Comincio la mia giornata a Damasco così. L’omelette, le verdure, il pane, il tè. C’è anche una pizza, metà margherita, metà al timo.
Mangio tutto, lascio solo i noccioli delle olive e qualche pezzo di pane. Nasuh, la guida, mi aveva detto che avremmo camminato molto, ho bisogno di parecchie calorie. Il centro storico, patrimonio mondiale dell’Umanità è abbastanza grande e se dobbiamo perderci tra le strade, meglio farlo a pancia piena. Quando Nasuh passa a prendermi in albergo, iniziamo la nostra passeggiata verso la famosa via recta. Iniziamo da qui, dall’arco di trionfo, che catturo in bianco e nero.
La via recta, decumano massimo della città romana, attraversa il cuore della città da est a ovest
Mi colpisce la tranquillità, l’ordine e la pulizia. C’è uno strano silenzio ma Nasuh, mi spiega che è presto. I negozi, i ristoranti sono ancora chiusi, la gente ancora dorme.
C’è anche tanto verde, tanti alberi e tutto incredibilmente tenuto ordinato.
Una cosa che noto è che tutte le case che affacciano sulla via principale sono o ristrutturate da poco o in ristrutturazione. Chiedo spiegazioni e Nasuh mi dice che il governo, sta facendo sforzi enormi per sistemare la parte più antica del centro e renderlo il gioiello che era una volta.
Facciamo un salto alla Cattedrale Mariamita
La struttura è immensa, la chiesa bella, c’è una targa commemorativa della visita di Giovanni Paolo II, qui c’è la sede del patriarcato di Antiochia ma non c’è praticamente nessuno. Ho fatto la foto durante la celebrazione, c’erano una decina di persone. L’ISIS qui non è arrivato ma i tanti non mussulmani sono scappati fino a quando hanno potuto e quelli che sono rimasti e che oggi continuano a pregare sono pochi, pochissimi.
Ritorniamo verso la via recta e proseguiamo. La Siria è e sarà un susseguirsi di riti ed usanze, alcune ancestrali, altre iniziate con le sanzioni, con l’embargo, con la guerra. Vengo colpito da una cosa, la gente fa la fila ai forni per prendere il pane, il khubz, poi corre al sole e lo stende dove capita per farlo seccare.
Ci sono due aspetti. Il primo è che questo è il pane dello stato, ogni cittadino può prendere dal forno una certa quantità di pane al giorno, il costo è calmierato. Il secondo è che il pane va a ruba e allora si fa una fila lunghissima
ed i forni pur di soddisfare la domanda continua non fanno in tempo a far raffreddare il pane prima di inserirlo nei sacchetti di plastica. Così la gente appena lo riceve, lo mette a raffreddare ed asciugare ovunque capiti per evitare che la condensa che si forma nei sacchetti, lo rovini. Anche questa è l’economia di guerra.
Sulla stessa strada venditori di rame e libri
Passeggiamo, parliamo, scherziamo ed il mio amico Nasuh, ex-guida del TCI, grande conoscitore della città comincia a rivelarsi un tipo con le giuste conoscenze. In parecchie occasioni il suo tesserino del Ministero del Turismo sarà una salvezza, in altre un lasciapassare. Giriamo in un vicolo, mi chiede di seguirlo, mi vuole mostrare una tipica casa siriana. È un ufficio comunale, all’ingresso ci bloccano, lui chiede alle guardie di chiamare uno. Questo arriva, loro si stringono le mani, noi entriamo. Che trattamento da vip.
Selfie di rito
L’interno è ricchissimo
Usciamo e ci dirigiamo verso il suq al-Hamidiyah, il mercato generale di epoca ottomana, all’interno della cinta muraria. All’ingresso quello che rimane del Tempio di Giove. Ci sono anche dei militari, non siriani. Un occhio attento può riconoscere targa e livrea del mezzo. In Siria, loro sono molto amati e fanno più o meno quello che vogliono.
