Straquoto!!!!!Se i prezzi sono alti è un furto del governo ladro, se i prezzi sono bassi è pazzesco e copiano Ryanair.
C'è sempre da ridire.
Straquoto!!!!!Se i prezzi sono alti è un furto del governo ladro, se i prezzi sono bassi è pazzesco e copiano Ryanair.
C'è sempre da ridire.
Anche oggi solare e allegro eh?Sono in ritardo di 20 anni.Solo i conti in rosso sono sempre in orario.
Secondo me forse il pareggio lo fanno pure,come lo fece Air Berlin qualche anno fa,per poi sprofondare nuovamente nel rosso.
Stiamo parlando di un'offerta limitata a 6 rotte non a tutto il network domesticoPazzesco siamo a prezzi in stile Ryanair...
Ma quanto sono piagnoni,e' sempre colpa di qualcun'altro....da vent'anni a questa parte.Stavolta del governo che non mantiene gli impegniIntervista James Hogan dal Corriere della Sera, giovedì 6 ottobre 2016
web site http://www.corriere.it/economia/16_ottobre_05/alitalia-servono-tagli-il-rilancio-governo-mantenga-promesse-2e35c5fa-8b36-11e6-b600-82bab359d14d.shtml
L’INTERVISTA
«Alitalia, servono tagli per il rilancio Il governo mantenga le promesse»
Hogan, numero uno dell’azionista Etihad: pronti a investire, l’Italia è un grande mercato, ciò che mi delude, come investitore, è che le precondizioni non sono state rispettate
di Federico Fubini
James Hogan, presidente e Ceo di Etihad Airways e vice presidente di Alitalia James Hogan, presidente e Ceo di Etihad Airways e vice presidente di Alitalia
James Hogan ama il rugby, viene dall’Australia e parla l’inglese franco e diretto di chi non ha un’eredità da difendere. Come presidente e amministratore di Etihad, lo preoccupano di più il presente e il futuro di Alitalia: meno di due anni fa la compagnia aerea di Abu Dhabi è diventata primo azionista singolo di Alitalia (49%), per un investimento industriale da 1,7 miliardi in tre anni. Ma da allora si sono accumulate perdite per centinaia di milioni. «Con gli altri azionisti Intesa e Unicredit lavoriamo bene. Ma il successo dipende da tutte le parti in causa - dice -. Dipendenti inclusi».
Siete uno dei pochi grandi investitori esteri in Italia. Che effetto fa?
«Come Etihad siamo giovani e siamo cresciuti in fretta perché eravamo liberi da eredità. La prima operazione è stata Virgin Australia. Grande successo. Poi l’alleanza strategica con Jet Airways in India, che ha un sistema politico complesso: abbiamo preso un’azienda sull’orlo del fallimento e siamo in utile da 21 mesi. Con Air Berlin stiamo ristrutturando drasticamente ma siamo riusciti a generare i ricavi previsti. Poi abbiamo investito in Air Seychelles e Air Serbia, due casi simili ad Alitalia: governi che ci chiedono di salvare le loro compagnie. Abbiamo posto le nostre condizioni e ora entrambe sono in utile».
Si prepara a dire che con Alitalia è una storia diversa?
«Quando il governo mi chiese di pensarci, dissi di no tre volte».
Perché?
«Temevo che le nostre condizioni non venissero rispettate e mi preoccupava il comportamento storico dei sindacati. D’altra parte l’Italia è un grande mercato. Dunque abbiamo messo insieme un piano per il pareggio e siamo stati chiari: una rete forte, più voli intercontinentali, attenzione al traffico interno. Ma francamente al nostro arrivo Ryanair aveva il 20% del mercato. Ora ha il 50%».
Lei aveva indicato dei requisiti alla parte italiana?
«Mi delude, come investitore, che alcune precondizioni non siano state rispettate».
Dentro l’azienda?
«No, all’esterno. Una delle questioni chiave era poter usare Linate e costruire lì una base molto più forte, cambiando la legge attuale in modo da poter volare anche aldilà dell’Europa. Purtroppo è tutto rallentato nelle procedure europee e nelle lobby interne fra Malpensa e Linate».
