si insinua nel mio cranio.


Del mattino dopo ricordo soltanto il vento. E quell’accrocchio infernale, Bike Box Alan, maledetto Alan e chi me l’ha affittato al London Cycle Worshop di East Sheen. Immaginatevi un carrello della spesa di 26kg con una ruota che non gira bene e la stessa manovrabilità di un labrador che non vuole andare dove volete voi. Ci sono solo 300 metri a separarmi dalla stazione della metro ma vi posso assicurare che, una volta arrivato all’agognata banchina, ho scorso l’elenco dei santi fino alla Q di Quirico.


Abbandono con gioia l’immondo arnese nelle mani di un capace addetto e vado in ufficio a lavorare. Un numero abbondante di ore dopo sono di nuovo qua, al Terminal 5, dove la progenie dei Roomba ora è cresciuta e va in giro da sola a lustrare il granigliato dell’area partenze.


Passo i controlli di sicurezza, mangio un panino al triplo colesterolo da Pret-a-Manger e mi siedo vicino a un plotoncino di suore. Dopo poco è l’ora di imbarcare, destinazione Bologna.




Non ero mai stato a BLQ, e la sala arrivi del Marconi – dove siamo gentilmente depositati dopo un giro in Cobus – è una specie di tuffo nel passato. Finestrelle alte tipo stazione del bus, muri di cartongesso che ricordano il vecchio pronto soccorso di Biella, mattonelle bianche stile motorizzazione civile. Pubblicità di produttori di molle industriali. Dagli uffici della Finanza arriva l’eco di voci in calabrese e un profumo, tenue ma comunque presente, di sugo. I bagagli tardano ad arrivare ma i bolognesi non sono i bauscia di Leenate che sarebbero già sul piede di guerra. Due responsabili vendite, uno in arrivo da Parigi e l’altro sul mio volo, si incontrano e iniziano a chiaccherare. “Ma si vende più nulla su in Inghilterra?” fa uno. “Vendere vendi. Farli uscire dalla dogana è un’altra storia” risponde l’altro.


Alla fine escono anche le valigie e, ultima al nastro zero, quello dei fuori misura, arriva anche la mia bike box.


Prendo l’obelisco e mi scaravento all’Avis chè oramai sono le sette e mezza di sera. La signora al banco è ciarliera: “Le diamo il Tiguan, è bello grosso e di sicuro ci sta tutto dentro”. Rispondo come si deve, aaah oooh e parlapà, malgrado ignori totalmente cosa sia il Ti-coso. Non sapessi che è una macchina avrei pensato fosse un cocktail col guaranà e Stock 84.

Il Tiguan si rivela essere un SUV e in men che non si dica sono per strada, diretto verso Siena. Non capito spesso da queste parti, e quando mi succede sono solito prendere la Panoramica, ma oggi non c’è tempo da perdere. La direttissima è imballata, tre corsie di camion e auto che si avvitano a cavatappi giù nelle viscere degli Appennini, una gara a rotta di collo per arrivare al prossimo Autogrill prima che chiudano tutto e sparisca anche l’ultimo Camogli. Arrivo a Siena che sono le dieci passate, e la reception dell’hotel è chiusa. Su una busta, appiccicata con lo scotch sulla porta, leggo il mio nome. Dentro ci sono le chiavi e una mappa per la mia stanza. Sotto gli occhi dei due tedeschi di ordinanza trascino il mio masso erratico in stanza dove, per non saper nè leggere nè scrivere, mi metto a montare la bici. Alle 23 e 30 ho fatto tutto, o almeno credo, e cado in un sonno agitato.

 

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I.I L'eroica: continua

La partenza, stando a Strava, avviene il giorno dopo alla precisa ora delle 6.35. Dovevano essere le 6.30 ma non ho chiuso a sufficienza i dadi del manubrio e quindi devo dargli un altro giro di brugola e, già che ci siamo, vuoi non mettere su un altro goccio di lubrificante sulla catena?


