Piramidi! Mongolfiere!
Per l'ultima parte dell'OT ecco qualcosa che di sicuro piace a tutti, grandi e piccini, al sicuro da ogni
bolemmiga. Piramidi e palloni aerostatici.
Gli equipaggi BA hanno, in ogni outstation, almeno un paio di tradizioni: una bevereccia e l'altra categorizzabile sotto il punto di vista delle "attività". Una di queste è il pallone aerostatico sopra - o nelle vicinanze - di Teotihuacán. Mi puzza di pacco di quelli che rendono bene su Instagram, ma le piramidi di Teotihuacán sono qualcosa che volevo vedere da quando ero alto un metro e una banana, e non sono mai salito su una mongolfiera in vita mia. E, per dirla tutta, l'idea mi sollazza. Per cui decido di aggregarmi e, ben prima delle luci dell'alba, ci troviamo nella lobby dell'hotel per il più classico dei tour.
Guidiamo fuori città lungo autostrade già trafficate alle 5 di mattina, attraverso quartieri abbarbicati sui fianchi di montagne che sembrano quei vulcani che disegni da bambino, finchè non arriviamo in una zona semi-rurale che ricorda un po' le campagne spagnole e molto quel tipo di posti in cui la polizia va a ripescare le vittime di qualche sequestro di persona finito male.
La differenza è che, invece di piloni di cemento con dentro qualche povero cristo, tutt'attorno c'è questo:
L'aria è piena del suono dei bruciatori a propano, sembra di essere ad una Festa dell'Unità senza salamelle e liscio. Siamo in nove: un pilota, sette assistenti di volo e un pirla, e veniamo divisi in due palloni. Essendo l'unico a parlare anche solo un minimo di spagnolo vengo preso in simpatia dagli addetti, che mi invitano a fare una foto all'interno del primo pallone in fase di riempimento.
La vista del cuoricino in cima (e dei numerosi rattoppi) mi fa pensare male ma, grazie a Dio, veniamo sviati verso il secondo pallone, decorato con un ben più sobrio arcobaleno.
Nel frattempo due palloni sono già su. È abbastanza impressionante vederli salire, al punto che il pilota (soprannominato Nigel come tutti i piloti che si rispettino) nota: "Magari il 787 spingesse così".
Saliamo a bordo del nostro cesto e il pilota, Guto, fa un breve briefing. Il volo durerà circa 45 minuti e andremo in larga parte dove deciderà il vento. Oggi pare che sarà difficile arrivare sopra le piramidi, ma ci proveremo. Un paio di note sul come comportarsi in atterraggio (piegare le gambe e reggersi agli appositi sostegni) e veniamo staccati dal gancio di traino del Toyota che ci mantiene ancorati a terra. In un secondo siamo su.
Prima sorpresa, non si sente praticamente accelerazione. Do' uno sguardo in basso, mi distraggo un secondo, arigetto un occhio e siamo 100, 120 metri più in quota. Seconda sorpresa, fa quasi caldo. Il bruciatore (acceso quasi in continuazione) rende la gita veramente confortevole. Nei rari momenti in cui non è in funzione il silenzio è totale, e pure la stabilità è impressionante.
Sotto di noi stanno alzandosi un sacco di palloni. È lunedi e Guto dice che ce ne saranno almeno 40; nel weekend ne partono il doppio.
Qualcosa mi dice che, per Guto, questo non è solo un lavoro.
Una parola sull'organizzazione. Guto ha una specie di app per muoversi, come si vede qui, e il tragitto sembra prestabilito. In più tutti i piloti hanno almeno due radio e le comunicazioni tra i vari palloni sono costanti. Chi sale lo comunica, chi scende fa altrettanto, e la percezione che ho avuto è di una coordinazione molto attenta.
Nel frattempo albeggia. Sono dal lato sbagliato rispetto alle piramidi, ma se devo essere sincero me ne frega veramente poco. Le luci sono splendide.
