BRUXELLES — Il rischio antitrust e la grande paura del governo italiano. Nella fusione
Ita-Lufthansa si giocano due partite separate. O meglio con due interessi diversi. Quello di Palazzo Chigi è di chiudere e dimenticare rapidamente la “grana” dell’ex Alitalia. Quello di Bruxelles è di non venire meno alle regole del mercato. Risultato: un nuovo scontro tra l’esecutivo Meloni e la Commissione. Che apre un nuovo fronte ed espone la squadra meloniana all’accusa di seguire di nuovo una linea antieuropeista.
Nel dossier
sulla fusione tra le due compagnie, infatti, bisogna partire da due presupposti rimarcati dal management e dall’allora governo italiano al momento della nascita della nuova azienda: Ita è in grado di stare autonomamente sul mercato; punterà sugli aeroporti di Fiumicino e Linate. Nella fase di “prenotifica” — ossia nel periodo in cui le due aziende discutono con la Commissione ma non hanno ancora inviato la richiesta formale di approvare l’operazione — la Commissione deve approfondire le ragioni dell’alleanza proprio in virtù del fatto che Ita era stata presentata due anni fa come un’impresa capace di essere autonoma. “Il piano industriale di ITA — si legge nel documento trasmesso due anni fa a Bruxelles per avere il via libera alla nascita della nuova compagnia — dimostra che ITA sarà una compagnia aerea redditizia, che attuerà una strategia commerciale basata su una rete di rotte ridotta e redditizia, su una maggiore efficienza in termini di costi”. Cosa è cambiato?
Il secondo aspetto è più importante: rotte e slot sovrapposti, rischio di monopoli in diversi aeroporti, pericolo di non garantire la concorrenza sui prezzi dei biglietti e quindi di non tutelare i viaggiatori. Soprattutto a Fiumicino e Linate la presenza di Ita, Lufthansa e di tutte le compagnie alleate (Brussels Airlines, Austrian Airlineas etc) possono determinare una situazione di quasi monopolio almeno su alcune rotte. Su questo si sta concentrando l’attenzione degli uffici. E lo stanno facendo in particolare con i “delegati” di Lufthansa. Perché? Perché è l’azienda più grande e quella che compra. Per questo, a Palazzo Berlaymont insistono nel sottolineare che si tratta di una operazione complessa che richiede tempo. Proprio come è accaduto in casi analoghi. E il problema sono più i tedeschi di Lufthansa che non gli italiani di Ita.
Tutto questo sta gettando nel panico il governo di Roma. La grande paura è ritrovarsi a gennaio con la “grana” Ita ancora aperta. Non si tratta solo della tempistica. Se la Commissione dovesse imporre tagli alle rotte e agli slot, o il ridimensionamento di Fiumicino e Linate, le conseguenze potrebbero riversarsi sulla campagna elettorale per le europee. Nel primo caso il timore è un ripensamento di Lufthansa. L’affare potrebbe diventare meno conveniente. Non è un caso che tra gli argomenti utilizzati dai tedeschi c’è la regionalizzazione di Ita e l’idea che non cambia gli attuali assetti concorrenziali in Europa.
L’altro corno del problema è tutto interno: come spiegare all’opinione pubblica italiana il ridimensionamento di Fiumicino o di Linate? In quest’ultimo, ad esempio, il nuovo gruppo controllerebbe l’80 per cento degli slot. Sono le stesse ragioni che hanno portato il governo ad attaccare il commissario agli Affari economici,
Paolo Gentiloni, che però non ha alcuna competenza in questa materia. “Se Gentiloni poi dovesse tutelare gli interessi italiani — è la battuta che circola a Palazzo Berlaymont —
Von der Leyen dovrebbe difendere quelli tedeschi. Come la prenderebbero in Italia?”.
“La questione di Ita è antica questione e non fa parte delle mie competenze — ha detto ieri Gentiloni — ma la conosco bene, mi sta a cuore e quindi, nell’ambito delle responsabilità collegiali della Commissione, cercherò di affrontare. Penso che il governo abbia lavorato molto per individuare questa soluzione e confido nel fatto che la Commissione Europea riconosca l’importanza di questo lavoro”. Nello stesso tempo il commissario italiano ha cercato di dribblare le polemiche di questi giorni: “Non voglio partecipare a polemiche che penso danneggino l’Italia".
Resta il fatto che l’effetto di queste polemiche rischia di allungare i tempi di esame. Va tenuto presente che dal momento della notifica, la commissione ha tempo 25 giorni lavorativi per rispondere. Ma può anche chiedere una “investigazione approfondita” per altri 90 giorni. Insomma la possibilità di scavallare l’anno è concreta.
Resta il fatto che i toni usati da Roma stanno provocando l’ennesimo strappo con le istituzioni comunitarie. E l’immagine della squadra meloniana è sempre più schiacciata sul fronte sovranista “orbaniano”. E venerdì prossimo l’Italia dovrà fare i conti con un’altra tensione: il Mes. L’Eurogruppo chiederà al ministro dell’Economia
Giorgetti di spiegare perché il Meccanismo di Stabilità non è stato ancora ratificato. L’autunno italiano a Bruxelles è più freddo del previsto.