[TR] - We are all the same: Syria - Attenzione: non è un TR aeronautico!


londonfog

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Io insisto sull'idea del libro. Unica nota, forse quel negozio non aveva la bandiera israeliana davanti all'ingresso, poteva essere l'indicazione che era il negozio di un ebreo? Non credo che in Siria sia ammesso mettere fuori la bandiera israeliana (non e' una valutazione politica, i due paesi non vanno esattamente d'amore e d'accordo)
 

FT85

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Io insisto sull'idea del libro. Unica nota, forse quel negozio non aveva la bandiera israeliana davanti all'ingresso, poteva essere l'indicazione che era il negozio di un ebreo? Non credo che in Siria sia ammesso mettere fuori la bandiera israeliana (non e' una valutazione politica, i due paesi non vanno esattamente d'amore e d'accordo)
forse come capitato di vedere in Iran, viene usata per pulirsi le scarpe
 

ilPrincipeDiCasador

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Comincio la mia giornata a Damasco così. L’omelette, le verdure, il pane, il tè. C’è anche una pizza, metà margherita, metà al timo.

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Mangio tutto, lascio solo i noccioli delle olive e qualche pezzo di pane. Nasuh, la guida, mi aveva detto che avremmo camminato molto, ho bisogno di parecchie calorie. Il centro storico, patrimonio mondiale dell’Umanità è abbastanza grande e se dobbiamo perderci tra le strade, meglio farlo a pancia piena. Quando Nasuh passa a prendermi in albergo, iniziamo la nostra passeggiata verso la famosa via recta. Iniziamo da qui, dall’arco di trionfo, che catturo in bianco e nero.

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La via recta, decumano massimo della città romana, attraversa il cuore della città da est a ovest

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Mi colpisce la tranquillità, l’ordine e la pulizia. C’è uno strano silenzio ma Nasuh, mi spiega che è presto. I negozi, i ristoranti sono ancora chiusi, la gente ancora dorme.

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C’è anche tanto verde, tanti alberi e tutto incredibilmente tenuto ordinato.

Una cosa che noto è che tutte le case che affacciano sulla via principale sono o ristrutturate da poco o in ristrutturazione. Chiedo spiegazioni e Nasuh mi dice che il governo, sta facendo sforzi enormi per sistemare la parte più antica del centro e renderlo il gioiello che era una volta.

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Facciamo un salto alla Cattedrale Mariamita

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La struttura è immensa, la chiesa bella, c’è una targa commemorativa della visita di Giovanni Paolo II, qui c’è la sede del patriarcato di Antiochia ma non c’è praticamente nessuno. Ho fatto la foto durante la celebrazione, c’erano una decina di persone. L’ISIS qui non è arrivato ma i tanti non mussulmani sono scappati fino a quando hanno potuto e quelli che sono rimasti e che oggi continuano a pregare sono pochi, pochissimi.

Ritorniamo verso la via recta e proseguiamo. La Siria è e sarà un susseguirsi di riti ed usanze, alcune ancestrali, altre iniziate con le sanzioni, con l’embargo, con la guerra. Vengo colpito da una cosa, la gente fa la fila ai forni per prendere il pane, il khubz, poi corre al sole e lo stende dove capita per farlo seccare.

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Ci sono due aspetti. Il primo è che questo è il pane dello stato, ogni cittadino può prendere dal forno una certa quantità di pane al giorno, il costo è calmierato. Il secondo è che il pane va a ruba e allora si fa una fila lunghissima

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ed i forni pur di soddisfare la domanda continua non fanno in tempo a far raffreddare il pane prima di inserirlo nei sacchetti di plastica. Così la gente appena lo riceve, lo mette a raffreddare ed asciugare ovunque capiti per evitare che la condensa che si forma nei sacchetti, lo rovini. Anche questa è l’economia di guerra.