Il mercato è spettacolare, c’è tanta gente, tra caffè, spezie, artigianato, gelati, vestiti e gioielli mi perdo nel fascino di un posto che è una sintesi perfetta del genere umano. Ci sono anche tanti bambini.
Entriamo nella zona coperta
Uno dei negozi piu particolari è la più antica gelateria della Siria, Bakdash.
All’interno c’è un rumore assordante. Il gelato è fatto a mano e refrigerato a gasolio. Si, proprio così, questo negozio assorbe troppa corrente e per fare il freddo ci sono i generatori. Mi sembra assurdo, ma la Siria del 2023 è un puzzle di storie assurde, ci si arrangia sempre, si trovano sempre soluzioni e si fanno sempre i conti con la dura realtà della guerra, anche se ormai la guerra non fa più il rumore delle bombe ma quello dei motori diesel.
Il gelato, unico gusto, latte e pistacchi
Vaghiamo ancora nel suq, faccio qualche altra foto
Questi non mancano mai
Camminiamo fino ad una bancarella che Nasuh mi indica e poi quasi scocciato esclama “Guarda dove siamo arrivati qui, andiamo sempre peggio, le donne non hanno più voglia di fare nulla!”. All’inizio non capisco. Poi insiste “Le zucchine già svuotate, i piselli già lavati, le melanzane già tagliate…cose da pazzi! Se tua moglie compra queste cose devi stare attento, significa che invece di cucinare deve fare altro” e mi fa il gesto delle corna.
Sorrido perché devo. Poi penso, questa è la condizione della donna qui. Le donne devono stare in casa, pensare alla cucina, ai figli e svuotare le zucchine. Se non lo fanno sono poco di buono.
Andiamo avanti.
Tra un negozio ed un altro penso a questo mercato e ad i suoi equivalenti odierni del Cairo, Istanbul, Tunisi, Teheran, Napoli ma anche di Seoul, Manila, Delhi…città che vivono allo stesso modo di suq e mercati che però il turismo, soprattutto quello di massa, ha trasformato in ricettacoli di paccottiglia cinese. Qui invece doveva essere così 15 anni fa, nella Siria dei 6 milioni di turisti all’anno. Guardandolo ora, sembra che guerra lo abbia riportato indietro nel tempo, ripulendolo. Questi stessi negozi probabilmente vendevano calamite da frigo, cartoline e piatti made in China. Ora per necessità, vendono cose che servono veramente alla gente del posto, piatti di rame, tabacco, farmaci, stoviglie, frutta, verdura. Spesso artigianato vero. La guerra si è portata via il superfluo.
Usciamo dal mercato, passeggiamo fino alla statua di Saladino a cavallo
Ritornando nelle mura, Nasuh mi propone di provare un hammam. Non me lo faccio ripetere due volte, ci infiliamo qui dentro
Dopo un’ora di vapore, saponi, acqua bollente e massaggio, siamo così. Io mi sento nuovo.
Esperienza incredibile, per quello che la città e soprattutto la Siria sono oggi, mai avrei pensato di potermi rilassare in un bagno termale nel pieno centro di Damasco.
Riemergiamo dall’hammam e la fame inizia a farsi sentire. Anche oggi il Ramadan lo facciamo domani e ci buttiamo in un ristorante che fa carne alla brace. Principalmente agnello e montone. Ci sono anche altre cose come hummus, baba ganush, insalate e kibbeh fatti a mano al momento.
Qui imparo un’altra storia siriana. Avevo già notato in giro, che ogni macelleria e ristorante all’ingresso aveva una o più carcasse di montoni. Tutti ovviamente pronti per essere tagliati a pezzi e venduti o cucinati. Le carcasse però tutte con gli attributi maschili in bella vista. Non avevo ben capito il motivo. Nasuh, proprio poco prima di mangiare mi spiega per bene la tradizione. Il montone maschio è quello saporito e quindi quando compri la sua carne vuoi essere sicuro che sia maschio, le macellerie allora si adattano. Inoltre, se uno vuole mangiare veramente bene, deve mangiare anche i coglioni, perché è un piatto squisito, una prelibatezza. Io mi fiderei anche sulla parola ma Nasuh ci tiene a farmeli mangiare e li ordina. Per assicurarsi che abbia capito, mi spiega con gesti inconfondibili, le parti che sto per ingerire. Io tiro fuori i miei di coglioni, assaggio, butto giu.