Sono teso, non posso fare a meno di ammetterlo. Centoquarantatrè chilometri son tanti, mi dico. Ma l’unico modo di mangiare l’elefante è un morso alla volta, e lo stesso vale per giri in bici autoinflitti. Parto, tasche piene di barrette, acqua, chewables alla caffeina e quant’altro.


Seguo la traccia di Komoot attraverso una serie di villette e, poco dopo, sono fuori, nella campagna. Siena torreggia appollaiata su un crinale; di sotto, un mare di nebbia nasconde le colline circostanti. Pedalo a ritmo lento, riempiendomi gli occhi di questo panorama incredibile. E’ strano: non sono mai stato qui ma allo stesso modo mi sento a casa.






La strada è una provinciale, asfaltata e senza traffico. Poi, ad un certo punto, ecco un incrocio. Il cartello marrone, quello dei luoghi di interesse turistico, ha solo una parola in corsivo: L’Eroica. Giro, e tutto cambia. Sparisce il catrame; ecco il calcare, il pietrisco, la polvere bianca. La mia bici percepisce il cambio di terreno, sente la differenza, e mi sembra di volare. L’aria profuma di biancospino, c’è un venticello terso e le colline sono verdi come quelle d’Irlanda, solo meglio. Inizio a sorridere.


La strada non è una costruzione, è una linea dipinta col pennello su queste colline meravigliose. Salite improvvise, discese roboanti, falsopiani, curve veloci e pianori da cinema: c’è tutto. Intorno scorrono casolari millenari, oliveti, ciliegi in fiore, querce; sono da solo, e non potrei esser più contento.








E’ solo verso il chilometro 50 che mi rendo conto di una nuova funzione dell’app di Komoot. Lo schermo del mio iPhone 8 fa fatica a rivelare il profilo altimetrico dell’intera tratta, ma anche a questo livello macroscopico capisco che sto per avvicinarmi alla prima, vera, salita della tappa. E, infatti, appare un cartello ad indicare tornanti per i prossimi km e, soprattutto, una pendenza massima del 15%.


Scalo i rapporti fino a quello più comodo. Quando hai ancora 100 km da fare, e la tua esperienza in materia di tornanti è limitata a Box Hill (numero dei suddetti: 2), allora è meglio andare con umiltà. Testa bassa e serenità, mi dico; più Romano Prodi e meno Vingegaard sul Col de la Loze. Proseguo con calma da sufi e velocità da pollo zoppo ma, alla fine, emergo di fronte a un resort di quelli che costano 4 cifre a notte senza sentirmi distrutto.

Montalcino segue a breve distanza e lì ritrovo l’asfalto. Sono quasi le dieci di mattina ed è giunto il momento di considerare la situazione-cibo. Ho mangiato un po’ di pane stantio, del salame e una mezza tavoletta di cioccolato Novi prodotta per l’ARMIR nel 1942, le uniche provvigioni disponibili all’autogrill ieri sera. In saccoccia ho barrette Clif e delle gommine dal gusto infame: meglio trovare un bar.


Per strada c’è solo un pensionato su un’Ape furgonato e decido di seguirlo. A quest’ora, mi dico, potrà soltanto essere diretto al bar più vicino e – detto fatto – eccolo che s’infila dritto e sicuro nel parcheggio del circolo. Lo seguo a ruota e, di lì a due minuti, sono rifornito di cappuccino, succo, brioche alla crema e bicchiere d’acqua frizzante.


L’Eroica, in questo formato, segue un percorso vagamente a forma di 8 e sono oramai a metà strada. Dopo Montalcino la strada inizia a piegare verso nord e il paesaggio cambia impercettibilmente: le colline sono meno pronunciate, i boschi più radi. La terra sembra meno feconda e incontro alcuni poderi abbandonati. Sto fischiettando da qualche minuto e, preso dal buonumore, faccio qualcosa che non mi capita mai, ossia metter su un po’ di musica con l’altoparlante del telefono. Da ora in poi, associerò la Toscana con l’epica Blood and Sand / Milk And Endless Waters degli All Them Witches.