Sulla stessa strada venditori di rame e libri

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Passeggiamo, parliamo, scherziamo ed il mio amico Nasuh, ex-guida del TCI, grande conoscitore della città comincia a rivelarsi un tipo con le giuste conoscenze. In parecchie occasioni il suo tesserino del Ministero del Turismo sarà una salvezza, in altre un lasciapassare. Giriamo in un vicolo, mi chiede di seguirlo, mi vuole mostrare una tipica casa siriana. È un ufficio comunale, all’ingresso ci bloccano, lui chiede alle guardie di chiamare uno. Questo arriva, loro si stringono le mani, noi entriamo. Che trattamento da vip.

Selfie di rito

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L’interno è ricchissimo

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Usciamo e ci dirigiamo verso il suq al-Hamidiyah, il mercato generale di epoca ottomana, all’interno della cinta muraria. All’ingresso quello che rimane del Tempio di Giove. Ci sono anche dei militari, non siriani. Un occhio attento può riconoscere targa e livrea del mezzo. In Siria, loro sono molto amati e fanno più o meno quello che vogliono.

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Il mercato è spettacolare, c’è tanta gente, tra caffè, spezie, artigianato, gelati, vestiti e gioielli mi perdo nel fascino di un posto che è una sintesi perfetta del genere umano. Ci sono anche tanti bambini.

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Entriamo nella zona coperta

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Uno dei negozi piu particolari è la più antica gelateria della Siria, Bakdash.

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All’interno c’è un rumore assordante. Il gelato è fatto a mano e refrigerato a gasolio. Si, proprio così, questo negozio assorbe troppa corrente e per fare il freddo ci sono i generatori. Mi sembra assurdo, ma la Siria del 2023 è un puzzle di storie assurde, ci si arrangia sempre, si trovano sempre soluzioni e si fanno sempre i conti con la dura realtà della guerra, anche se ormai la guerra non fa più il rumore delle bombe ma quello dei motori diesel.

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Il gelato, unico gusto, latte e pistacchi

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Vaghiamo ancora nel suq, faccio qualche altra foto

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Questi non mancano mai

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Camminiamo fino ad una bancarella che Nasuh mi indica e poi quasi scocciato esclama “Guarda dove siamo arrivati qui, andiamo sempre peggio, le donne non hanno più voglia di fare nulla!”. All’inizio non capisco. Poi insiste “Le zucchine già svuotate, i piselli già lavati, le melanzane già tagliate…cose da pazzi! Se tua moglie compra queste cose devi stare attento, significa che invece di cucinare deve fare altro” e mi fa il gesto delle corna.

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Sorrido perché devo. Poi penso, questa è la condizione della donna qui. Le donne devono stare in casa, pensare alla cucina, ai figli e svuotare le zucchine. Se non lo fanno sono poco di buono.

Andiamo avanti.

Tra un negozio ed un altro penso a questo mercato e ad i suoi equivalenti odierni del Cairo, Istanbul, Tunisi, Teheran, Napoli ma anche di Seoul, Manila, Delhi…città che vivono allo stesso modo di suq e mercati che però il turismo, soprattutto quello di massa, ha trasformato in ricettacoli di paccottiglia cinese. Qui invece doveva essere così 15 anni fa, nella Siria dei 6 milioni di turisti all’anno. Guardandolo ora, sembra che guerra lo abbia riportato indietro nel tempo, ripulendolo. Questi stessi negozi probabilmente vendevano calamite da frigo, cartoline e piatti made in China. Ora per necessità, vendono cose che servono veramente alla gente del posto, piatti di rame, tabacco, farmaci, stoviglie, frutta, verdura. Spesso artigianato vero. La guerra si è portata via il superfluo.

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Usciamo dal mercato, passeggiamo fino alla statua di Saladino a cavallo

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Ritornando nelle mura, Nasuh mi propone di provare un hammam. Non me lo faccio ripetere due volte, ci infiliamo qui dentro

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Dopo un’ora di vapore, saponi, acqua bollente e massaggio, siamo così. Io mi sento nuovo.

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Esperienza incredibile, per quello che la città e soprattutto la Siria sono oggi, mai avrei pensato di potermi rilassare in un bagno termale nel pieno centro di Damasco.