Chiede che il governo sia più deciso nel rispettare i patti?
«Come investitori rispondiamo del piano industriale e alle persone di Alitalia, che sono in gamba. Ma entrando in questo affare eravamo d’accordo che ci sarebbe stato un decreto per usare meglio Linate. E il governo avrebbe creato un fondo per rafforzare il turismo in Italia».
Il piano del governo non era di investire 20 milioni l’anno per dare visibilità all’Italia come meta turistica?
«Corretto. Se vogliamo ricostruire il nostro marchio in America, c’è molto da fare. Ed era un prerequisito. Oltretutto in gran parte dei mercati le grandi compagnie nazionali sono in qualche modo tutelate. Invece a Fiumicino ci sono sei compagnie low cost, mentre a Heathrow e a Charles de Gaulle zero».
Perché non ne parla con il premier Matteo Renzi?
«Lo facciamo. Ne parliamo anche con il ministro dei Trasporti Graziano Delrio. Pensiamo che Alitalia vada trattata come altre compagnie nazionali: noi pensiamo alle questioni di mercato e ai conti, ma occorre che anche gli altri protagonisti dell’azienda Italia facciano la loro parte».
Lei sembra più deluso dal governo che dai sindacati.
«No. Sono deluso anche dai sindacati. Quando ho fatto questo accordo sono stato molto chiaro con loro: avevo bisogno di tre anni di pace industriale per ricostruire l’azienda. Ora sono passati appena 18 mesi e in una vertenza per qualcosa che vale come un caffé lanciano uno sciopero».
Parla delle «facilitazioni di viaggio», i biglietti da uno o due euro ai dipendenti per volare alle basi di partenza?
«Già. Quello che mi preoccupa è che la nostra strategia è di far crescere l’azienda, ma se non ho interlocutori responsabili, per me diventa molto difficile. In tutte quelle compagnie in cui abbiamo investito, non abbiamo mai avuto uno sciopero. Qui l’hanno fatto su un benefit che non ha nessun’altra compagnia al mondo».
Non è che lei si lamenta già perché siete in perdita e teme scioperi quando annuncerà una ristrutturazione?
«Dobbiamo chiederci come aumentare la produttività del personale e massimizzare il numero di ore in cui un aereo può volare».
Secondo lei all’azienda servono meno dipendenti?
«Con la ristrutturazione potremmo aver bisogno di ridurre il personale, da un lato. Ma se cresciamo nel lungo periodo e aumentiamo gli aerei, mentre da un lato potremmo ridimensionare le competenze che non sono più importanti, dall’altro potremmo assumere più piloti, personale viaggiante e tecnici della manutenzione».
Quanti esuberi vede in percentuale al totale? E in che aree?
«Lo deve decidere l’amministratore delegato. In altri casi abbiamo ridotto gli uffici centrali e esternalizzato certe tecnologie, abbiamo creato efficienza sulla biglietteria e i processi, ma abbiamo preso più laureati e staff per il lungo raggio».
Volete rivedere anche i contratti esistenti, in modo da proteggere posti di lavoro?
«Certo. Dipende dalla definizione di proteggere. Siamo un’azienda di mercato e nel mercato non ci sono posti protetti. Ma è un dialogo, come in altri Paesi. Non si fa sciopero giusto per farlo. Chi lo fa, danneggia la propria azienda e la fiducia che si sta ricostruendo. Il contesto è la nostra intenzione di ampliare la nostra offerta, nel lungo raggio o anche nelle strutture della manutenzione a Fiumicino. Abbiamo una squadra che studia come ricostruirle, con i contratti giusti».
Nel frattempo la vera compagnia aerea italiana sta diventando Ryanair, con 15 basi. La sussidiano le Regioni?
«I vertici di Alitalia sono stati molto chiari con gli aeroporti regionali: dateci le stesse condizioni e permettete che Alitalia competa. È molto semplice».
