Breve viaggio fra gli Stati – non solo l’Italia – che vogliono salvare le compagnie aeree al tempo della pandemia
E’ passato al Senato con 142 voti favorevoli il disegno di legge del governo noto come Cura Italia. Il provvedimento che, tra le altre cose, prevede l’ennesima elargizione di denaro pubblico a favore di Alitalia. Una storia lunga e non particolarmente fortunata quella dell’ex compagnia di bandiera (ma è ancora attuale parlare di ex? Su questo ci torneremo), almeno dal 2000 quando fallì il progetto di fusione con Klm che aveva disegnato l’allora amministratore delegato Domenico Cempella. Un visionario rispetto ai tanti che lo hanno poi sostituito. Un vero millenium bug per Alitalia, perché dal 2000 in poi ha collezionato un ventennio di perdite e scelte scellerate (in mezzo ci sono state anche cose buone, è giusto ricordarlo, ma alla fine non hanno lasciato il segno).
Molte critiche di stampo liberista sono arrivate a questa nuova iniezione di soldi sia dal campo accademico che dal campo politico. Di fondo, non condividono la scelta di non lasciar decidere al mercato l’avvenire di una azienda malconcia. Un principio sacro per i chi ha fatto della difesa del liberismo un caposaldo.
ATLANTICO
Ma nell’epoca bellica del Coronavirus ha ancora senso anteporre il mercato alla politica? In tutto il mondo si sta scegliendo di lasciare il ruolo guida alla politica, anche se deve entrare nel campo di fango della partita e sporcarsi i pantaloni. Negli Stati Uniti il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, ha annunciato il piano a sostegno delle compagnie aeree americane. Del resto la confindustria dei cieli a stelle e strisce, Airlines for America, che riunisce tutte le più grandi compagnie Usa come Delta, American Airlines, United Airlines, Southwest, Alaska Airlines, Atlas Air, FedEx, Hawaiian Airlines, UPS, JetBlue, aveva chiesto il 21 marzo scorso un finanziamento pubblico da 58 miliardi di dollari. Richieste a Trump di (tanti) soldi pubblici sono giunti anche dagli aeroporti e dalla Boeing, che ancora deve riprendersi dallo shock dopo il fermo al suo aereo di punta di medio raggio, il Boeing 737-800 max.
Nell’America Latina le compagnie aeree aderenti all’associazione Alta hanno calcolato in 15 miliardi di dollari americani i danni dovuti alla pandemia da Coronavirus. In Brasile ci si prepara ad un intervento pubblico da parte della Brazilian Development Bank (Bndes) pari a 10 miliardi di real a favore di Azul, Gol e Latam.
PACIFICO
Anche sul lato del Pacifico lo Stato non resta con le mani in mano. In Australia a godere di 715 milioni di dollari australiani saranno la storica compagnia Qantas e la sua rivale Virgin Australia. Le due aerolinee, ovviamente, non si amano e stanno già litigando su chi ne ha più diritto. La stessa scelta di intervento pubblico è stata adottata anche in Nuova Zelanda, dove il governo guidato da Jacinda Ardern ha deciso di concedere un finanziamento da 900 milioni di dollari per la Air New Zealand, famosa nel mondo per i suoi aerei con livrea nera e per i video di sicurezza registrati in stile Signore degli anelli.
Dalle parti di Hong Kong si discute ancora sull’entità. Per Cathay Pacific e Hong Kong Airlines il finanziamento previsto dalle autorità di 2,6 miliardi di dollari locali (circa 335 milioni di quelli americani) non sono sufficienti. A Bangkok si profila una probabile ricapitalizzazione pubblica per la Thai Airways. A Singapore il piano di salvataggio dovrebbe toccare quota 13 miliardi, così come un intervento pubblico è atteso per Korean Air anche nei palazzi della politica di Seul.
In Malesia, invece, per puntellare la Malaysia Airlines (coinvolta in recenti incidenti aerei) non si esclude una possibile fusione con Air Asia.
In India il governo Modi sta elaborando un piano di sostegno all’industria del trasporto aereo da 100-120 miliardi di rupie (fino a 1,6 miliardi di dollari) in un settore che deve ancora ritrovare un equilibrio dopo il fallimento di Jet Airways (che era gestita, come Alitalia, dagli emiratini di Etihad Airways) e il forte ridimensionamento di Air India.