Riemergiamo dall’hammam e la fame inizia a farsi sentire. Anche oggi il Ramadan lo facciamo domani e ci buttiamo in un ristorante che fa carne alla brace. Principalmente agnello e montone. Ci sono anche altre cose come hummus, baba ganush, insalate e kibbeh fatti a mano al momento.

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Qui imparo un’altra storia siriana. Avevo già notato in giro, che ogni macelleria e ristorante all’ingresso aveva una o più carcasse di montoni. Tutti ovviamente pronti per essere tagliati a pezzi e venduti o cucinati. Le carcasse però tutte con gli attributi maschili in bella vista. Non avevo ben capito il motivo. Nasuh, proprio poco prima di mangiare mi spiega per bene la tradizione. Il montone maschio è quello saporito e quindi quando compri la sua carne vuoi essere sicuro che sia maschio, le macellerie allora si adattano. Inoltre, se uno vuole mangiare veramente bene, deve mangiare anche i coglioni, perché è un piatto squisito, una prelibatezza. Io mi fiderei anche sulla parola ma Nasuh ci tiene a farmeli mangiare e li ordina. Per assicurarsi che abbia capito, mi spiega con gesti inconfondibili, le parti che sto per ingerire. Io tiro fuori i miei di coglioni, assaggio, butto giu.

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La consistenza è spugnosa, il sapore dolciastro. Butto giù un litro di ayran e disinfetto con i peperoncini sottaceto. Per fortuna, tranne quelli, il resto è delizioso, il tutto per meno di 10 USD in due.

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Sono ormai le 16:00. Nasuh è visibilmente stanco ma l’abbuffata di coglioni di montone gli dà la forza per fare un altro giro. Passiamo ai lati della Grande Moschea degli Omayyadi che visiteremo l’ultimo giorno insieme al resto della ciurma. Per ora mi accontento di qualche foto alle mura esterne.
L’immensità della moschea è degna della grandezza dell’impero islamico che al tempo degli Omayydi si estendeva dalla Spagna alla Cina e di cui Damasco era la capitale.

La cosa ancora più sorprendente è che la moschea fu ricavata dalla cella centrale del Tempio di Giove che quindi doveva essere un tempio sconfinato.

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I negozi nei dintorni iniziano a chiudere

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È ora di salutare Nasuh. Credo che abbia proprio bisogno di riposarsi. Questa sera, anzi questa notte arriveranno gli altri tre e domani si riparte, in auto per il nord. Io rientro in albergo, lui a casa. Ci diamo appuntamento per le 9 di domani.

Tempo di lavarmi e sono operativo. Mi infilo in un taxi e mi faccio portare nella zona di Al-Midan. Arrivo giusto in tempo per l’iftar, la fine del digiuno. La mia faccia spaesata non passa inosservata. Passano pochi minuti ed alcuni ragazzi chiamano. Come accade spesso, mano sul cuore, welcome to Syria ed invito a mangiare con loro. Io sono ancora pieno, ma non posso rifiutare. Mi siedo, iniziano a darmi qualsiasi cosa, tra le quali uno dei kanafeh più buoni che abbia mai assaggiato. Che popolo fantastico.

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Davanti a questa, faccio fatica a mantenere una certa compostezza

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La strada si svuota, la folla scompare. Tutti ora sono a mangiare, proprio come noi o all’interno dei negozi, improvvisati ristoranti o a casa. Il tutto dura una quarantina di minuti. Poi tutti tornano in strada.

Cammino ancora poco. Non capisco bene perchè, forse la mia faccia, il colore del mio giubbino, il telefono che stringo tra le mani, gli occhi sgranati che guardano curiosi, fatto sta che in tanti mi chiamano per stare con loro. Accetto l’invito di un gruppetto di signori. Quando gli dico che parlo italiano, uno di loro comincia a raccontarmi di quando giovane passava le estati in Italia. Parte la nostalgia, i racconti si susseguono. Tra l’arabo e l’italiano, il gruppo sorride, ride e probabilmente come farebbe qualsiasi altro anziano nel mondo, ripete mille volte “ai nostri tempi era tutto più bello”

Foto del gruppo

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Io che guardo affascinato un pozzo di ricordi e storie di vita siriana.