5 ottobre 2016 (modifica il 5 ottobre 2016 | 23:37)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
per non dire a 2 rotte solamenteStiamo parlando di un'offerta limitata a 6 rotte non a tutto il network domestico
LIN-BDS e vv
FCO-BDS e vv
FCO-PMO e vv
FCO-CTA e vv
LIN-PMO e vv
LIN-CTA e vv
con acquisto anticipato da 30 a 45gg almeno, e valido entro il 20 dicembre con comunque soglie di posti per tratta in offerta ad esaurimento.
Alla fine non c'è nessun effetto discount di massa se è quello a cui alludi
Hogan è diventato più italiano di LCDM. Ha dimenticato di citare la congiunzione astrale sfavorevole come ulteriore causa dei problemi di AZ.Intervista James Hogan dal Corriere della Sera, giovedì 6 ottobre 2016
web site http://www.corriere.it/economia/16_ottobre_05/alitalia-servono-tagli-il-rilancio-governo-mantenga-promesse-2e35c5fa-8b36-11e6-b600-82bab359d14d.shtml
L’INTERVISTA
«Alitalia, servono tagli per il rilancio Il governo mantenga le promesse»
Hogan, numero uno dell’azionista Etihad: pronti a investire, l’Italia è un grande mercato, ciò che mi delude, come investitore, è che le precondizioni non sono state rispettate
di Federico Fubini
James Hogan, presidente e Ceo di Etihad Airways e vice presidente di Alitalia James Hogan, presidente e Ceo di Etihad Airways e vice presidente di Alitalia
James Hogan ama il rugby, viene dall’Australia e parla l’inglese franco e diretto di chi non ha un’eredità da difendere. Come presidente e amministratore di Etihad, lo preoccupano di più il presente e il futuro di Alitalia: meno di due anni fa la compagnia aerea di Abu Dhabi è diventata primo azionista singolo di Alitalia (49%), per un investimento industriale da 1,7 miliardi in tre anni. Ma da allora si sono accumulate perdite per centinaia di milioni. «Con gli altri azionisti Intesa e Unicredit lavoriamo bene. Ma il successo dipende da tutte le parti in causa - dice -. Dipendenti inclusi».
Siete uno dei pochi grandi investitori esteri in Italia. Che effetto fa?
«Come Etihad siamo giovani e siamo cresciuti in fretta perché eravamo liberi da eredità. La prima operazione è stata Virgin Australia. Grande successo. Poi l’alleanza strategica con Jet Airways in India, che ha un sistema politico complesso: abbiamo preso un’azienda sull’orlo del fallimento e siamo in utile da 21 mesi. Con Air Berlin stiamo ristrutturando drasticamente ma siamo riusciti a generare i ricavi previsti. Poi abbiamo investito in Air Seychelles e Air Serbia, due casi simili ad Alitalia: governi che ci chiedono di salvare le loro compagnie. Abbiamo posto le nostre condizioni e ora entrambe sono in utile».
Si prepara a dire che con Alitalia è una storia diversa?
«Quando il governo mi chiese di pensarci, dissi di no tre volte».
Perché?
«Temevo che le nostre condizioni non venissero rispettate e mi preoccupava il comportamento storico dei sindacati. D’altra parte l’Italia è un grande mercato. Dunque abbiamo messo insieme un piano per il pareggio e siamo stati chiari: una rete forte, più voli intercontinentali, attenzione al traffico interno. Ma francamente al nostro arrivo Ryanair aveva il 20% del mercato. Ora ha il 50%».
Lei aveva indicato dei requisiti alla parte italiana?
«Mi delude, come investitore, che alcune precondizioni non siano state rispettate».
Dentro l’azienda?
«No, all’esterno. Una delle questioni chiave era poter usare Linate e costruire lì una base molto più forte, cambiando la legge attuale in modo da poter volare anche aldilà dell’Europa. Purtroppo è tutto rallentato nelle procedure europee e nelle lobby interne fra Malpensa e Linate».
Chiede che il governo sia più deciso nel rispettare i patti?
