Questa foto si riferisce al DC-8 Alitalia, icidente sopra descritto:
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1968, un prete eroe a Malpensa
«Disastro aereo alla Malpensa. 90 morti?». Apriva così, a tutta pagina, l’«ultimissima» edizione del Corriere d’Informazione del 2-3 agosto 1968, la prima a dare la notizia. E sull’Italia che si preparava alle vacanze – era infatti la vigilia del primo week end d’agosto – quarant’anni fa piombava l’ombra della sciagura. Per fortuna, il bilancio delle vittime di quell’incidente aereo fu presto ridimensionato: «soltanto» 12 i morti e ben 83 i superstiti del volo Roma-Milano-Montreal che verso le 16, in fase di atterraggio a Malpensa, era incappato in un fortissimo temporale estivo, forse in un fulmine, ed era precipitato sulla collina di Vergiate, a 10 km. dalla pista, falciando con le ali un bosco. Il Dc-8 non era esploso, però, permettendo alla maggior parte dei passeggeri di scappare a piedi dalla carcassa del velivolo, incontro ai soccorritori che già stavano accorrendo guidati dal fumo nero che s’alzava dai rottami.
Tra loro anche un prete, don Nando Macchi, 43 anni, all’epoca parroco della vicina frazione di Cuirone: era in chiesa a recitare le preghiere contro le tempeste quando sentì il rumore di un jet troppo basso e poi il botto, sulla collinetta poco distante dal paese.
Sarà lui – basco in testa e megafono a tracolla, lo stesso usato nelle processioni – a guidare per tutta la notte i soccorsi. Un prete magro e piccolo, i cui hobby erano cose assolutamente «tra le nuvole» come le meridiane e la meteorologia, ma che quella notte seppe tirar fuori chissà da dove energie impensate.
Per prima cosa, don Nando tornò infatti in paese, a chiamare i suoi giovani perché dessero una mano e ad aprire l’asilo parrocchiale all’accoglienza dei superstiti. Poi di nuovo sulla collina, dove non esistevano nemmeno strade d’accesso, a coordinare i volontari.
Un’opera indefessa di cui, alla fine, tutti gli renderanno merito: dai giornalisti (le cronache degli inviati dell’epoca lo citano in continuazione) ai vertici dell’Alitalia, dai sopravvissuti – la più nota era la contessa Clara Agusta, proprietaria della fabbrica di elicotteri che ha sede proprio dove avvenne la sciagura – ai parenti delle vittime. La Notte, quotidiano milanese del pomeriggio molto attento alla cronaca, lo soprannomina «Il parroco della salvezza», Il Corriere della Sera lo descrive «onnipresente e irriducibile (ci si chiede se qualche volta mangi e dorma questo prete magro)». Il Comune decide di proporlo per una medaglia al valore civile. Don Nando apre anche la sua chiesetta alle 12 bare – tra cui quelle di due bambini, due fratellini di Napoli imbarcati sull’aereo insieme alla mamma, sopravvissuta –, che quella notte stessa vengono allineate nel corridoio centrale. Il sacerdote in persona ha scritto i cartoncini con i nomi deposti sui feretri, insieme a un lumino e un mazzo di garofani: «Qui ci sono delle salme sulle quali finora non piange nessuno – dice ai parrocchiani, riuniti per una messa notturna e una veglia che durerà fino all’alba –. Vi invito ad adottarle e a circondarle con tutta la pietà e la devozione di cui vi so capaci». Il sacerdote lancia anche un’idea, che viene poi accolta: chiamare i primi due nati nella piccola comunità con i nomi, Antonella e Pasquale, dei bambini periti nella sciagura. In canonica si raccoglie invece ogni effetto personale appartenente ai passeggeri dell’aereo. Per riconoscenza, l’Alitalia accetta la proposta del parroco di regalargli i rottami dell’aereo; don Macchi li venderà, realizzando 4 milioni dell’epoca, destinati a beneficenza. Tutti, tranne il timone del Dc-8: che, coi colori della nostra bandiera, resterà eretto fino al 1980 su un basamento a fianco del campanile di Cuirone: a ricordo delle vittime e della generosità dei soccorritori. Il «segno» però giunge molto più in là del paesino varesotto: sulla stampa nazionale appaiono una «lettera aperta» al parroco di Cuirone di don Benvenuto Matteucci, che di lì a poco diventerà arcivescovo di Pisa («Il mondo, caro don Nando, ha bisogno di preti generosi come te sino allo spasimo... Il mondo si regge sulla bontà come la tua») e poi persino un elzeviro dello scrittore Giuseppe Prezzolini: «Mi commuovo raramente... ma questa era una troppo bella occasione per lasciarla scappare. Quel prete mi ha commosso». E non era facile toccare un «laico» agnostico come l’autore di Dio è un rischio.
Roberto Beretta