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Il tempo passa, volevo fare una passeggiata tra le strade della città, ma ho fatto due soste impreviste. Soste lunghe, incontri casuali che stanno rendendo questa avventura una esperienza indimenticabile. Saluto, li ringrazio per la chiacchierata, mi offrono dei datteri e delle noci. Ne prendo un paio, vado via.

È ora di rientrare, domani sarà una lunga giornata. Mi lascio alle spalle il quartiere di Al-Midan. Cammino tra i miei pensieri e non riesco a togliermi dalla testa l’idea che quanto più una società si sviluppi secondo la nostra idea di sviluppo, tanto più perde umanità e si arricchisca di individualismo ed egoismo.

Cammino ancora tra i vicoli bui

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Per strada non c’è quasi più nessuno. Mi sento tranquillo ma nel buio di una città senza tanta corrente è meglio avviarsi verso porti sicuri.

Buonanotte Damasco
 

Flyfan

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Lo sapevo che avrei fatto bene ad aspettare di avere tempo e calma per leggere questo tuo ultimo TR. Ho scelto l'ultimo giorno dell'anno e credo davvero che nessuna lettura sarebbe stata migliore. Tanta roba, punto. Il resto lo hanno scritto gli altri e io mi associo e aggiungo solo un personale grazie.
 
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Lo dico ad ogni post: meraviglia.

Ci sono anche dei militari, non siriani. Un occhio attento può riconoscere targa e livrea del mezzo. In Siria, loro sono molto amati e fanno più o meno quello che vogliono.

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Non avendo letto la didascalia, ho visto la Bukhanka, le Z semicancellate e subito m'è venuta un po' di orticaria. E infatti.
 

ilPrincipeDiCasador

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Finora avete visto la Siria che ha visto la guerra solo di striscio. Da adesso comincia una storia diversa. La storia della Siria devastata dalla guerra. Non continuerò con un resoconto giornaliero che diventerebbe lungo, lunghissimo ma con gli highlights delle varie tappe. Si comincia con Ma'lula, Homs, Hama, Aleppo.

Il gruppo è finalmente al completo, l’auto è pronta, il tempo perfetto. Si parte verso nord, lasciamo Damasco. Bastano 2 km per rendersi conto che la Siria ha una faccia diversa. La capitale non è caduta ma è mancato poco, i combattimenti sono avvenuti proprio dove siamo ora. Si vedono solo macerie, case sventrate, c’è solo l’autostrada, la gente, qualche auto. La prima sensazione è di tristezza. Tanta tristezza.
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Qui ci sono stati violenti combattimenti tra chi cercava di prendersi Damasco e chi cercava di difenderla

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Da qui inizia un viaggio di pensieri che ancora oggi dopo tanti mesi continuano a ritornarmi in mente. Ogni volta penso che la Siria di oggi è il risultato di una storia ricca ma infelice, di un patrimonio prima creato e poi distrutto dagli stessi discendenti di chi la civiltà l’aveva inventata.

E non sono solo i miei pensieri, è anche la realtà. Le città e la vita qui si alternano tra quello che miracolosamente si è salvato e le macerie. Non c’è più altro.

Arriviamo a Ma’lula. Qui la gente parla ancora aramaico, ci sono un monastero ortodosso, uno cattolico e le reliquie di Santa Tecla. Il centro storico è stato devastato, campo di battaglia per mesi, qui hanno perso la vita tanti innocenti. Parte del patrimonio storico ed artistico è stato danneggiato e molte delle icone sacre completamente deturpate.

Nonostante tutto l’ingresso in città oggi è così

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I due monasteri all’interno hanno subito danni ma sono ancora ricchi di storia

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C’è anche un piccolo negozio ed un viso pieno di speranza

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All’esterno del monastero, un hotel abbandonato nel quale le milizie avevano stabilito il loro quartier generale

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Da qui inizia un canyon che porta all’altro monastero, lo attraversiamo e riemergiamo dall’altra parte della città dove veniamo accolti così

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Non so chi sia più sorpreso. Noi che ci rendiamo conto che in Siria esistano gite scolastiche o loro che vedono un gruppo di turisti. Ci scambiamo foto reciproche.