Di tanto in tanto capita che la strada bianchi incroci una grigia. In quei momenti, invero brevi, la dicotomia tra il mondo dei pedali e quello della combustione interna mi appare in tutta la sua forza. Di qui lentezza, il rotolare della ghiaia, il rumore del mio respiro; di lì il wrrzzzz dei turbo, il rombo degli autoarticolati, la velocità e il puzzo degli scarichi. Qui mi capita di vedere un fagiano attraversare la strada; lì, invece, giace la carcassa spiaccicata di un istrice.

L’asfalto è solo una parentesi, un breve tratto da percorrere a chiappe strette e collo ritratto nelle spalle, a mò di testuggine, prima di ritornare nell’abbraccio degli sterrati della provincia di Siena. E, infatti, ecco che dopo poco sono di nuovo alle prese con nuove salite sulla via per Asciano. L’ora di pranzo è passata da un po’, Asciano sembra distare 20 km da almeno 30, e davanti a me c’è - per la prima volta – un altro ciclista.




Erik è, ovviamente, olandese. A mia esperienza sono solo loro – e i loro cugini fiamminghi – a viaggiare in bicicletta. Se il bikepacking fosse una religione i Paesi Bassi sarebbero una teocrazia dedicata al culto del velocipite e della borsa da bici. Il nostro, approfittando di un cambio di lavoro, ha lasciato moglie e figlie all’Aia, ha caricato la Ribble e le bisacce su un 737 di KLM per Pisa e poi ha iniziato a pedalare. Ora è diretto verso Firenze, ritmo lento da profeta, occhiali rotondi con montatura tartaruga e, sotto il caschetto, una zazzera sale-pepe incolta. Dategli una giacca e cravatta e sembrebbe un delegato al Congresso di Solvay assieme a Bohr.


Il buon Erik è a corto d’acqua e divido con lui la mia ultima borraccia. Proseguiamo a passo tranquillo fino ad Asciano, dove la fratellanza ciclistica ci consiglia un esercizio a metà tra l’alimentari, il ferramenta e il baretto. Il menu include qualsiasi tipo di panino prosciutto e formaggio a patto di voler il pecorino – pardon, pehorino – caffè e bottiglie di acqua da due litri. Chiedo di pagare con la carta, scusandomi con la signora al banco; la sua risposta è l’ennesima ragione per amare la Toscana: “Non si preoccupi, l’unico rompihoglioni è Salvini”.

La confraternita italo-olandese si interrompe fuori Asciano, precisamente al camposanto. Erik tira dritto, io prendo a destra, su per una riva ripiderrima. Mancano oramai 30 km e la sosta al baretto mi ha ritemprato: le gambe sono di nuovo cariche di energia, la mente è lucida, niente fa male. Nota per il futuro: cotto pecorino e pane integrale battono qualsiasi energy chewable.



Il sole sta calando, ora, e la luce è così morbida che sembra di essere stati pucciati dentro a un vasetto di miele. Mi passa una comitiva in quad, turisti con cuffie da doccia sotto ai caschi per proteggere le acconciature; poi un paio di enduristi. C’è anche il momento per quello che un amico definisce il “Komoot cock-up”, ossia quella deviazione che, sullo schermo, sembra perfetta ma che è tutto tranne che. Finisco in un tratturo tra i campi, fango indurito dalle ruote di un trattore; a seguire guado di un rivo, breve hike-a-bike nel fango, inseguimento da parte di un cane da pastore e, alla fine, ritorno sulla strada maestra.

Mancano 10 chilometri, ormai, e se mi metto di buzzo buono posso arrivare prima che chiuda la Coop. La mia mente è agitata da sogni di gloria: una parata in stile Pyongyang di bottiglie di Menabrea da 66, focaccine rotonde e fette quadrate di pizza, una fiumana di glutine e carboidrati. Ma l’Eroica si chiama così per un motivo, e il suo slogan è La bellezza della fatica e il gusto dell’impresa per un motivo.