«Come investitori rispondiamo del piano industriale e alle persone di Alitalia, che sono in gamba. Ma entrando in questo affare eravamo d’accordo che ci sarebbe stato un decreto per usare meglio Linate. E il governo avrebbe creato un fondo per rafforzare il turismo in Italia».
Il piano del governo non era di investire 20 milioni l’anno per dare visibilità all’Italia come meta turistica?
«Corretto. Se vogliamo ricostruire il nostro marchio in America, c’è molto da fare. Ed era un prerequisito. Oltretutto in gran parte dei mercati le grandi compagnie nazionali sono in qualche modo tutelate. Invece a Fiumicino ci sono sei compagnie low cost, mentre a Heathrow e a Charles de Gaulle zero».
Perché non ne parla con il premier Matteo Renzi?
«Lo facciamo. Ne parliamo anche con il ministro dei Trasporti Graziano Delrio. Pensiamo che Alitalia vada trattata come altre compagnie nazionali: noi pensiamo alle questioni di mercato e ai conti, ma occorre che anche gli altri protagonisti dell’azienda Italia facciano la loro parte».
Lei sembra più deluso dal governo che dai sindacati.
«No. Sono deluso anche dai sindacati. Quando ho fatto questo accordo sono stato molto chiaro con loro: avevo bisogno di tre anni di pace industriale per ricostruire l’azienda. Ora sono passati appena 18 mesi e in una vertenza per qualcosa che vale come un caffé lanciano uno sciopero».
Parla delle «facilitazioni di viaggio», i biglietti da uno o due euro ai dipendenti per volare alle basi di partenza?
«Già. Quello che mi preoccupa è che la nostra strategia è di far crescere l’azienda, ma se non ho interlocutori responsabili, per me diventa molto difficile. In tutte quelle compagnie in cui abbiamo investito, non abbiamo mai avuto uno sciopero. Qui l’hanno fatto su un benefit che non ha nessun’altra compagnia al mondo».
Non è che lei si lamenta già perché siete in perdita e teme scioperi quando annuncerà una ristrutturazione?
«Dobbiamo chiederci come aumentare la produttività del personale e massimizzare il numero di ore in cui un aereo può volare».
Secondo lei all’azienda servono meno dipendenti?
«Con la ristrutturazione potremmo aver bisogno di ridurre il personale, da un lato. Ma se cresciamo nel lungo periodo e aumentiamo gli aerei, mentre da un lato potremmo ridimensionare le competenze che non sono più importanti, dall’altro potremmo assumere più piloti, personale viaggiante e tecnici della manutenzione».
Quanti esuberi vede in percentuale al totale? E in che aree?
«Lo deve decidere l’amministratore delegato. In altri casi abbiamo ridotto gli uffici centrali e esternalizzato certe tecnologie, abbiamo creato efficienza sulla biglietteria e i processi, ma abbiamo preso più laureati e staff per il lungo raggio».
Volete rivedere anche i contratti esistenti, in modo da proteggere posti di lavoro?
«Certo. Dipende dalla definizione di proteggere. Siamo un’azienda di mercato e nel mercato non ci sono posti protetti. Ma è un dialogo, come in altri Paesi. Non si fa sciopero giusto per farlo. Chi lo fa, danneggia la propria azienda e la fiducia che si sta ricostruendo. Il contesto è la nostra intenzione di ampliare la nostra offerta, nel lungo raggio o anche nelle strutture della manutenzione a Fiumicino. Abbiamo una squadra che studia come ricostruirle, con i contratti giusti».
Nel frattempo la vera compagnia aerea italiana sta diventando Ryanair, con 15 basi. La sussidiano le Regioni?
«I vertici di Alitalia sono stati molto chiari con gli aeroporti regionali: dateci le stesse condizioni e permettete che Alitalia competa. È molto semplice».
5 ottobre 2016 (modifica il 5 ottobre 2016 | 23:37)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Probabilmente non considera Easy Jet una low cost (CDG)«Corretto. Se vogliamo ricostruire il nostro marchio in America, c’è molto da fare. Ed era un prerequisito. Oltretutto in gran parte dei mercati le grandi compagnie nazionali sono in qualche modo tutelate. Invece a Fiumicino ci sono sei compagnie low cost, mentre a Heathrow e a Charles de Gaulle zero».