Il tetto del monastero con dietro l’albergo di prima

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Da qui si capisce come sia completamente scavato nella roccia

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Interni

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I danni dell’ISIS

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Lasciamo la città, che oggi si presenta così, ferita ma viva

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La strada verso nord è la cosa più incredibile che abbia visto finora in vita mia. Fino ad Homs sono 120km. 120Km di macerie. Non c’è più vita. Solo devastazione. Ed Homs non è diversa. Non credo di dover aggiungere molto alle foto.

Io ho pianto e non ho vergogna a dirlo. L’unica vergogna che ho provato è quella per il genere umano

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Tra le macerie ci sono ancora cadaveri. La morte è ovunque. C’è qualche disperato che vive ancora in questi scheletri che cadono a pezzi ma per il resto non c’è davvero nessuno. C’è una parte “viva” della città, la attraversiamo in auto. C’è gente ma le strutture sono tutte danneggiate.

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Andiamo via e facciamo il resto della strada fino ad Hama in silenzio. Ognuno ha i suoi pensieri, ognuno i suoi motivi. Cosa si prova a vedere un ammasso di pietre distrutte? Non è facile spiegarlo, non è facile capirlo. Si fa spesso facile retorica nel giudicare. L’unica cosa che posso dire è che così come facciamo km e km per vedere dove in alto l’uomo può spingersi nelle sue massime espressioni artistiche, culinarie, architettoniche, religiose, c’è chi per capire come gira veramente il mondo, si fa km e km per capire e vedere quanto in basso si possa andare, insegnarlo ai propri figli e sperare che non capiti più.

Hama.

Hama è una città antichissima. La storia l’ha vista passare tra mille dominazioni ed oggi, nonostante la guerra è ancora ricca del suo passato. Qui sono quasi tutti sunniti, probabilmente la città più religiosa di tutta la Siria, nel 1982 fu teatro della rivolta dei Fratelli musulmani.

Oggi conserva parte del centro storico
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E soprattutto le famose norie, ruote d’acqua usate per sollevare l’acqua

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Sorprendente anche la parvenza di normalità in alcuni angoli della città

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Normalità che dura poco. Pochi metri fuori, l’angosciante colore della guerra ritorna protagonista

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Quello che fa ancora più male sono le storie di Nasuh, che questa strada l’ha percorsa decine e decine di volte, con autobus pieni di gente, in aree di sosta di suoi amici che non sa nemmeno più che fine abbiano fatti. Alcuni scappati in Turchia, altri morti sotto le rovine o uccisi dall’ISIS, altri spariti per sempre. Maciniamo km tra macerie ed aneddoti. Immaginate di fare per 30 anni la guida turistica, immaginate il numero di anime che vi orbitano intorno tra camerieri, autisti, venditori di souvenir, benzinai, ristoratori. Tutti quelli che ogni giorno incontravate e che vi regalavano un sorriso, un saluto, una stretta di mano, un caffè con un dolcino. Immaginate la quantità di cose che c’erano, la vita, i palazzi. Ecco poi immaginate le bombe, il rumore, la polvere, le macerie. Questo è quello che io immagino mentre Nasuh parla. La vita che non c’è più.

Arriviamo qui

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Siamo vicinissimi ad Idleb (Idlib). Idlib è il posto più pericoloso della Siria. La situazione è terribile, oltre ogni immaginazione. Qui c’è uno degli ultimi baluardi delle forze di opposizione, un misto tra terroristi, miliziani e disperati che sono scappati dalle zone riconquistate dal governo. Tutti i militanti dell’ISIS che non sono morti dopo le offensive russe, siriane, turche ed americane sono qui. Si tratta di circa 50.000 uomini e donne che nessuno vuole, nemmeno nelle carceri e che sono rinchiusi in una gabbia chiamata governatorato di Idlib. Non si entra e non si esce. La Siria è sull’orlo di sferrare l’attacco per la riconquista ma ad oggi non lo ha fatto perché quei 50.000 fanno paura. Non potrebbero difendersi, la riconquista sarebbe cosa di poche ore, il problema è che 50.000 cani sciolti sarebbero ancora più pericolosi. Una storia assurda, incredibile e triste.