Appaiono i cipressi, in file parallele. Alberi da cimitero, almeno dalle mie parti. Poi c’è il ciclista, che scende in direzione opposta alla mia, che mi grida incoraggiamenti. Poi due tizi in moto che fanno lo stesso. Non mi stanno perculando, sanno cosa c’è tra me e Siena, tra me e la Coop.


Il cartello dice solo 14%, ma basta e avanza. Stavolta non c’è tattica, non c’è Romano Prodi a suggerire prudenza. L’arrivo è vicino, la volata non è solo necessaria: è d’obbligo. Spingo in piedi sui pedali, pestando forte in barba ai muscoli che s’induriscono e all’acido lattico. Ansimando come un carlino emergo in cima al poggio e vedo un cartello: Monte Sante Marie. Una delle salite più epiche del Gran Fondo Strade Bianche UCI, piazzato strategicamente alla fine del mio percorso tipo “mostro finale” in Duke Nukem 3D.

Il resto, come si dice, è storia. Arrivo a Siena dopo quasi nove ore di pedalata, a una media di 16,6 km/h per percorrere i fatidici 143 km e 2961 metri di dislivello. Il vialetto d’accesso dell’hotel è vuoto, una locomotiva delle FS scalda il diesel sotto di me; non c’è nessuno, ma sollevo lo stesso la mia bici in aria per celebrare di fronte a una platea di zero persone. Non ho vinto nulla, non ho rotto nessun record, a nessuno gliene frega niente... ma a me si. E la Coop è ancora aperta.

 

vipero

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Io lo faccio da quando ho scoperto che non potevo andare in giro per boschi con la moto, il giorno che emigrai quassù. Ho iniziato con una bici che mi diedero come resto dopo la spesa al super: "scusa, non ho spiccioli. Prendi questa".
Ma sogno sempre di girare con una TT600 del 1986. E poi ne dico troppe a quelli che incontro per strada guidando, non vorrei essere scambiato per uno di loro.
 
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I.III Il ritorno

Il giorno dopo, domenica, la giornata è uggiosa. Faccio una passeggiata in centro a Siena, un caffè nella piazza del Palio, e quando si fa ora di ripartire arrivano le prime gocce di pioggia. Prendo la panoramica, stavolta, e sono l’unico a viaggiare attraverso questo tratto di Appennini che, tra nuvole basse e nebbia, sembrano quasi le Cascades del Nord-ovest Pacifico.




A Bologna il tempo è ancora decente e sono il primo a fare check-in. La signora al banco mi raccomanda di andar giù, in fondo all’aerostazione, che l’accettazione dei colli ingombranti è li. Infatti, nascosta dietro a totem informativi di compagnie che non volano più da queste parti – tipo S7 – ecco il nastro dei colli fuori misura. Passo la bag tag sul lettore, piazzo il morto sul nastro e, seguendo le istruzioni della signora al check-in, alzo la cornetta di un telefono appeso alla parete li vicino. A rispondermi è uno che, giuro, suona esattamente come Gino Cervi nei panni del Bottazzi di guareschiana memoria. Peppone fa partire il nastro, e il mio catafalco sparisce nelle viscere del Marconi.




Dicevo all’andata che gli arrivi del BLQ mi davano una sensazione di stazione dei bus, e va detto che anche le partenze non son da meno. La zona extra-Schengen, poi, son quattro sedili e un baretto. Prendo una Peroni, mi metto in un angolo e, mentre il sole tramonta e la pioggia inizia a battere le vetrate, si fa l’ora del boarding.