Poi ci giriamo ed eccole qui.
Purtroppo le condizioni non ci permettono di volarci sopra, ma non importa. Mi sto veramente divertendo.
Per un po' smetto di fare foto e, ad un certo momento, mi rendo conto che stiamo perdendo quota. Dò un'occhiata all'orologio, ed effettivamente è ora di tornare. Peccato.
L'atterraggio è veramente morbido. Una volta scesi Guto e compari pilotano il cesto sul rimorchio del furgone, mentre noi andiamo a mangiare e, poi, Teotihuacán.
A non tutti interessa il giro; 8200 ed io ci troviamo praticamente da soli all'ingresso nella città. La povera 8200 deve sopportare il mio ennesimo momento Alberto Angela.
Quella che chiamiamo Calzada de los muertos, via(le?) dei morti. La cosa buffa è che non sappiamo se questo fosse veramente il suo nome; infatti non sappiamo molto della civiltà che costruì Teotihuacán, incluse cose basiche tipo quale lingua parlassero. Tutti i nomi - incluso quello dato a questo vialone - sono stati dati dai Mexica.
Gli Aztechi, infatti, sapevano di queste antiche rovine, avendole incontrate nel loro peregrinare prima di stabilirsi in quella che diventerà Tenochtitlan. In un classico caso di appropriazione culturale ante litteram decisero che,
ovviamente, i fondatori di Teotihuacán dovevano essere i loro progenitori e, di conseguenza, i Mexica erano destinati al dominio della valle.
La Piramide del Sole. Purtroppo camminarci in cima non è (più) consentito. Chiunque fossero, i costruttori di Teotihuacán avevano la stessa passione dei Mexica e dei Maya per i sacrifici umani (eggià) e numerose salme più o meno decapitate sono state trovate nella struttura della piramide stessa, inclusi bambini e alcuni che pare fossero Maya, ma per lo più si trattava di prigioneri di guerra. "Cortez the Killer" di Neil Young sarà pure una bella canzone ma, storicamente, ha toppato clamorosamente; il sistema si fondava sulla necessità di far guerra praticamente ogni anno.
Lui, invece, se ne frega.
Ed ecco la piramide della Luna, l'altra megastruttura in città.
Trovo impressionante l'alternanza delle varie forme geometriche. Ed è incredibile pensare che tutto questo popò di roba sia stato costruito con rocce e pietre di dimensione tutto sommato contenuta, a differenza delle piramidi egizie, e per di più da un popolo che non aveva animali da tiro (o la ruota).
Pare che, al culmine della sua potenza nel V-VI secolo dC, Teotihuacán ospitasse 180mila abitanti, con la gente che conta (GCC) alloggiata in comode abitazioni di pietra piazzate intorno alle piramidi e al
tempio/palazzo di Quetzalpapálotl.
La storia della fine della città veniva, di solito, raccontata con il solito refrain dell'invasione barbarica, fuoco-fiamme-saccheggio e schifìo generalizzato, ma le ultime indagini puntano a un qualcosa di diverso. Le tracce di incendio e saccheggio sono presenti soltanto nella zona della Gente-Che-Conta, quindi nella via dei morti, mentre non c'è niente del gente nei quartieri dei poveri cristi. La realtà, pare, è che - per dirla come soleva metterla il mio relatore di tesi -
il popolo s'incazzò.
Probabilmente oberati di gabelle, costretti a combattere guerre eterne, occasionalmente sacrificati dopo essersi dovuti inerpicare su per una piramide, e - pare - colpiti da una serie di orribili carestie, i Teotihuacani decisero che ne avevano avuto abbastanza del potere e, in una versione della Rivoluzione Francese senza culottes e brioches, diedero fuoco all'intera baracca del potere.
Abbandoniamo Teotihuacán gonfi di un forte senso di simpatia per i kompagni precolombiani e, ascoltando gli Inti Illimani, facciamo ritorno in città.