MEDITERRANEO
Nell’iniziativa da 100 miliardi di lire turche (15 miliardi di dollari) per lenire i danni dal virus, il presidente Erdogan ha assicurato che non si dimenticherà di Turkish Airlines, una compagnia che negli ultimi anni è sviluppata a tassi di crescita rilevanti. In Israele un prestito straordinario da 300 milioni di dollari lo ha chiesto al governo la storica El Al. Difficilmente la richiesta verrà delusa.
E nella nostra Europa? Qui lo scenario è ancora più delineato. L’amministratore delegato di Lufthansa, Carsten Spohr, ha dichiarato senza reticenze che senza aiuti pubblici è incerto il domani dell’aviazione mondiale. La compagnia tedesca ha messo a terra una consistente parte della flotta, circa 700 aerei, e già annunciato dismissioni importanti (29 aerei in meno), per cercare di frenare l’improvvisa emorragia di 24 milioni di euro ogni giorno. Il Gruppo Lufthansa è un colosso che controlla anche Swiss, Austrian Airlines e Brussels Airlines. Tutte tre le compagnie satelliti hanno bussato alla porta dei governi di Berna, Vienna e Bruxelles.
Con il cappello in mano anche la tradizionale rivale Air France-KLM. In un comunicato stampa di giovedì la holding franco-olandese ha confermato di essere in trattative con i rispettivi governi per un pacchetto di aiuti. Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire si era già espresso per interventi a tutela di campioni nazionali come Air France o, in campo diverso, Renault. Un’energica dichiarazione colbertiana aveva fatto anche il ministro delle Finanze olandese Wobke Hoekstra con richiamo a fare “everything it takes” per la sopravvivenza della compagnia aerea nazionale.
L’altro grande gigante dell’aviazione europeo è IAG, la holding che controlla British Airways, Aer Lingus, Iberia e Vueling. Il cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak ha affermato che non esclude un intervento diretto nel capitale di British Airways, compagnia che fu privatizzata ai tempi di Margareth Thatcher. Questo però potrebbe creare un problema nella holding che, formalmente, è una società di diritto spagnolo, e una crescita di capitale inglese potrebbe farle perdere la cittadinanza comunitaria, cosa che implicherebbe dover rinunciare ai diritti di volo che attualmente detiene (è il motivo per cui Etihad o Qatar Airways non sono mai salite oltre il 49% nel capitale di Alitalia e Air Italy). Un grattacapo non da poco risolvibile con lo scioglimento della holding oppure con un analogo intervento di matrice spagnola.
Giovedì 9 aprile Fitch ha tagliato il rating di British Airways da BBB- a BB+ con outlook negativo a causa degli impatti dell’epidemia di coronavirus sull’attività e il profilo finanziario della compagnia britannica, il cui merito di credito perde la tripla ‘B’ e diventa “spazzatura” (junk). Secondo Fitch, si legge in una nota, la capacità di British Airways ritornerà ai livelli di fine 2019 solo durante il 2023
Interventi pubblici nell’aria anche per la portoghese Tap, le scandinave SAS (intervento congiunto dei governi svedese e danese), Finnair e Norwegian.
BANDIERE
Insomma, dopo questa breve carrellata, una domanda appare scontata. C’è un ripensamento sul ruolo, che si dava per esaurito, delle compagnie di bandiera? Nello sconvolgimento tellurico della pandemia, gli esecutivi si sono aggrappati alle loro (ex?) compagnie di bandiera. In tutti gli Stati è toccato a chi ha avuto un ruolo di pioniere dell’aviazione nazionale andare a recuperare in giro del mondo i connazionali bloccati, quando i collegamenti tradizionali venivano soppressi. Lo ha fatto Alitalia qui da noi, come Air France per Parigi, Lufthansa per Berlino, Iberia per Madrid, la Lot per Varsavia, Aer Lingus per Dublino. Il mondo è sempre più connesso, ma anche sempre più fragile, se dei pipistrelli lo hanno messo a terra. Forse è bene avere sempre un paio d’ali.
https://www.startmag.it/smartcity/c...di-evitare-lo-schianto-delle-compagnie-aeree/