Scendiamo le scale fino al piano strada, e il nostro A321 è lì, dall’altro lato della carreggiata. Ma non possiamo esimerci dal Cobus e così ci infiliamo a bordo per l’epico tragitto. Il volo è pieno in ogni ordine di posto e, a giudicare dal resto dei passeggeri, sembra che ci sia stata una convention di coiffeur o di venditori di bigodini. Sono in uscita di emergenza; metto un podcast in cuffia per filtrare il rumore, stendo le gambe e... mi sveglio all’arrivo.






Cammino lentamente vero la sala bagagli; è domenica sera, c’è un posticipo importante di Premier League e non immagino che la mia bici arrivi in fretta. Arrivo con tutta calma e, dalla distanza, vedo un addetto apparire da un pertugio, col mio sarcofago a rimorchio. Lo piazza nel recinto giallo dei bagagli fuori misura e, un secondo dopo, il nastro inizia a muoversi e le prime valigie iniziano ad uscire. A volte i miracoli succedono.


Continua a inizio settembre con la seconda parte
 

marksimon

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Cameri (NO)
Ci sarebbe da chiedersi perchè scriverlo, questo TR, e soprattutto perchè leggerlo. La risposta che posso dare è che non sempre si deve andar lontano per provare emozioni forti; a volte bastano una bici e una strada senza asfalto.
Bastano queste duefrasi per capire che non sarà assolutamente banale.
Mi metto comodo ed inizio la lettura.

ciao
Marco
 

londonfog

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Londra
Prima di tutto, complimenti per come scrivi e per l'eroica. Io ho appena cominciato ad usare la bicicletta dopo una pausa piu' che trentennale e la "salita" da Towe Hill a Aldgate mi fa venire il fiatone! (Tieni presente che uso le Boris bikes).

Vuoi vedere che quello che suona come Gino Cervi quando faceva Peppone e' ai bagagli speciali a BLQ da piu' di vent'anni? Quando caricavo le carrozzine (tieni presente che il centro di costo numero quattro e' nato l'1/1/2000!) dall'altra parte del telefono c'era uno che aveva una voce che sembrava proprio Gino Cervi.
 

Seaking

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Perché leggerlo? Perché non se ne può fare a meno di racconti così!

Hai anche una fantasia incredibile a descrivere oggetti o cose da mangiare usando termini o analogie molto divertenti, tipo il Novi dell’ARMIR del 1942 o - ancora meglio - il cocktail con guarana e Stock 84!

Ma come ti vengono?
 

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Ma sogno sempre di girare con una TT600 del 1986. E poi ne dico troppe a quelli che incontro per strada guidando, non vorrei essere scambiato per uno di loro.
Pentiti!!

Bastano queste duefrasi per capire che non sarà assolutamente banale.
Mi metto comodo ed inizio la lettura.

ciao
Marco
Spero non ti sia addormentato :)

Prima di tutto, complimenti per come scrivi e per l'eroica. Io ho appena cominciato ad usare la bicicletta dopo una pausa piu' che trentennale e la "salita" da Towe Hill a Aldgate mi fa venire il fiatone! (Tieni presente che uso le Boris bikes).

Vuoi vedere che quello che suona come Gino Cervi quando faceva Peppone e' ai bagagli speciali a BLQ da piu' di vent'anni? Quando caricavo le carrozzine (tieni presente che il centro di costo numero quattro e' nato l'1/1/2000!) dall'altra parte del telefono c'era uno che aveva una voce che sembrava proprio Gino Cervi.
Beh, le Boris bikes sono fatte in ghisa e ferro battuto... Potrebbe essere che Peppone sia lo stesso.

Perché leggerlo? Perché non se ne può fare a meno di racconti così!

Hai anche una fantasia incredibile a descrivere oggetti o cose da mangiare usando termini o analogie molto divertenti, tipo il Novi dell’ARMIR del 1942 o - ancora meglio - il cocktail con guarana e Stock 84!

Ma come ti vengono?
Allora, quel cioccolato della Novi era veramente d'epoca. Lo apro e letteralmente si sbriciola. Era oramai polvere, tipo mummia egizia caduta fuori dal sarcofago. Grazie per leggere!