© RIPRODUZIONE RISERVATA[/SIZE][/FONT]
Probabilmente non considera Easy Jet una low cost (CDG)«Corretto. Se vogliamo ricostruire il nostro marchio in America, c’è molto da fare. Ed era un prerequisito. Oltretutto in gran parte dei mercati le grandi compagnie nazionali sono in qualche modo tutelate. Invece a Fiumicino ci sono sei compagnie low cost, mentre a Heathrow e a Charles de Gaulle zero».
© RIPRODUZIONE RISERVATA[/SIZE][/FONT]
Non credo che Hogan si sia dimenticato di U2, anzi penso abbia voluto sottolneare che quello della compagnia inglese è lo standard massimo di costi economicamente sostenibile. Chi spende più di easyjet non può stare sul mercato.Hogan è diventato più italiano di LCDM. Ha dimenticato di citare la congiunzione astrale sfavorevole come ulteriore causa dei problemi di AZ.
La quota di FR lievitata al 50%, U2 che magicamente è sparita da CDG, EY che ha investito 1.7 MLD€... Direi che è pronto per ottenere la cittadinanza italica.
Ma cosa sperano di ottenere con queste veline travestite da articoli? La commiserazione del paese? La raccolta di fondi davanti alle chiese? Senza dimenticare che fino all'altro ieri i conti andavano "secondo le previsioni".
Quando leggo pseudo-interviste come questa perdo ogni speranza sul futuro di AZ, intesa come compagnia aerea e non come stipendificio.
A mio avviso dal Governo vogliono:Hogan è diventato più italiano di LCDM. Ha dimenticato di citare la congiunzione astrale sfavorevole come ulteriore causa dei problemi di AZ.
La quota di FR lievitata al 50%, U2 che magicamente è sparita da CDG, EY che ha investito 1.7 MLD€... Direi che è pronto per ottenere la cittadinanza italica.
Ma cosa sperano di ottenere con queste veline travestite da articoli? La commiserazione del paese? La raccolta di fondi davanti alle chiese? Senza dimenticare che fino all'altro ieri i conti andavano "secondo le previsioni".
Quando leggo pseudo-interviste come questa perdo ogni speranza sul futuro di AZ, intesa come compagnia aerea e non come stipendificio.
Probabilmente non considera Easy Jet una low cost (CDG)
Testualmente l'amico dichiara:Non credo che Hogan si sia dimenticato di U2, anzi penso abbia voluto sottolneare che quello della compagnia inglese è lo standard massimo di costi economicamente sostenibile. Chi spende più di easyjet non può stare sul mercato.
U2 è una LC (seppur meno estrema di altre) e da CDG vola verso 45 località.Invece a Fiumicino ci sono sei compagnie low cost, mentre a Heathrow e a Charles de Gaulle zero
a) senz'altro, anche se non credo servirebbe a molto. Con il decreto Lupi alla fine sono arrivate solo un paio di destinazioni tedesche. Aprendo anche all'extra UE, suppongo arriverebbero BEG e AUH, ammesso che la concorrenza accetti in silenzio. Ma poi?A mio avviso dal Governo vogliono:
a) la liberalizzazione di Linate;
b) un pò di soldi, mascherati da fondo per incentivare il turismo.
Poi c'è un punto c) non espresso nell'intervista, al contrario dei primi due: qualche aiutino per incentivare i più vecchi all'uscita dall'Azienda.
Infatti. Non sarà certo LIN aperto a fare la differenza.@Belumosi: sul punto a): la mia impressione è che EY abbia come obiettivo principalequello di fare osserssivamente feeder verso AUH. Sanno che a Linate c'è un mercato pregiato e vogliono aggredirlo.
Va da sè che liberalizzando LIN (è la volta buona che Qatar si accatta Meridiana) e trovando un'escamotage per far arrivare qualche altra Turkish di turno o similare, va capito se davvero sarebbe un vantaggio competitivo per AZ, vista la concorrenza che si verrebbe a creare.