Nasuh accelera, anche lui ha fretta di allontanarsi. Vediamo i check point e probabilmente loro vedono noi. Siamo in territorio sicuro ma il fatto che i cecchini dall’altra parte siano solo oscurati con terra ammassata ai lati della strada non ci mette tanta tranquillità

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Per una decina di minuti siamo abbastanza esposti, poi l’autostrada piega verso l’interno.

Aleppo ci accoglie poco prima del tramonto

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Qui l’atmosfera sembra rilassata ma si percepisce subito il cocktail di distruzione, storia, paura, patrimonio culturale, guerra. Il nostro albergo è in pieno centro e ci arriviamo tra una precisa alternanza di palazzi crollati e palazzi eleganti in ristrutturazione

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Finalmente qui c’è gente. La vita non è stata schiacciata come negli ultimi 350 km. Qui la popolazione si arrangia, sopravvive, fa fatica ma almeno la città non è abbandonata. I fantasmi della guerra sembrano sbiaditi dalla voglia di ricominciare.

Facciamo qualche altro km tra le strade cittadine prima di arrivare devastati in albergo rendendoci conto che la devastazione questa sera è soprattutto mentale.

In albergo ci comunicano gli orari della corrente, è la prima volta nella mia vita. Prima d’ora solo colazione e check-out. In Siria c’è anche questo. Poche ore per farsi la doccia e se in camera è troppo buio, ci sono le lampade a batteria alla reception.

È ormai tramontato il sole, in camera non c’è corrente, decidiamo di fare due passi e cenare fuori per goderci l’atmosfera festose del Ramadan

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Passeggiamo, ci infiliamo in questo locale

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Ci sediamo e Nasuh ordina per tutti. Questi solo i mezeh. Mi sa che abbiamo esagerato

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Il tavolo si riempie così tanto che devo mettere via il telefono, la gopro e non posso nemmeno più fare una foto.

Finiamo la cena, facciamo due passi e torniamo in albergo. Aleppo è ancora via, ci sono locali pieni, bar, ristoranti e anche se i generatori a gasolio sono quelli che fanno girare tutto l’ambaradan qui sembra che la gente si sia ripresa con forza quel poco che rimane ed un pezzettino alla volta stia rimettendo insieme la propria città e la propria vita.
 

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Non avrei mai il coraggio di fare questo viaggio, ma sono grato che tu l'abbia fatto e lo stia condividendo con noi. Quel tratto di autostrada e' un po' come quel video fatto a Kobane: qualcosa che ammutolisce.

Cercando di stemperare, noto che le strade nelle foto sembrano avere meno buche che quelle di Londra.
 

foxtrot bravo

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grazie davvero, bellissimo. Ricordo benissimo il forte rumore, quasi sinistro, dello scricchiolio delle ruote di Hama che hanno origine romana. Dalle foto non mi sembrano più funzionanti, o lo sono ancora? La prima volta che andai in Siria, nel 1997, trovai un paese ancora per certi aspetti medievale. L'ultima volta, nel 2008 invece aveva fatto degli evidenti progressi, ancorché meravigliosa, ma un po' meno affascinante.
 

ilPrincipeDiCasador

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Con immenso ritardo ritorno a scrivere.

Ripartiamo da Aleppo

Ci svegliamo presto tra i rumori della strada. Il traffico in Siria non è eccessivo ma qui si guida con poche regole, l’unica che viene seguita pedissequamente è quella della segnalazione acustica. Ogni svolta, manovra, incrocio viene accompagnata da bottarelle sul clacson che alle 6 di mattina diventano decisamente troppe per permetterci di dormire ancora.

Niente doccia, acqua fredda, bagno buio. La giornata non inizia alla meglio.

Aspettiamo ancora un poco per fiondarci alle 7 in punto all’ultimo piano dell’albergo dove viene servita la colazione.