Il tuo nome è una garanzia per, questo non è da meno :)
Grazie :)
 

m.ridoni

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Complimenti, splendido giro! Le mie due ruote sono col motore ma mi è venuta comunque un po' di acquolina in bocca a vedere i panorami :)
 

Challenger

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Complimenti per il TR e la sfacchinata!
Ho in programma di visitare Siena e dintorni a inizio ottobre (in auto pero') quando sono in Italia per le ferie... non vedo l'ora!
 

Flyfan

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LJU
Originale e bel TR, bravo come sempre. Detto da uno che pensa che l’uso migliore della bicicletta sia sul gancio in garage, esattamente dove giace la mia da quando ho concluso che è un attrezzo di satana da non toccare mai più, è un complimento credimi.
 

Nonno Salt

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Ho un passato da "quelli che gli puzza la vita", ma raccontato così mi piace anche il gravel. Corro a comprare il cancello!
 

I-DAVE

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a Taiwan, nel cuore e nella mente
E vabbè. Aerei, treni, minivan o bici: viene sempre fuori qualcosa di bello quando lo scrivi tu. Potresti fare un TR sul pedalò a Riccione e sarebbe un capolavoro comunque.

Invece che farci aspettare fino a settembre, fatti un Hounslow > Milton Keys e facci sognare :D

DaV
 
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TR veramente stupendo, come al solito aggiungerei. Che posti!
Grazie Nicola. Infatti

Complimenti, splendido giro! Le mie due ruote sono col motore ma mi è venuta comunque un po' di acquolina in bocca a vedere i panorami :)
Beh, penso che le strade bianche siano buone anche per gli enduristi…

Bellissime foto! Il racconto poi, non ne parliamo!
Gentilissimo :)

Complimenti per il TR e la sfacchinata!
Ho in programma di visitare Siena e dintorni a inizio ottobre (in auto pero') quando sono in Italia per le ferie... non vedo l'ora!
Vai in Val d’Orcia se puoi


Originale e bel TR, bravo come sempre. Detto da uno che pensa che l’uso migliore della bicicletta sia sul gancio in garage, esattamente dove giace la mia da quando ho concluso che è un attrezzo di satana da non toccare mai più, è un complimento credimi.
Ricrediti, come dice lo slogan dell

Ho un passato da "quelli che gli puzza la vita", ma raccontato così mi piace anche il gravel. Corro a comprare il cancello!



Sempre un piacere leggere i tuoi TR, a prescindere dal luogo o mezzo di trasporto!
Grazie Jambock! Io sto aspettando il tuo su Pratica d

E vabbè. Aerei, treni, minivan o bici: viene sempre fuori qualcosa di bello quando lo scrivi tu. Potresti fare un TR sul pedalò a Riccione e sarebbe un capolavoro comunque.

Invece che farci aspettare fino a settembre, fatti un Hounslow > Milton Keys e facci sognare :D

DaV
gentilissimo! Prima o poi proverò il vero accelerato del degrado, il bus 81 Hounslow-Slough!
 

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Purtroppo la seconda parte non si materializzera', a causa di un filotto di sfighe mica da ridere. Dovevo andare in Belgio per partecipare a un evento gravel, volando inizialmente con Brussels Airlines. Purtroppo SN riorganizza gli operativi, e gli orari vanno a ramengo. Ottengo un rimborso, e decido di fare un giro cosi: Casa-Victoria in bici, poi Victoria-Dover in treno, Dover-Dunkerque in traghetto, Dunkerque-Oudenaarde bici. Bene, c'e' l'ennesimo sciopero dei treni in UK, e pure quella non va.

Tra l'altro in questi ultimi mesi mi sono saltati due viaggi di lavoro a ORD e DEL per altri impegni di lavoro (tradotto: ad altri capitano problemi e a me tocca risolverli) e sono persino riuscito a venir rimbalzato da un LHR-LIN su staff travel.