V. L'incontro con la realtà.
Arrivo a Chungarà, la mia destinazione finale, in trionfo. Qui, a 4mila e fischia metri, ho pianificato di dormire, parcheggiato di fronte alla baracca della forestale cilena. Ho giusto un paio di giorni e se polmoni e gambe lo consentono mi piacerebbe provare a scalare il Choquelimpie, una montagna nelle vicinanze. Il posto ha una vista incredibile, bagni decenti e c'è pure il wi-fi.
Siamo solo io, un ranger del CONAF, due tizi che svuotano la fossa biologica e due cileni in moto. Un'altra macchina se n'è andata non appena sono arrivato; non faccio in tempo a registrarmi e a scambiare due chiacchere col ranger che vedo i due motociclisti (arrivati appena prima di me) saltare in sella e volatilizzarsi. Guardo il ranger, il ranger guarda me, e poi vediamo.
Ci sono due omini sulla strada che viene dalla Bolivia. Due omini a piedi. Portano zainetti piccoli, del tipo che i teenagers usano per andare al liceo, e anche da una certa distanza si vede che hanno addosso tutti i loro vestiti, più altri raccattati lungo il percorso. Si avvicinano a una distanza sufficiente per poter parlare, e il ranger ed io iniziamo ad intavolare una discussione con questi due tizi magri e bruciati dal sole. Il loro non è lo spagnolo dolce che si parla in Cile, quello che tramuta le 'tr' in 'tch' come se fossero siciliani. È più veloce, ritmico, faccio spesso fatica a capirlo. Più che parlare, sembra che stiano rappando. Chiedono quanto manchi ad Iquique e né io né il ranger abbiamo il coraggio di dirgli che sono quasi 500km. Perchè abbiamo capito - pure io - chi sono questi due ragazzi di poco più di vent'anni, e come mai sono qui.
Dell'implosione dell'economia venezuelana sappiamo, credo, tutti. La "dieta Maduro", le rivolte, i tentativi di deporre Baffone. E la distruzione di un paese una volta ricco - avevo degli zii che
volevano andare a vivere in Venezuela, quand'ero bambino. E, nel documentarmi per questo viaggio, avevo letto di come l'esercito e i carabinieri cileni fossero stati messi in allerta, nelle regioni del Nord, per cercare di evitare tragedie nel deserto. C'erano anche state aggressioni a camionisti boliviani, e proteste anti-immigrazione. Tutto il mondo è paese.
Ma un conto è leggere, un conto è vedere i video in TV, un conto è sentire Trump parlare di muri, Salvini di respingimenti e Priti Patel del suo piano di mandare i richiedenti asilo in Rwanda. Un altro è
vedere.
Gli inglesi usano, spesso a sproposito, iperboli tipo
"I'm exhausted" o
"I'm starving" quando non mangiano da mezz'ora, e ho sempre trovato l'uso di questi termini eccessivo. Beh, da quel giorno a Chungarà ho deciso di non usarli più, perchè solo chi ha fatto trenta giorni (o più, avevan perso il conto) a piedi attraverso Venezuela, Ecuador, Perù e Bolivia può permettersi di definirsi esausto. E solo chi ha passato almeno gli ultimi giorni a digiuno, da quando la polizia boliviana li ha derubati, può dire che sta crepando di fame.
Non ho chiesto come quei due ragazzi si chiamassero mentre il ranger andava a prendere il kit del pronto soccorso e io tiravo fuori cibo e acqua dal baule della Hyundai. Qualche giorno fa, al Lìder di Arica, credevo di aver esagerato un po' con la spesa ma, alla fine della fiera, venne fuori che avevo giusto quanto bastava per me e per un paio di ragazzi che non mangiavano da un paio di giorni.
Se la dignità avesse corso legale, quei due sarebbero milionari. Ci volle un bel po' di convincimento per fargli accettare una bottiglia nuova di succo di frutta, e idem come sopra per il cioccolato, il pane, il formaggio e il prosciutto, la frutta secca. Quasi non volevano che lasciassi due bottiglie di acqua. Provarono almeno tre volte ad offrirsi di lavarmi la macchina in cambio.
Abbiamo tutti un'opinione sull'immigrazione, e non sono qui per dire che io ho ragione o qualcun altro ha torto. So solo che, là fuori, c'è gente che vive in condizioni tali per cui la prospettiva di camminare lungo tutte le Ande con un paio di Nike tarocche è preferibile a restarsene a casa. Gente pronta a dormire per strada, a svegliarsi e a trovare il proprio cane morto di freddo, pur di non rimanere in un paese dove - così mi han detto questi ragazzi - lavorare un mese porta a casa denaro sufficiente per mangiare per tre giorni. Non so come risolvere questa situazione, ma se vogliamo evitare che continui a succedere, beh, in qualche modo dovremmo.
Dopo un po' di tempo, con i due venezuelani che si riposano sul muretto del parcheggio, il ranger mi prende da parte e mi consiglia di spostarmi per un po'. I carabinieri stanno arrivando da Chucuyo, e un'ambulanza da Poconchile e, anche se non pensa che sarà il caso con loro due, ci sono stati casi in cui gli animi si sono scaldati. Mi dice che verranno portati ad Arica, probabilmente all'ospedale, e da li potranno arrivare ad Iquique. Mi consiglia di non dar loro un passaggio a valle; un SUV bello grosso con tanto gasolio è, alla fin fine, un target per quanto improbabile.
Passo lì ancora un po' di tempo, poi fingo di dover proseguire, andare oltre, e saluto i due ragazzi e il ranger. Non posso fare a meno di sentirmi in colpa, e lo sento ancora adesso, per... qualcosa. Non so esattamente cosa. Forse per aver avuto il culo di essere nato a Biella e non in Venezuela, da madre insegnante e padre bancario. Di certo non mi sento di aver meritato i ringraziamenti e le lacrime agli occhi di quei due ragazzi cui auguro buona fortuna, dò una manata di pesos e stringo le mani prima di andarmene via, verso il villaggio di Parinacota. Mentre scendo, vedo arrivare il pick-up biancoverde dei carabinieri e un'ambulanza.