Ci sono molti addetti, camerieri, cuochi e pochi ospiti. Gli unici europei noi. Dalle vetrate della sala panoramica Aleppo si presenta così.
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Da lontano sembra tutto normale. Non ci sono ferite, non ci sono segni della guerra. Nasuh, come se stesse guardando la mappa della città, con il dito ci indica le cose che ci porterà a vedere e ci prepara a cosa vedremo oggi. Qui c’è questo, lì è successo quello, là c’era quest’altro e continua, spesso usando verbi al passato. Il presente è solo per i mucchi di macerie ed i segni delle bombe.

La guerra non è l’aspetto più brutto in assoluto. Il vuoto fisico e psicologico che lascia è peggio. Nelle sue parole e nella sua faccia triste cogliamo tutto quello che i nostri occhi non vedono. Ho provato, da italiano, ad immaginare una città della grandezza di Firenze, con la sua storia, con il suo patrimonio, con la sua cultura che un certo punto si accorge dell’inciviltà della guerra, della sua ignoranza che si porta via tutto e tutti. Un disastro.

Lasciamo alle spalle l’albergo, e ci buttiamo nella città.
Primo stop, la famosa cittadella. Foto di rito.

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Dentro non si entra. È ancora usata come base dell’esercito siriano. Durante la guerra è stata danneggiata ma la sua imponenza l’ha salvata da danni ancora più importanti. L’ISIS l’aveva presa subito all’inizio della guerra, poi quando l’esercito siriano insieme a quello russo l’ha riconquistata, non si è preoccupato molto del valore storico ed artistico ed ha fatto un bel po’ di danni.

Nasuh, ci racconta che prima della guerra, in alcuni giorni, qui c’era talmente tanta gente che si faceva fatica a camminare. Ora siamo soli. C’è un gruppo di ragazzini che gioca a calcio
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E qualcuno che sogna di essere come colui che segna goal tra i grattacieli di Riyadh

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C’è anche la panchina. Meno impegnata di quelli in campo, ci salutano. Mi avvicino, loro mi dicono “Welcome to Syria, this is Aleppo Citadel”

Gli regalo una tavoletta di cioccolato e gli scatto una foto

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Facciamo tutto il giro della cittadella a piedi e ci dirigiamo verso quello che resta del vecchio mercato, il suq. Qui l’ISIS ha iniziato la presa della città. Come topi sono sbucati dai tombini e hanno iniziato a sparare contro i civili. Esecuzioni di massa e violenze per prendersi questo posto che una volta era il cuore della città, ora è un ammasso di polvere, ferro e distruzione. Qui hanno iniziato la conquista della città.

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La guerra la sento incredibilmente vicina, passeggiamo tra i vecchi negozi con le serrande crivellate di colpi, alcune sono completamente divelte dalle esplosioni, altre bruciate. Ci sono i passaggi nelle pareti per che le milizie usavano per muoversi da una zona all’altra, sparare e ripararsi, alcune zone sono completamente sepolte dalle macerie. Nonostante tutto, la struttura vecchia è visibile, la ricchezza architettonica percepibile.

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Anche qui, le foto si commentano da sole. Dove c’era la folla è rimasta la solitudine, dove c’erano i suoni c’è il silenzio, dove c’erano i colori c’è solo il grigio delle macerie. Un colpo al cuore.

Mia nonna era di Marzabotto. I primi giorni del lontano ottobre 1944 fu una delle poche fortunate a non essere finita sottoterra prima che arrivasse il suo tempo. Era una bambina e si salvò dalla furia nazista solo per fortuna. Ha passato il resto della sua vita a raccontarmi della guerra e di quanto facesse schifo. Ci metteva tanta passione, il realismo con cui parlava mi impressionava ma che mi lasciava ore ed ore ad ascoltarla in silenzio. La sera spesso mi raccontava di quando fuggiva, di quando sentiva gli aerei lanciare le bombe, di quando sua mamma è morta al suo fianco fucilata dalle SS. Ero un bambino, capivo poco mi sembravano miliardi di anni prima, ma lei me lo spiegava ancora ed ancora, così tante volte che alla fine mi rimaneva in testa e prima di andare mi diceva sempre “spero che tutto questo non torni mai più, spero che nessuno lo riviva, spero che nessuno si dimentichi quello che è successo perché questo non deve accadere mai più”. In questo momento, quelle parole mi risuonano nella testa, forti e chiare. Chissà se tutti i bambini del mondo avessero una nonna così, forse il mondo sarebbe un posto migliore. Non perdete la memoria, è l’unica strada per la pace.