La consistenza è spugnosa, il sapore dolciastro. Butto giù un litro di ayran e disinfetto con i peperoncini sottaceto. Per fortuna, tranne quelli, il resto è delizioso, il tutto per meno di 10 USD in due.
Sono ormai le 16:00. Nasuh è visibilmente stanco ma l’abbuffata di coglioni di montone gli dà la forza per fare un altro giro. Passiamo ai lati della Grande Moschea degli Omayyadi che visiteremo l’ultimo giorno insieme al resto della ciurma. Per ora mi accontento di qualche foto alle mura esterne.
L’immensità della moschea è degna della grandezza dell’impero islamico che al tempo degli Omayydi si estendeva dalla Spagna alla Cina e di cui Damasco era la capitale.
La cosa ancora più sorprendente è che la moschea fu ricavata dalla cella centrale del Tempio di Giove che quindi doveva essere un tempio sconfinato.
I negozi nei dintorni iniziano a chiudere
È ora di salutare Nasuh. Credo che abbia proprio bisogno di riposarsi. Questa sera, anzi questa notte arriveranno gli altri tre e domani si riparte, in auto per il nord. Io rientro in albergo, lui a casa. Ci diamo appuntamento per le 9 di domani.
Tempo di lavarmi e sono operativo. Mi infilo in un taxi e mi faccio portare nella zona di Al-Midan. Arrivo giusto in tempo per l’iftar, la fine del digiuno. La mia faccia spaesata non passa inosservata. Passano pochi minuti ed alcuni ragazzi chiamano. Come accade spesso, mano sul cuore, welcome to Syria ed invito a mangiare con loro. Io sono ancora pieno, ma non posso rifiutare. Mi siedo, iniziano a darmi qualsiasi cosa, tra le quali uno dei kanafeh più buoni che abbia mai assaggiato. Che popolo fantastico.
Davanti a questa, faccio fatica a mantenere una certa compostezza
La strada si svuota, la folla scompare. Tutti ora sono a mangiare, proprio come noi o all’interno dei negozi, improvvisati ristoranti o a casa. Il tutto dura una quarantina di minuti. Poi tutti tornano in strada.
Cammino ancora poco. Non capisco bene perchè, forse la mia faccia, il colore del mio giubbino, il telefono che stringo tra le mani, gli occhi sgranati che guardano curiosi, fatto sta che in tanti mi chiamano per stare con loro. Accetto l’invito di un gruppetto di signori. Quando gli dico che parlo italiano, uno di loro comincia a raccontarmi di quando giovane passava le estati in Italia. Parte la nostalgia, i racconti si susseguono. Tra l’arabo e l’italiano, il gruppo sorride, ride e probabilmente come farebbe qualsiasi altro anziano nel mondo, ripete mille volte “ai nostri tempi era tutto più bello”
Foto del gruppo
Io che guardo affascinato un pozzo di ricordi e storie di vita siriana.
Il tempo passa, volevo fare una passeggiata tra le strade della città, ma ho fatto due soste impreviste. Soste lunghe, incontri casuali che stanno rendendo questa avventura una esperienza indimenticabile. Saluto, li ringrazio per la chiacchierata, mi offrono dei datteri e delle noci. Ne prendo un paio, vado via.
È ora di rientrare, domani sarà una lunga giornata. Mi lascio alle spalle il quartiere di Al-Midan. Cammino tra i miei pensieri e non riesco a togliermi dalla testa l’idea che quanto più una società si sviluppi secondo la nostra idea di sviluppo, tanto più perde umanità e si arricchisca di individualismo ed egoismo.
Cammino ancora tra i vicoli bui
Per strada non c’è quasi più nessuno. Mi sento tranquillo ma nel buio di una città senza tanta corrente è meglio avviarsi verso porti sicuri.
Buonanotte Damasco