Un piano industriale irrealistico senza appartenere ad un network internazionale. L’apertura (a pioggia) di tratte intercontinentali da Milano Malpensa senza adeguati studi di fattibilità e che hanno finito per dilapidare risorse ingenti.Un modello decisionista tutto incentrato su una prima linea di manager provenienti dal vettore di Doha senza alcuna conoscenza del mercato europeo. E poi la lotta senza quartiere, dal forte connotato geopolitico, con i vettori Usa come American Airlines, Delta ed United che hanno giudicato l’espansione di Air Italy dallo scalo milanese (prima a New York e Miami, poi da aprile 2019 anche Los Angeles e San Francisco) come «una chiara violazione» degli accordi tra Washington e Doha che impegnavano il vettore a non avviare voli in regime di «quinta libertà» Qatar-Usa con una sosta in un terzo Paese (come avviene con Emirates con il Dubai-Milano-New York).
Una galleria degli errori (e degli orrori) tutti da ricondurre alla strategia del vettore mediorientale, culturalmente lontano dalle nostre tradizioni sindacali e sostanzialmente refrattario a costruire un’alleanza internazionale per le complessità interne al network OneWorld, di cui fa parte anche American Airlines. Peccato. Perché si chiude dopo quasi quattro anni un’esperienza di ristrutturazione che aveva l’ambizione di realizzare il vettore nazionale. Un’ambizione costruita in primis dall’allora governo Renzi che aveva costruito rapporti commerciali con Doha tali da portare anche all’investimento in Piaggio Aerospace finita in amministrazione straordinaria per la mancata volontà del fondo sovrano del Qatar di ricapitalizzare. Un turnaround nato dalle ceneri della vecchia Meridiana. In cui il socio storico, Alisarda diretta emanazione del principe ismaelita dell’Aga Khan rimasto col 51% delle quote, aveva sostanzialmente dato in mano tutta la gestione al socio industriale al 49% come da richiesta dell’esecutivo. C’erano da salvare posti di lavoro, tratte in regime di continuità territoriale verso la Sardegna, soprattutto non si poteva lasciare sul lastrico l’intero trasporto aereo nazionale viste le contestuali difficoltà di Alitalia.
Con i libri in tribunale e l’incarico di commissari liquidatori affidato ad Enrico Laghi e Franco Lagro cade il velo sull’ennesima stagione di fallimenti. Dopo Etihad che ha trascinato Alitalia in amministrazione straordinaria il conto lo paga anche Qatar Airways. Alisarda, accusa l’altro socio, non ha voluto ricapitalizzare. Vero. Ma l’Aga Khan guida un fondo dal carattere filantropico, responsabile dello sviluppo economico di Paesi del terzo mondo costruito sulla logica del microcredito. Aveva già dimostrato di non essere in grado di proseguire in un settore altamente concorrenziale e globalizzato come il trasporto aereo. Imputargli l’onere di dover ricapitalizzare ulteriormente dopo cinquant’anni di investimento può sembrare eccessivo. Il fondo che controlla Alisarda aveva da tempo venduto anche gli asset in Sardegna, come il porto di Olbia e alberghi iper-stellati come il Cala di Volpe a Porto Cervo, proprio al fondo sovrano del Qatar tramite la scatola Smeralda Holding. Ora la speranza è affidata ad Air Corsica, con il supporto di fondi della regione Sardegna e dello Stato. Ha un modello simile, opera in regime di monopolio dettato dalla continuità territoriale verso la Francia, è sostanzialmente eteroguidato da Air France. Servirebbe un governo con un’idea di Paese. Ma visto il piano ancora incomprensibile su Alitalia il risultato è a tinte nere.
Corriere della Sera