Camminiamo ancora, in una zona ripulita dalle macerie e che forse verrà a breve risistemata. Magari qualche coraggioso venditore di tappeti o sapone ritornerà

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La porta della città, dalla quale si esce dal suq. Dopo un paio di ore, ci ritroviamo in una zona viva, che oggi funziona come mercato.

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Tipici venditori

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Il famoso sapone di Aleppo

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Tra le bancarelle di noccioline e sapone, mi incuriosisce questa targa. Chissà dov’era appesa, se avessi avuto un bagaglio più grande me la sarei portata a casa.

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Ci rimettiamo in auto e finiamo qui. Difficile da riconoscere.

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L’hotel Baron. L’hotel che ha ospitato Agata Christie, Lawrence d’Arabia, Rockefeller, Roosevelt ed altri personaggi di spicco del Novecento. Purtroppo abbandonato ha però un certo fascino. All’ingresso c’è un guardiano. Prima ci dice che non si può nemmeno fotografare, poi quando gli molliamo 10 USD, ci lascia entrare dentro e ci fa vedere il poco che non è stato rubato.

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Chiudiamo la nostra parentesi di Abandonalism e ritorniamo verso il centro nuovo della città. Ci fermiamo in questa moschea. Anche qui, danni e danni.

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Carino il parco all’esterno. Una piccola oasi di tranquillità che non ha segni evidenti di combattimenti

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Ci incamminiamo a piedi tra le strade e ci ritroviamo alla stazione di Aleppo.

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Una volta affollata, oggi è vuota. Treni e passeggeri non passano da qui da parecchi anni, infatti, il trasporto passeggeri alla fine del 2011 dopo il bombardamento delle linee ferroviarie vicino a Homs è stato interrotto. Al binario 1 c’è un treno. Probabilmente abbandonato da tempo.

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Il tour della stazione termina con una chiacchierata con Nasuh. Ci racconta del passato glorioso di questa stazione, dei treni per Damasco, per Beirut, perfino per Istanbul e Bagdad. Altri tempi. Chissà se e quando torneranno.

Rientriamo verso la città, per strada becchiamo la cattedrale di San Francesco d’Assisi

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Dentro ci chiedono di non fare foto, l’unica foto che riesco a fare è il ritratto di una ragazzina con due occhi bellissimi

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Lei sorride, noi facciamo qualche foto e le sorridiamo. Credo che nel silenzio della chiesa tutti abbiamo avuto lo stesso pensiero. Quante atrocità questi occhi verdi così brillanti di questa ragazzina siriana hanno già visto e sofferto?

Ci avviamo ormai stanchi verso l’albergo, ceniamo in un posto dove Nasuh sembra essere di casa, un suo vecchio amico. Mangiamo tanto e bene.

Dopo cena rientriamo a piedi, tra macerie, polvere e buio. Qualche generatore a gasolio illumina le strade e noi stanchi e pensierosi ci fermiamo a guardare il cielo che terso e limpido è pieno di stelle e bellezza.

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Buonanotte Aleppo.
 

rommel

Utente Registrato
31 Luglio 2008
1,371
190
Chia
Veramente bellissimo; al di la delle immagini fa vedere la Siria come è veramente sotto tanti aspetti dopo la Guerra Civile.
Grazie del documento !
 

13900

Utente Registrato
26 Aprile 2012
10,131
7,728
Grazie del prosieguo e del racconto di tua nonna. Quel portale giallo e nero nel vecchio souq me lo ricordo da una foto/cartolina mandata da un lontanerrimo parente del ramo francese di mio padre. Penso che quella foto risalga a ben prima della seconda guerra mondiale.
 
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